Festival di Venezia 2022: una delle edizioni più vedibili e meno rischiose che si ricordino
Il trionfo del crossover tra arthouse e mainstream, la Mostra di Venezia ha ribadito una visione di cinema e di pubblico
Il nostro commento alla premiazione del Festival di Venezia
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Scalcagnata semmai è stata la rappresentanza italiana (eccezion fatta per Bones And All) che avrebbe beneficiato di una “mossa Piuma”, cioè l’inserimento spiazzante di un titolo commerciale. Quello slot se lo sono preso i francesi con I figli degli altri e Les Miens, mentre Siccità, che sarebbe potuto essere quel film lì, non ha trovato spazio. Impossibile rinunciare a Pallaoro (evidentemente un pallino di Barbera, un cineasta che Venezia ha deciso di portare in alto) e a Chiara (Susanna Nicchiarelli, anche lei una creatura di Venezia, mandarla altrove sarebbe un errore) o ovviamente a Guadagnino (unico realmente appetibile). Era allora Il signore delle formiche di Gianni Amelio a dover lasciare il posto a Siccità ma è un progetto che comprende Rai Cinema e necessita di quella spinta per avere un senso. Così il miglior film italiano è andato fuori concorso (e un altro si è visto alla Settimana della critica, Margini).
I premi
Erano quasi la metà del totale i film in concorso parlati in inglese, 10 su 23. Addirittura due di questi italiani (Monica e Bones And All), era facile immaginare quindi che sarebbero stati molto rappresentati tra i premiati. Ma 6 premi sugli 8 totali a film in lingua inglese, in linea di massima contenenti star di Hollywood, è oltre ogni aspettativa. Julianne Moore non ha mostrato un sguardo proprio variegato e anzi uno estremamente sensibile a ciò che già conosce. I film premiati poi, una volta tanto, sono difficilmente discutibili, tutti meritevoli ma anche tutti scontati. In questa premiazione non c’è stato nessun rischio, nessuna ambizione, nessuna voglia di provare a vedere il cinema di domani. Che pure c’era in concorso.
Con l’esclusione notevole di Alice Diop e il suo Saint Omer, la cerimonia di premiazione ha ribadito quel che sappiamo e consacrato o chi era in credito da tempo o chi da sempre merita. È stato così per Guadagnino, che in una premiazione tutta anglofona trova il premio alla miglior regia (metafora perfetta di quanto questo autore italiano eccezionale si trovi più a suo agio nel dialogare con la mentalità americana); è stato così per gli attori, due colonne di Hollywood come Colin Farrell e Cate Blanchett; è stato così per Martin McDonagh, già vincitore di Oscar. Unico non anglofono a farsi strada tra questi colossi oltre alla Diop è stato Panahi, con una storia personale, un debito politico, un senso di solidarietà impossibili da ignorare.
Il premio meno comprensibile è stato forse il più umanamente condivisibile, cioè il Leone d’oro a Laura Poitras per un documentario che è cosa da poco anche nella sua personale filmografia, è stato un colpo di fulmine commovente per Julianne Moore. In molti hanno riportato delle sue lacrime copiose dopo la proiezione. E quindi va così, la storia è piena di premi dati sull’onda dell’emotività, con un po’ di fortuna questo Leone aiuterà Laura Poitras nella sua opera incredibile di documentazione delle persone che si battono contro stato e istituzioni per finire quasi sempre schiacciati (mostruosi i lavori su Snowden e Assange, con immagini che ha solo lei).
Vivaticket
A festival finito si può infine fare il punto sul sistema informatico di prenotazione dei posti in sala. È una questione che non interessa a nessuno se non alle persone che vanno al Lido, che tuttavia sono sempre di più e, per interesse e volere della Mostra, hanno sempre più spazio e proiezioni per sé (una nuova sala, Corinto, è stata creata apposta dopo quella Giardino diversi anni fa). La fine del sistema classico, quello delle file, in cui si poteva anche stare in piedi ad attendere a partire da 45 minuti prima di una proiezione, è una benedizione e non c’è sveglia futile alle 7 che non valga l’eliminazione di questa pratica medievale. Certo però tutta l’indulgenza del mondo non spiega come sia possibile che al terzo anno ancora nessun festival tra i maggiori abbia capito come evitare le congestioni. Non ci riesce Cannes e non ci riesce Venezia. Il passaggio a VivaTicket faceva sperare bene (o almeno faceva sperare bene chi non conosce il mondo dei concerti e i problemi che la piattaforma causa regolarmente), invece non è stato diverso dal precedente.
Dove sia il problema è difficile dirlo da fuori. Come mai non sia possibile evitare il crash nel momento in cui moltissime persone tutte insieme si collegano (cosa che regolarmente avviene i primi giorni, superati i quali il sistema va liscio) è un mistero. La Biennale ha provato a risolvere cambiando gestore, cambiando modalità (prenotazioni tutte insieme ma ogni due giorni) e anche ricalibrando gli orari a partire da un certo punto. Eppure ancora non è l’esperienza utente senza problemi che sembra scontato debba diventare (impensabile l’idea di non riuscire ad entrare in un film dopo ore di attesa). Aspettiamo la prima edizione a tutta forza e massima capienza della Berlinale per scoprire quale sia la maniera “giusta”.