Focus On - Il finale esteso di Mass Effect 3 - L'impepata di cozze
Il nostro commento all'extended cut del finale di Mass Effect 3...
Sceneggiatore 1: Le soluzioni per fare questo film, Renato, sono 2. O fai l'impepata di cozze, oppure fai il film alla Michael Moore. E te di Michael Moore non c'hai niente. Nè la credibilità, nè il talento documentaristico, nè il team di avvocati alle spalle.
Sceneggiatore 2: Manco la panza di Michael Moore c'hai.
Sceneggiatore 3: Manco i soldi.
Sceneggiatore 1: E quindi devi fare per forza l'impepata di cozze. Un film cioè verosimile metaforico da spacciare come storia universale.
Sceneggiatore 3: Noi, se vuoi l'impepata di cozze, in 3 settimane te la scriviamo.
[Boris - Il film, Dialogo fra René Ferretti e gli sceneggiatori]
La trilogia immaginata da Ray Muzyka e soci, fin dai suoi albori nel lontano 2007, si era data obiettivi ambiziosi: il primo era creare un mondo scifi originale, coerente e, soprattutto, vasto quanto quello delle space opera più famose, il secondo era ricercare la perfetta fusione fra gli RPG occidentali classici e le dinamiche action tipiche di Gears of War. Lasciando per un attimo da parte quest’ultimo aspetto (di cui abbiamo parlato in abbondanza nella nostra recensione del gioco), è stata la componente narrativa ad aver consacrato la saga di Mass Effect nel cuore di pubblico e critica. L’epopea di Shepard ha tutti gli elementi della grandissima epica, decine di pianeti da esplorare, razze tratteggiate con intelligenza e piene di conflitti, un nemico misterioso e potentissimo, la necessità di riunire attorno a noi un gruppo di eroi pronti al sacrificio finale, il tutto mischiato con il classico simbolismo cristologico/prometeico dell’eroe che, all’atto finale, sacrifica se stesso per salvare l’universo.
Inutile dire che dopo cinque anni di narrazione, tre giochi e un numero altissimo di spin off, la attese attorno al finale della saga erano legittimamente alte. Tutti volevamo sapere da dove venissero i Razziatori, quale fosse il ruolo dei prothean e, soprattutto, se Shepard e i suoi commilitoni fossero riusciti nella loro disperata missione di salvataggio.
Sei mesi fa, quando completammo la nostra avventura in Mass Effect 3, il finale (o meglio, i finali, anche se, sono tutti abbastanza sovrapponibili) ci lasciò abbastanza sorpresi: ognuna delle tre scelte possibili, infatti, si chiudeva con una sorta di apocalisse galattica in cui le società esistenti venivano spazzate via lasciando il posto a una nuova era senza portali galattici, pre scientifica e quindi tutta da scoprire.
I Razziatori, secondo questa chiave di lettura, smettevano di essere un nemico ma diventavano, a tutti gli effetti, meri esecutori di una volontà universale propria della galassia, una sorta di “normalizzatori” che entrano in azione quando l’entropia supera la soglia critica. Certo, molti quesiti rimanevano senza risposta e, come tutti sappiamo, il videogiocatore medio non ama i finali aperti, soprattutto quando - realisticamente - non spianano la strada a un sequel. BioWare, scrivendo il finale di Mass Effect 3 sapeva benissimo di non aver chiuso tutte le linee narrative della trilogia e, forse con una punta di ingenuità di troppo, sperava che i fan accettassero una direzione artistica matura, in cui l’autore lascia ai fruitori uno spazio di libertà in cui interrogarsi ed, eventualmente, interpretare l’opera nella maniera che ritengono più opportuna.
Per riprendere la citazione iniziale, i videogiocatori, con le polemiche su Mass Effect 3 hanno dimostrato di volere una cosa sola: l’impepata di cozze. Mentre ci si riempie la bocca con velleità autorali, dibattiti sull’arte nei videogiochi e progetti indie noiosi ma intellectual - chic, il mondo del gaming ha dimostrato definitivamente che il medium è molto meno maturo di quanto non creda di essere. BioWare ed EA sono state così costrette a tirar fuori dal cilindro il classico finalino didascalico da ragazzini, in cui tutto viene spiegato, si vedono le personcine felici, c’é la voce fuori campo che - con tono paternalistico - racconta cosa è successo dopo e, pure la scena finale del ragazzino che chiede al genitore se un giorno potrà viaggiare fra le stelle, ne esce terribilmente depotenziata. Da immagine potente di rinascita di una galassia, a mera chiosa patinata di un finale troppo “precisino” per poter chiudere l’epica costruita in tre titoli così importanti.
A parole tutti sono capaci di chiedere storie mature e una narrazione moderna, nei fatti, però, quello che i giocatori vogliono è l’impepata di cozze. BioWare ce l’ha data, poi però non lamentiamoci se le sceneggiature dei videogame - anche tripla A - non riescono ad andare oltre la qualità narrativa degli action anni ‘80.