I Flintstones sessant'anni fa cambiarono la TV a colpi di clava
Se oggi celebriamo i Simpsons come un capolavoro intergenerazionale, il merito è anche dei Flintstones
Le origini dei Flintstones
Per venticinque minuti, la prima serata televisiva americana fu illuminata da qualcosa che non si era mai visto prima: un cartone animato, collocato in una fascia oraria solitamente riservata a programmi con gente in carne e ossa, e che proprio di quelle stesse serie replicava la struttura, la costruzione dei personaggi e delle situazioni, ma calandole in un contesto di fantasia e alimentato a metafore, allegorie, parodie e altri artefatti comico-satirici. E se quanto detto finora vi suona familiare, non siete solo voi: I Flintstones sono uno dei motivi (e dei modelli) per cui esistono I Simpsons, e anche se hanno avuto una storia creativa più travagliata di quella che normalmente ci si ricorda restano ancora oggi, sessant’anni dopo, uno dei prodotti più innovativi di un periodo della TV americana che venne altrimenti descritto come “a vast wasteland”.
I due decisero quindi di guardare a quello che al tempo “andava”, e si concentrarono su una serie con Jackie Gleason che non è mai arrivata qui in Italia e che si chiamava The Honeymooners; era una sitcom durata una sola stagione e nata a partire dagli sketch dello stesso Gleason, che raccontava la vita suburbana di una coppia di persone perfettamente normali (per lo meno per gli standard dell’epoca, visto che stiamo parlando di un marito che minaccia di botte la moglie almeno una volta a episodio) che vivevano vicende altrettanto perfettamente normali. Hanna e Barbera decisero di prendere questo spunto, l’idea cioè di narrare squarci di vita quotidiana e intriderli di umorismo, e di trasportarla nella preistoria, aggiungendo quindi al contesto quella passata di anacronismo che è da sempre terreno fertile per un’intera foresta di spunti comici.
Niente Flintstones niente Simpsons
I Flintstones nascono quindi con l’idea di attirare l’attenzione non solo del pubblico più giovane (per catturare il quale c’era comunque un’enorme quantità di gag visive), ma anche dei loro genitori, che si sarebbero dovuti rivedere in Fred e Wilma (o in Barney e Betty) e nelle loro vicende, che raccontavano la normalità di una coppia della provincia americana viste sotto la lente deformante di un mondo preistorico nel quale i distributori di benzina Ethyl diventano Ethel, un mammut da rifornimento e nel quale esistono i dinosauri ma anche le carte di credito.
In questo senso è impossibile non rivedere I Simpsons nei Flintstones: stesse dinamiche di coppia (marito pigro, indolente e vorace ma in fondo dal cuore d’oro, moglie calma e razionale che tiene a bada gli eccessi del partner), stesse situazioni da coppia di tutti i giorni (con differenze solo superficiali: per esempio, Barney è un operaio edile, Homer lavora in una centrale nucleare, ma il loro rapporto con il lavoro in quanto tale è identico), stesso senso dell’umorismo che prevede un mix tra sketch visivi, one-liner/tormentoni e una quantità infinita di giochi di parole (spesso inseriti direttamente nei nomi dei personaggi, in stile BoJack se volete: Tony Curtis che diventa Stony Curtis, l’avvocato Perry Masonry, la bella Lollobrickida...). Potreste obiettare che non stiamo parlando di caratteristiche esclusive dei Simpsons ma dei fondamenti della maggior parte delle serie animate più o meno per adulti uscite negli ultimi decenni: è vero, e I Flintstones furono i primi a codificarle e portarle in prima serata.
Dalle sigarette ai succhi di frutta
La parabola creativa dei Flintstones non coincide purtroppo con quella produttiva: la critica dell’epoca mise in evidenza un calo evidente a partire dalla quarta stagione, e una visione a posteriori non può che confermare che, in seguito a un evento che portò tra l’altro alla scrittura del primo arco multi-puntata nella storia della serie, la qualità della scrittura della serie precipita, e gli episodi si fanno via via più infantili e prevedibili e meno ficcanti. Non è un caso: la fine della terza stagione coincise con l’arrivo di un nuovo personaggio, Pebbles, la figlia di Barney e Wilma, che smisero così di essere una giovane coppia senza figli per entrare in un’altra fase della loro vita, e perdere così una fetta di pubblico che si era (ancora o mai) riprodotta.
L’ingresso in scena di Pebbles coincise con un cambio di sponsor (non più le sigarette Winston ma i succhi di frutta Welch’s) e di direzione autoriale: la scrittura si concentrò sempre più spesso sulle avventure della bimba (e dell’amico Bamm Bamm), si fece più semplice e meno ricca di giochi di parole e altri sfizi per adulti, e i Flintstones cominciarono a riciclarsi, a ripetere vecchie idee e vecchie gag e a perdere così per strada esattamente quel pubblico per cui Hanna e Barbera avevano creato la serie. L’ultimo episodio andò in onda il 1 aprile 1966, e anche se da allora il franchise non ha mai smesso di sputare fuori contenuti di ogni tipo (tra cui i film per il cinema con John Goodman che hanno fatto per i Flintstones quello che il film sulla Famiglia Addams fece per gli Addams) non ha mai prodotto nulla di paragonabile, per impatto e creatività, a quella serie a cui ogni facciamo gli auguri per i sessant’anni.