Focus On - Blizzard - Il nuovo malato?

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Lo studio di Irvine, fra ritardi ed errori, sembra sentire i colpi di una crisi creativa...

Segretezza assoluta, qualità altissima e, soprattutto, uno spregio totale per quelle che sembrano essere le regole mainstream del nostro settore. Poche aziende possono permettersi le tre cose tutte insieme, anzi, probabilmente ad oggi sono solo due, Valve e Blizzard. Se lo studio di Gabe Newell, però, sta vivendo un momento di grazia, con l’enorme successo di Steam e, speriamo, il futuro Half Life 3 (o quantomeno qualcosa di simile, Gabe, ti prego!), la casa di Irvine sembra attraversare un percorso difficile e accidentato.

I tempi di Warcraft III, dei milioni di abbonati a WoW e dell’attesa spasmodica per il nuovo episodio di Diablo sembrano essere finiti da un pezzo. Oggi Blizzard sta fronteggiando una serie di problemi che, probabilmente, sono la spia di un malessere più profondo. Dopo la querelle sul lancio di Diablo III (che ha visto milioni di giocatori impossibilitati a giocare a causa di un DRM always online) e la tiepida accoglienza per Hearth of Swarm, settimana scorsa è arrivata l’ennesima notizia non inattesa ma preoccupante: Titan, il nuovo MMO che dovrebbe sostituire World of Warcraft, è stato cancellato e, ora, gli sviluppatori ripartiranno da zero con un progetto simile ma scollegato da tutto il lavoro fatto negli anni precedenti. Un decennio di concept, programmazione e design finito, tutto a un tratto, nel cestino.

Ormai da qualche anno Blizzard è il convitato di pietra in tutti i dibattiti sulle promesse mancate; certo, Diablo III ha ricevuto un plauso quasi unanime dalla critica, tuttavia nessuno - nemmeno il fan più convinto - ha potuto negare che sia l’RPG che Starcraft II, altro non sono che un’edizione riveduta e corretta (in HD) dei giochi precedenti. Insomma, tutti i ritardi, gli annunci, le beta e le attese hanno partorito due giochi che, senza nulla togliere, affondano ancora le radici in concept vecchi di quindici anni. Ai loro tempi, i capitoli iniziali delle saghe in questione furono fulmini, ribaltarono il mondo del gaming e costrinsero gli sviluppatori di mezzo mondo a seguire la strada tracciata dai ragazzi terribili di Irvine.

Poi il buio.

L’enorme successo di World of Warcraft (che, ricordiamolo, fino a pochi anni fa contava qualcosa come il 70% dei profitti di Activision) sembra aver prosciugato il valore creativo di Blizzard, rendendo molto difficile la creazione di titoli rivoluzionari come quelli di fine anni ‘90. Certo, oggi il peso degli eSport - soprattutto in oriente - e i costi di produzione sono sempre più importanti e non stupisce che ad Irvine abbiano deciso di puntare pesantemente sul settore del gaming competitivo. Tuttavia i rischi sono grandi, nel momento in cui gli appassionati decideranno di non dare più fiducia a Blizzard cosa accadrà? Lo studio potrà ancora permettersi i tempi di sviluppo elefantici degli scorsi titoli? Qualcosa dovrà cambiare per forza, soprattutto qualora Vivendi riuscisse a vendere le sue quote in Activision. Da punta di diamante del gaming “duro e puro” oggi i creatori di Warcraft rischiano di muoversi su un terreno minato, pieno di concorrenti agguerritissimi (Guild Wars permettendo di giocare senza abbonamento ha ribaltato il business model dell’intero settore MMO) e di altrettanti pericoli forse più subdoli ma non per questo da sottovalutare. Per cambiare le cose ci piacerebbe che all’E3, o alla Blizzcon, o a Colonia o dove gli pare, i ragazzi di Blizzad presentassero finalmente un progetto moderno e ambizioso, che porti il gaming verso nuovi territori.

D’altronde, dovrebbe essere quello che sanno fare meglio.

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