Firestarter più che brutto è anonimo
Firestarter poteva essere l’occasione giusta per modernizzare una vecchia storia di King, e invece gira a vuoto
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Il nuovo Firestarter parte dall’inizio, rinuncia da subito a mescolare i piani temporali e imbastisce una vicenda drittissima (e che con il passare del tempo si stacca sempre di più dalla fonte kinghiana) e senza sussulti. Che è un po’ la definizione che si può applicare all’intero film, che inizia, procede e si conclude senza mai riuscire a lasciare il segno. Tutto il primo atto, e pure il secondo fino almeno al momento della morte della madre di Charlie (… spoiler?), ha un’aria quasi dimessa, gira a vuoto nel tentativo di presentarci con sobrietà questi personaggi dotati di poteri paranormali, di inquadrarceli come una famiglia normale e quasi noiosa, se non fosse per questo vizio della loro figlioletta di dare fuoco alle cose con il pensiero.
Questa scelta strutturale allontana il racconto dall’horror puro per avvicinarlo il più possibile a quello del classico film di supereroi: Firestarter è sempre stata, a modo suo, una origin story, che qui viene però volutamente impacchettata come fossimo in un film Marvel – Charlie è più una degli X-Men che una Carrie incendiaria, per capirci, e pure i suoi genitori sono scritti per aderire il più possibile allo stereotipo del superumano con grandi poteri e quindi grandi responsabilità. Ancora una volta, si tratta di elementi che in qualche forma erano presenti sia nel romanzo di King sia nel film di Lester, ma che nel Firestarter di Thomas vengono portati in primo piano a discapito del resto, come se l’idea fosse quella di fare non un film ma il primo capitolo di un franchise.
Non aiuta che, in piena tradizione Blumhouse, Firestarter risparmi sugli effetti speciali e in generale su tutto il comparto visivo: è un film senza personalità, che sembra girato e persino fotografato con pigrizia e voglia di portare a casa la scena per chiudere la giornata. Drew Barrymore nel 1984 sparava delle poco credibili palle di fuoco, qualcosa che con le tecniche di oggi sarebbe in teoria possibile rifare in maniera più efficace; ma Firestarter non lo sa, e fa di tutto per toglierci ogni soddisfazione distruttiva (il finale in particolare è criminale in questo senso).
E arriviamo quindi al vero punto dolente dell’intera operazione: Ryan Kiera Armstrong, la Charlie di questa versione di Firestarter, non è la persona adatta per il ruolo. Non è facile parlarne perché l’attrice è stata vittima di quella che non sappiamo definire se non come “campagna di bullismo” nei suoi confronti: venne candidata ai Razzie come peggior attrice, nomination che venne ritirata quando i premi vennero travolti dalle critiche per aver di fatto buttato una bambina sotto un treno. Non se lo meritava, la sua prestazione non è disastrosa come è stata dipinta, e la ragazza ha dimostrato in The Old Way di avere talento; ma in Firestarter non ha abbastanza carisma da reggere il film (e Zac Efron barbuto nei panni del padre non la aiuta) – è efficiente e sufficiente, ma non eleva nulla, ed è quello che sarebbe servito a un film così moscio per rialzare un po’ la testa.
Cosa rimane, quindi? La colonna sonora di Carpenter padre e figlio, che finalmente ha dato modo al primo di partecipare in qualche ruolo a un progetto chiamato Firestarter. E poco altro: peggio ancora che brutto, stiamo parlando di un film dimenticabile.
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