Firefox - Volpe di fuoco: quando Clint Eastwood rubava gli aerei ai russi
Firefox - Volpe di fuoco, il guilty pleasure di Clint Eastwood compie 40 anni, tra guerra fredda, aerei da rubare e lunghe camminate
Nel settembre del 1982 arrivava in Italia Firefox - Volpe di fuoco, l’ottava regia di Clint Eastwood e un film in cui l’abusato aggettivo reganiano calza a pennello. Nessun eccessivo intento politico però: in questo cinema da guerra fredda si risparmia tempo narrativo dividendo gli americani in buoni e furbi e i russi in cattivi e ci si butta nel divertimento. Vuole essere tutto, forse anche troppo.
Clint Eastwood è Mitchell Gant, veterano del Vietnam tornato in patria con un disturbo da stress post traumatico piuttosto ingombrante. Lo conosciamo mentre fa footing e viene raggiunto da un elicottero con la missione da consegnargli. Fuggirà controvoglia, ma alla fine accetterà per il bene della patria. Deve recuperare un caccia sovietico dalla base nemica. Si tratta di un MiG-31 Firefox, un prototipo di ultima generazione in grado di ricevere alcuni comandi direttamente dal pensiero del pilota. Lui è l’unico uomo che può portare a termine il compito: è in grado di pensare in russo, conosce bene gli aerei ed è il miglior pilota in circolazione.
I personaggi parlano e ragionano tantissimo. Persino i nemici (ci si permetta di chiamarli così vista la grossolana caratterizzazione) che dovrebbero essere spietati sull’orlo della terza guerra mondiale passano minuti decisivi a discutere sul da farsi. C’è un che di geniale in questo, se solo avesse un’equivalente resa cinematografica. Mentre Eastwood\Grant agisce, anche con visibile calma, i suoi avversari stanno nella stanza dei bottoni a dedurre, litigare e compiacersi a vicenda. Bloccati dalla burocrazia, o dalla rigida gerarchia. Solo negli ultimi minuti qualcuno oserà citare l’incompetenza come causa del successo di Grant. Troppo tardi.
Il combattimento aereo finale si fa aspettare a lungo ed è piuttosto insolito. Arriva dopo molti momenti di scioglimento della tensione e, anche in questo caso, Eastwood sceglie un approccio molto razionale al racconto. Poca musica, nessuna enfasi sulla posta in gioco, semplicemente lo spettacolo di due aerei che si inseguono ad alta velocità tra le nuvole. L’inevitabile invecchiamento degli effetti speciali rende la sequenza più straniante di come deve esserlo stato 40 anni fa.
Insomma, Firefox non era un granché all’epoca e non lo è nemmeno invecchiando. Però ha dentro di sé quell’aspetto di film da guilty pleasure che lo rende vedibilissimo. Roger Ebert aveva commentato l’apparizione dell’ MiG-31 come l’inquadratura circolare più sexy in un film senza una sottotrama romantica. Ed è così! Il design dei caccia sprizza passione da ogni inquadratura. Gli aerei e la tecnologia sono la scusa per imbastire tutte le sottotrame. C’è più tensione nel vedere fino a che velocità si possono spingere i motori che nel capire chi ne uscirà vivo.
Nonostante il Firefox sia invisibile ai radar, gran parte del combattimento si svolge con i dati di vario tipo rilevati da tantissimi dispositivi. Ci sono tantissimi radar e dispositivi, fotografie rubate e mappe luminose. I campi base di entrambe le fazioni sono costantemente informate e informano gli spettatori continuamente. Un’azione molto più verbale che messa in scena. Non è riuscita, non arriva al punto come vorrebbe. Ma è un’idea, e non è niente male!
Il film ci concede poi una delle sempre gradite occasioni di vedere Clint Eastwood in aria, sempre con lo sguardo torvo e con la sicurezza di chi se la caverà in qualche modo. Fa simpatia il sistema futuristico di controllo mentale. Una volta visto il bersaglio lo si può colpire con il solo pensiero. Si risparmiano importanti secondi di tempo di reazione, dicono i militari. Forse, vedendo il mezzo in azione, sarebbe stato più intelligente sviluppare una tecnologia che consentisse anche di volare con il solo pensiero. Ma è giusto così: si immagina una tecnologia che potrebbe cambiare tutto, ma non troppo.
Firefox è un film in cui i dialoghi iniziano con la gente che sbatte le ciglia non appena arriva l’inquadratura (notate, non lo fanno quasi mai nei film, qui sì). La gente parla con calma, è razionale, nessuno si offende quando viene insultato. C’è poi quel trauma gigantesco tra Clint Eawstwood e la sua missione che potrebbe benissimo non esistere. Il Vietnam incornicia il film all’inizio e alla fine, scomparendo nella parte centrale. Sono le bizzarrie di un film che non è un meccanismo perfetto come i congegni militari che descrive. Però può essere goduto ancora oggi facendo esattamente l’opposto di quello che deve fare Grant in volo: spegnendo la mente.