Focus On - "Peter Molyneux, le ali della libertà"
Nella seconda puntata della nostra rubrica proponiamo un approfondimento sulla figura del game designer inglese...
Dopo la prima parte della nostra nuova rubrica Focus On, dedicata alla tech demo di Quantic Dream, proseguiamo analizzando un'altra importante notizia di questi giorni: l'addio di Peter Molyneux a Microsoft e Lionhead Studios.
Ho creato molti bei giochi, ma mai un grande gioco. Questa laconica affermazione racchiude la personalità di Peter Molyneux in maniera esemplare, tratteggiandone efficacemente la controversa figura di game designer di successo eppure eternamente insoddisfatto, alla costante ricerca del colpo di genio, della svolta, della creazione destinata a imperitura memoria.
Ambizione sfrenata, idee esplosive (qualche volta anche troppo), una buona dose di follia: intervistare il padre di Populous e Fable è un’esperienza diversa dalla media degli incontri dedicati alla stampa. C’è in lui la capacità di rendere ogni conversazione, anche la più tecnica, una faccenda intima, come se ti stesse rivelando chissà quali segreti. Ogni discussione di un dettaglio di gameplay è accompagnata da un aneddoto divertente, o da un “non potrei dirtelo, ma le cose stanno così e così”.
Si potrebbe pensare a un personaggio mediatico, attentamente costruito per “risultare simpatico” al giornalista di turno, fingere di intrattenere con lui chissà quale magico rapporto. E forse un po’ di verità in tutto questo c’è, ma capita a volte di intravvedere il “vero” Peter, e di scoprire che la sua faccia non è molto diversa da quella che gli piace talvolta mettere in prima pagina sulle riviste di settore.
Proprio come amerebbe fare lui, vi racconterò un piccolo aneddoto: circa due anni fa, quando Fable III era solo un nome e una lista di feature, ho preso parte in esclusiva italiana a un press trip nella sede di Lionhead, con lo scopo di vedere una primissima versione del titolo presentata da Peter stesso e naturalmente intervistarlo. Purtroppo la macchina che doveva aspettarmi all’aeroporto per portarmi agli uffici non c’era: solo dopo molte telefonate sono riuscito a raggiungere la sala riunioni. Peter aveva già cominciato a parlare da un’ora abbondante, come testimoniava la lavagna ricoperta di schemi e scritte (sì, è una persona a cui piace scrivere sui muri: il suo vecchio ufficio aveva al posto della tappezzeria una speciale vernice su cui era possibile scrivere e cancellare infinite volte). Preso nel flusso di coscienza che accompagna ogni sua esposizione (soprattutto su prodotti dalle caratteristiche non ancora ben delineate), Molyneux non si è accorto del mio arrivo in netto ritardo, proseguendo imperterrito nella sua esposizione.
Solo qualche ora dopo, durante l’intervista one to one, il problema è emerso: ad una mia domanda Peter ha risposto chiedendomi, con molta sincerità, se avessi o meno seguito la sua presentazione, dato che la risposta avrei dovuto già saperla. Al che non ho potuto fare altro che spiegargli del ritardo dovuto al pasticcio con le macchine. Non c’è stato bisogno di aggiungere altro: insieme alla sua assistente personale (alla quale non ho mai più avuto occasione di chiedere scusa per averle rovinato la giornata) Peter ha rivisto completamente l’agenda della sua mattina (un foglio di excel lungo 2 pagine), spostando interviste, meeting e conference call come fossero state noccioline, così da ricavare un’ora precisa per ripropormi la prima parte della presentazione. Non è una cosa che accade spesso nel nostro ambiente, soprattutto quando sei un giornalista italiano affiancato a editor americani, francesi e inglesi i cui portali online fanno tre, quattro, anche dieci volte il traffico del tuo.
A fronte di tanta spontanea gentilezza e professionalità dimostrata senza chiedere nulla in cambio, la mia idea su Peter Molyneux è radicalmente cambiata. Le sue lacrime alla ricezione del BAFTA Fellowship mi sono sembrate più vere. Le sue affermazioni, seppure sensazionalistiche, più sincere. Impressioni poi corroborate, nel corso degli anni in cui ho svolto questa professione, anche da qualche indiscrezione ricevuta dai suoi collaboratori, attraverso i quali Peter appare come un pentolone di idee sempre pronto ad esplodere, le cui fantasiose proposte vanno costantemente filtrate, ammorbidite, smussate.
E’ una persona che crede davvero in ciò che fa, ma soprattutto che vorrebbe fare di più. Ha idee meravigliose, ma non sempre dispone dell’autocontrollo e della leadership necessarie a concretizzarle nei tempi imposti dall’industria.
Il suo recente addio a Microsoft e a Lionhead giunge dunque come una bellissima notizia per il mondo del gaming. Peter Molyneux è di nuovo libero: non sarà più costretto a blaterare sulle potenzialità di Kinect (una “macchina” in cui ha creduto davvero, come è solito fare, senza comprenderne gli ovvi limiti), a fiancheggiare costantemente ogni decisione del colosso di Redmond.
Peter tornerà a fare giochi con la sua nuova società indipendente, 22 Cans. Dal giorno dell’annuncio il suo account Twitter è tornato a tambur battente a proporre update sulla sua attività: invece di dare istruzioni e proporre idee, invece di rendere conto ai piani alti di ogni sua mossa, Peter Molyneux è tornato alle origini, al coding. E’ arrugginito, come testimoniano alcune sue cinguettate, ma le idee e l’entusiasmo certo non gli mancano.
Qualunque appassionato di videogiochi non può non intravvedere le potenzialità racchiuse in questa notizia. Di certo, torneremo a parlare molto presto di 22 Cans, nel frattempo, se volete proporvi per una collaborazione o se avete qualche idea da condividere, potete scrivere direttamente a jobs@22cans.com
Dal canto nostro, vi terremo come sempre aggiornati su tutte le novità, limitandoci per il momento a credere che questa sia una delle notizie più belle, e promettenti, degli ultimi anni.