Festival di Venezia: tutti i film della 76esima edizione da cui aspettarsi molto
Nel mare delle proposte di Venezia76 i film che ci interessano di più
Noi cercheremo di vedere tutto il vedibile e come sempre sappiamo bene che le sorprese maggiori arrivano dai film di cui al momento non sappiamo nulla, da quelli fuori dai soliti radar e dalle opere prime. Lo stesso facciamo qui il punto della situazione riguardo i punti cardine del festival, i film sui quali, per un motivo o per l’altro, si gioca molto della riuscita della manifestazione.
Più o meno quello che tenterà anche Ad Astra, sempre in concorso, il grande film di fantascienza con Brad Pitt diretto da James Gray. Se c’è un cineasta tra quelli della sua generazione attaccato ai quartieri, ai palazzi, alle strade e ai bassifondi è proprio lui, eppure adesso vola altissimo nello spazio, con un film che almeno a livello di promozione sembra guardare ai lidi di Interstellar. La grossa domanda è se sarà possibile riconoscere la mano di James Gray o se si tratti di un grande progetto a cui ha prestato la sua tecnica, se vedremo della fantascienza come già la conosciamo o se ha altre idee.
Movimento contrario per Pablo Larrain che invece torna in Cile (ma in realtà non se n’era mai andato, Jackie era da subito da considerarsi come un caso) con Ema, storia femminile come raramente ha raccontato, visto che per tutta la prima parte della sua filmografia ha preso di petto gli uomini.
Sul fronte dei nomi meno clamorosi poi ci sono due titoli che non possono non suscitare curiosità. Saturday Night Fiction di Lou Ye e No. 7 Cherry Lane di Yonfan. Il primo è un cineasta della sesta generazione, coevo di Jia Zhang-Ke, mai esploso a livello internazionale ma capace di grandi film (Summer Camp è stupendo, Love Bruises un buonissimo film sino-europeo con attacco da sturbo) è stavolta lavora con sua altezza Gong Li; il secondo è un alfiere del cinema LGBT cinese, se mai ne può esistere uno (in realtà è di Hong Kong), che dopo più di 30 anni di attività si dà all’animazione!
Ci sono poi i malvisti, cioè i cineasti che forse nessun altro festival di serie A avrebbe invitato e che invece Venezia ha messo in concorso e nella sezione Sconfini. Barbera è molto tenace su questo fronte e si è giocato la faccia sostenendone uno in particolare:
Roman Polanski. Sempre più inviso all’America dopo il riaprirsi della caccia all’uomo anni fa e poi l’emergere del #metoo, potrebbe aver girato uno dei suoi film migliori (è qui che Barbera si è sbilanciato) mentre dall’altra parte in Sconfini c’è Nate Parker, su cui pende una vecchia accusa di stupro, che dopo The Birth Of A Nation ha sfornato American Skin con Spike Lee alla produzione.
Menzione d’onore poi per Billie Piper e il suo Rare Beasts, il colpo della Settimana Della Critica di quest’anno (l’anno scorso Tumbbad fu una vera scoperta e un successo del mondo dei festival) nonché il più complicato ma lo stesso intrigante Sanctuarium (“un episodio di Narcos psichedelico” l’ha definito il delegato generale della sezione Giona Nazzaro).
Infine capitolo a parte per gli italiani. Non sono i film più importanti ad incuriosire stavolta né gli autori più grossi perché, almeno sulla carta, si presentano con progetti usuali e poco allettanti. C’è invece da gioire per la doppia presenza seriale di The New Pope ma soprattutto di Zero Zero Zero, la nuova serie che riunisce Saviano, Cattleya e Sollima, in un progetto ancora più grande ed internazionale di Gomorra. Qui c’è da aspettarsi davvero davvero tanto.
Tra i film sorprende ed incuriosisce l’arrivo di Franco Maresco in concorso con La Mafia non è più Quella di una Volta. Il film precedente e a questo legato, Belluscone, era bellissimo e c’è il caso che stavolta faccia il botto, magari addirittura prenda un premio. Sarebbe il coronamento di una carriera senza senso ma preziosissima. E poi c’è Pietro Marcello, grande promessa del nostro cinema d’autore solo parzialmente esplosa che passa dal documentario al cinema di finzione e lo fa con Martin Eden, cioè un adattamento di Jack London!
E c’è poi Unposted, il documentario su Chiara Ferragni, il film che è già in cima all’odio di tutti senza essere stato visto perché ha commesso il peccato mortale di puntare il riflettore sulla più grande imprenditrice di internet italiana degli ultimi anni. L’unica, se si considera l’universo femminile. Non solo non esiste ambito che il documentario (ma il cinema in generale) non possa indagare, non ci sono soggetti non degni, non ci sono ambiti, mondi e personaggi che non siano interessanti se chi guarda ha lo sguardo giusto, non solo Chiara Ferragni (a prescindere da quello che si pensi) è un soggetto interessantissimo per come incrocia le direttrici fondamentali dei nostri anni (rappresentazione, disintermediazione, self-branding, lavoro naif sull’immagine), non solo a dirigere c’è Elisa Amoruso (giovane e niente male), ma soprattutto finalmente qualcuno nel nostro cinema cerca di raccontare il presente!
L’unico terrore viene dal fatto che il film è prodotto dalla stessa Ferragni e quindi è molto forte il rischio che si tratti di un’operazione promozionale.