Fast & Furious 8 e il collo della tigre

Fast & Furious 8 ci regala il miglior villain del franchise e risponde a una domanda che ci facciamo dal 2001

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Questo articolo fa parte della rubrica Tutto quello che so sulla famiglia l’ho imparato da Fast & Furious

Fateci ripartire, per parlare di Fast & Furious 8, da una frase che abbiamo scritto parlando del film precedente: “Fast & Furious 7 ci regala anche quello che fino al film successivo resterà il miglior villain della saga”.

Siamo arrivati al film successivo, e confermiamo: per quanto Deckard Shaw fosse un gran bel cattivo, il motivo per cui Fast & Furious 8 è un film superiore al predecessore e forse l’apice del nuovo corso del franchise è che dietro a tutto quanto c’è un villain ancora migliore. Capita quando fai il colpo della vita e convinci Charlize Theron a unirsi al tuo franchise sempre più lussuoso e di successo; e le lasci la libertà di interpretare come meglio crede la sua parte.

Cipher, così si chiama questa hacker/superspia/cyberterrorista/signora della guerra che, si scopre, ha già visto i suoi piani criminosi andare in fumo due volte per colpa di Toretto e famiglia, è quello di cui il franchise aveva bisogno per elevarsi e continuare a crescere sulla strada jamesbondiana impostata negli ultimi capitoli (in particolare con l’ingresso in scena di Mr Nobody/Kurt Russell). È una villain perfettamente amorale e disinteressata a quei lati della vita che rendono Toretto una persona e non un semplice criminale internazionale. Ha un’agenda, degli obiettivi, ma si muove su un piano di realtà separato da quello dei proverbiali Nostri Eroi; è un’agente del caos che mira a destabilizzare la geopolitica internazionale, e in quanto tale non è animata da alcun sentimento umano, neanche i più basilari (o i più violenti, com’era la vendetta per Deckard Shaw).

È un robot, e in quanto tale si può permettere di compiere una serie di azioni disumane che sconvolgono, un’altra volta, tanto per cambiare, le regole del gioco a cui la Famiglia è abituata. D’altra parte arrivati all’ottavo capitolo è impossibile pensare di fare altro: la sensazione, il non detto, è che Toretto e compagnia passino ormai la loro vita a compiere missioni spettacolari e che quelle che vediamo nei film siano solo quelle abbastanza grosse da meritare un po’ di attenzione. E quindi ogni nuovo Fast & Furious è una rincorsa a trovare una motivazione abbastanza grossa per l’esistenza del film, una nuova soluzione che ti fa esclamare “questo non gli era ancora successo!”.

Nel caso di Fast & Furious 8 la soluzione è quasi meta-cinematografica. Se Dominic Toretto e la sua squadra non hanno rivali e riescono a sconfiggere qualunque cosa gli si pari davanti, qual è l’unico modo per metterli in difficoltà? Metterli gli uni contro gli altri, ovviamente. Già i fratelli Shaw avevano rinfacciato a Toretto come il suo codice d’onore e la sua fissa per la famiglia fossero i suoi veri punti deboli, e la Cipher di Charlize Theron fa di meglio: in una svolta degna delle migliori soap opera (ma d’altra parte abbiamo già avuto un personaggio morto e risorto con amnesia), Fast & Furious 8 si inventa un figlio segreto per Dom, e lo usa come leva per costringerlo a passare al lato oscuro e diventare di fatto il villain del film.

Questa semplice ma sempre efficace soluzione narrativa butta all’aria molte delle regole dei film precedenti, e avvicina ancora di più Fast & Furious all’agognata dimensione da film di spionaggio internazionale. Privi della loro guida, i membri della famiglia devono reinventarsi e ristabilire i rapporti di forza interni, anche alla luce di un nuovo arrivo (Ramsay/Nathalie Emmanuel, riconfermata dopo il 7 e decisamente qui per restare) e della necessità di dover lavorare con un tizio che nel film precedente voleva farsi saltare per aria (ritorna anche Jason Statham, e non poteva essere altrimenti). Il risultato è che hanno più spazio del solito per brillare, e soprattutto hanno tutti quanti tutto il tempo che serve: non c’è la sensazione di storyline stiracchiate o al contrario accorciate brutalmente per rientrare nel minutaggio, ma un equilibrio straordinario dove solitamente c’era un solo grande accentratore e una serie di satelliti.

Come il 7 poi era un tentativo (riuscito) di fare meglio del 6 in termini di spettacolarità e assurdità visive, e il 6 lo era per il 5, e così via fino all’originale, anche Fast & Furious 8 è un ulteriore passo avanti rispetto al predecessore. Questa volta è anche più difficile indicare una singola sequenza che spicchi sulle altre: certo, il finale sui ghiacci è un mega-inseguimento che coinvolge macchine, motoslitte, carrarmati e un sottomarino nucleare, ma la carica delle macchine zombi a New York è altrettanto spettacolare e forse più folle come concezione. Persino la sequenza iniziale, una cara vecchia corsa clandestina tra le strade di Cuba, avrebbe potuto essere una scena madre in uno dei primi tre film. Stiamo parlando d’altra parte di un film costato quasi 300 milioni di dollari: ormai il limite di Fast & Furious è l’inseguimento nello spazio, e non escludiamo che ci si possa arrivare intorno al dodicesimo o tredicesimo capitolo.

Una considerazione sul finale: Fast & Furious 8 è molto consapevole sia di avere un villain straordinario e che sarebbe sprecato in un singolo film, sia del fatto che non è facile superare la potenza narrativa di “il protagonista della saga è ora il cattivo”. E quindi risolve il doppio dilemma rimandandolo a data da destinarsi, lasciando in vita Cipher e spazio quindi alla possibilità di recuperarla in uno o più capitoli successivi. Finora la scommessa ha pagato – ma ne parleremo la prossima volta.

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