Festival di Venezia 2023: una delle edizioni più "sicure" di sempre che pone una nuova questione
Diversi film di questa Venezia 2023 importanti e buoni ma non eccezionali, non riusciti ma non disastrosi mette in evidenza un nuovo problema
L'arrivo in questo 2023 a un'edizione in cui i film brutti sono pochissimi è anche sinonimo per il Festival di Venezia di un minor tasso di rischio e scelte più sicure, ma è inevitabile a questo punto della crescita
Un verdetto così stranamente in linea con pubblico e stampa, viene da pensare, è probabilmente figlio di una delle edizioni con il maggior numero di film a basso rischio. Non si è visto nessun film scandalosamente fuori posto o brutto nel concorso (ci sono andati vicini Holly e Ferrari, ma niente in confronto alle tragedie viste in passato come N.7 Cherry Lane, Acusada o il temutissimo Warriors Of The Rainbow), come del resto si è visto molto poco di sconvolgente nel senso opposto. Anche i più strenui difensori di Povere Creature! a fatica lo categorizzerebbero come un’illuminazione ma più come il film migliore di questa edizione. Una che in linea con una tendenza iniziata anni fa è sempre più a colpo sicuro e senza rischi (unica eccezione di livello: Io, Capitano il film che realmente ha diviso). Almeno se si guarda il concorso.
Quella del concorso e fuori concorso è infatti la miopia più tipica della stampa festivaliera (e noi che scriviamo non ne siamo indenni). I film sono moltissimi e in quelle due sezioni sono programmati i più importanti, i più attesi, i più cruciali. Quest’anno poi anche il fuori concorso sembrava denso tanto quanto il concorso. Capita così che ogni giudizio sui festival più grandi venga emesso in base a queste due sezioni e solo marginalmente in base alle altre (parallele o non). Fino a qualche anno fa ancora poteva avere un senso, perché concorso e fuori concorso avevano lo spazio per includere film più audaci (si pensi a The Painted Bird) e le scommesse del festival. L’impressione però è che questo capiti sempre meno non per mancanza di coraggio ma per una diversa dimensione di Venezia che porta con sé nuove questioni.
Pieno di film buoni ma non devastanti (magari molto belli ma non i capolavori dei rispettivi autori), il festival di Venezia è scivolato via senza fischi e senza applausi scroscianti (almeno alle proiezioni della stampa, le uniche le cui reazioni sono sia violente che impossibili da pilotare), senza indignazioni e senza colpi al cuore. Anche The Beast rientra in una categoria di cinema festivaliero che divide, sì, ma non da oggi, non oer questo film, quanto per la sua scuola di pensiero filmico. E quindi a suo modo è un colpo sicuro perché ha una solidissima base di fan. L’unico film che sia stato in grado realmente di stupire tutti e generare quell’incredibile rarità a un festival che è l’applauso in mezzo alla proiezione, è stato fuori concorso: Hit Man. Forse uno di quelli che alla partenza parevano più convenzionali e quieti e che invece ha messo su schermo una sceneggiatura così complessa (nonostante i palesi intenti commerciali e mainstream) e così ben recitata da conquistare tutti.
Il cinema più rischioso però non è scomparso, non è andato via, era solo da un’altra parte, come avviene nei festival più importanti, e tocca abituarcisi. Era in Orizzonti per esempio, e quello che abbiamo potuto vedere (che non è poco ma suddiviso tra i vari redattori così che nessuno alla fine può dire di avere una visione d’insieme) ha mostrato più di una scelta fuori dai canoni, più di una storia curiosa. Si pensi al teen movie sciamanico mongolo City Of Wind, all’esordio folgorante di Alain Parroni Un sterminata domenica, a Tsukamoto o ancora alla buonissima scrittura di Felicità di Micaela Ramazzotti e Day Of The Fight in Orizzonti Extra.
Alla fine forse lo specchio perfetto di tutto questo sono i 6 italiani in competizione. Ora che li abbiamo visti tutti possiamo confermare che all’interno di questa rappresentanza nazionale si trova in riduzione lo schema di tutto il festival: due film spettacolari di grandi autori, grandi temi e grandi star che vanno a botta sicura (Comandante, Adagio), un blockbuster internazionale sebbene a modo nostro (Finalmente l’alba), un film tradizionalmente da festival e quindi a rischio blando (Lubo) e infine, uno su sei, è un rischio. Io, Capitano era il film a cui Cannes aveva offerto il fuori concorso invece della competizione, e che per questo l’ha perso. Gli avevano preferito Nanni Moretti, Alice Rohrwacher e Marco Bellocchio (quattro italiani in concorso sarebbe stato impensabile, giustamente), ritenuti più sicuri per lo slot in competizione. Da quel momento Io, Capitano è stato considerato problematico e sembrava proprio velenoso. Alcune voci lo davano in forse pure per Venezia e pronto a scalare alla Festa del cinema di Roma (dai premi a Cannes alla premiere alla Festa del cinema sarebbe stato un tracollo clamoroso). Ora ha vinto meritatamente uno dei premi maggiori e uno dei minori (il Mastroianni), ed è bello pensare, a prescindere da quanto possa essere plausibile, che qualcuno da qualche parte con un po’ di onestà si stia mangiando le mani per non aver voluto rischiare...