Fantozzi usciva 40 anni fa e insegnava cosa bisogna temere nella società moderna

I primi due film, quelli di Luciano Salce, hanno creato un piccolo mondo quasi identico al nostro nel quale ambientare delle straordinarie cautionary tales

Critico e giornalista cinematografico


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Sono 40 anni esatti che usiamo Fantozzi per leggere il nostro mondo e per dirci a vicenda di stare attenti agli effetti del potere. Al di là di qualsiasi valutazione critica, la versione filmica delle avventure del rag. Ugo Fantozzi ha infatti raggiunto quella che dovrebbe essere l’aspirazione massima di qualsiasi opera cinematografica, diventare una delle principali chiavi di lettura condivise della realtà, cambiare la maniera in cui guardiamo il mondo attraverso la capacità di mutare il significato delle immagini.

Nato sulla carta in due libri firmati da Paolo Villaggio, che da diversi anni compariva in televisione e al cinema come comico “cattivo” con personaggi che subivano e infliggevano un umorismo malvagio e sadico, Fantozzi diventa film nel 1975 grazie alla coppia De Bernardi/Benvenuti e a Luciano Salce.
Oggi qualunque appassionato del rag. Ugo Fantozzi sa che le sue avventure si dividono in due categorie: quelle dirette da Luciano Salce e il resto.

I primi due film di Fantozzi gonfiano l’universo dei libri aggiungendo esattamente ciò che gli mancava: la miseria che si sente e si vede

Del Fantozzi successivo, quello dal 1980 in poi, non vale la pena parlare, è una lenta ed inesorabile distruzione di una delle mitologie fondanti dell’era moderna della cultura popolare italiana. Fantozzi è infatti una cautionary tale alla nostra maniera, una coppia di film che arrivavano come alieni nei nostri cinema 40 anni fa. Lontani dalla tradizione imperante (quella dei grandi maestri della commedia o delle nuove leve degli anni ‘70, quella del cinema molto sobrio e controllato), privi di una trama propriamente detta ma pensati per scenette e fondati su un grottesco inedito in Italia (e mai più ripreso), i primi due film di Fantozzi gonfiano l’universo dei libri aggiungendo esattamente ciò che gli mancava: la miseria che si sente e si vede.

Se infatti Villaggio aveva già scritto le avventure perfette (i film ne fanno una trasposizione fedele alla lettera), aveva già inventato un lessico fatto di congiuntivi sbagliati, uso esasperato di un registro formale che nessuno padroneggia, aggettivi come "feroce", "disumano" e "mostruoso" e dialetto come unica forma di salvezza umana, i film arrivano a creare le immagini che servono per operare il passaggio da storia a mito.

https://www.youtube.com/watch?v=rh75rtqQ8Xc

Per questo i primi due film, firmati Luciano Salce, non hanno nulla in comune con i successivi di Neri Parenti che esaspera la mimica facciale di Villaggio, punta tutto sulla capacità del suo corpo di subire colpi e si appoggia ad un umorismo scatologico come unica soluzione, tralasciando la creazione di ambienti in cui farlo muovere. Fantozzi diventerà un clown, nel senso stretto del termine, qualcuno di cui ridere senza sentirsi in colpa, mentre per Luciano Salce il ragioniere è quella figura che bisogna avere paura di diventare nella società contemporanea, quella in cui i privilegi nobiliari non sono mai finiti, si sono solo trasferiti in altri luoghi di potere. La differenza la fa una messa in scena che, pur in grande economia di montaggio, crea davanti all’obiettivo un mondo reale e tangibile, formato da mille dettagli che portano le gag: le giacche e i baffetti da playboy d’ufficio di Calboni, le capigliature della sig.na Silvani e quelle di Pina, l’atteggiamento sbrigativo di Filini, la mestizia degli ambienti della megaditta e l’opulenza degli interni in legno dei piani superiori, la finestra che dà direttamente sulla sopraelevata, lo scantinato per la festa di capodanno, i riguardi dei direttori per i loro parenti e l’amarezza dei tentativi degli impiegatucci di vivere la vita ad un livello che non gli può appartenere.

Da queste basi nasce lo stile Fantozzi, attingendo allo spirito delle novelle di Gogol, in cui la cultura aziendale e impiegatizia è una scusa per riproporre dinamiche nobiliari (in Fantozzi i direttori sono sempre nobili, superiori per casta e non per merito), fondendolo con la parte più umoristica del grottesco felliniano (dialetti esasperati, uso comico del doppiaggio) e aggiungendo il gusto del dettaglio di Luciano Salce.

Il capodanno, la caccia, la gita in montagna, il megadirettore appassionato di biliardo (e le impagabili lezioni notturne con un maestro insonne spacciate per infedeltà coniugale), quello appassionato di gioco d’azzardo e quello appassionato di cinema espressionista tedesco, la cena con la sig.ina Silvani e la partita a tennis alle 6 del mattino (perchè nelle altre ore il campo è prenotato da appartenenti a caste via via superiori). Inadeguato ad ogni cosa Fantozzi è costretto da qualcuno o dall’aspettativa sociale a misurarsi con un mondo che non lo desidera e non è fatto a sua misura. Anche le cose migliori (come la visione di La corazzata Potemkin, nel film ribattezzata Kotionkin) gli vengono imposte con la forza e diventano intollerabili, sostituite ad una partita di calcio, calate dall’alto come punizioni ineludibili meritano l’urlo liberatorio e l’appellativo di “cagata pazzesca” (uno dei pochissimi momenti di ribellione che ovviamente finirà represso prima nella violenza, poi nell’umiliazione).

https://www.youtube.com/watch?v=4w-6negq3CY

Vestito inadeguato in ogni occasione Ugo Fantozzi è l’ultimo degli ultimi, nella società come nella vita, perchè è sempre ingranaggio di una macchina di cui non capisce nulla e non sa nulla, sfruttato dalle caste di censo superiore cui segretamente aspira, felice di essere triglia nell’acquario del direttore “medio progressista” che ha un inginocchiatoio nel suo ufficio, non è nessuno in particolare ma il cattivo gusto e la meschinità del mondo che abita sono reali e il rischio di diventare come lui appare dietro l’angolo ad ognuno. Anche per questo la sua parabola è diventata subito paradigmatica, è subito entrata nell’immaginario collettivo, perchè quel mondo creato da Salce ha lo stesso sapore delle parti meno concilianti e più spaventose del nostro. È un mondo in cui le case hanno una finestra che dà direttamente sulla sopraelevata ma è girato in una casa realmente posizionata in quella maniera.

Assieme a Salce, Benvenuti e De Bernardi, Paolo Villaggio aveva inventato per il cinema un mondo in cui in ultima analisi nessuno è salvo, il peggio è la regola e la prevaricazione una maledizione che ci si passa. I direttori vessano Fantozzi e Fantozzi si sfoga con Pina e la figlia. Lontanissimo da qualsiasi idealismo il mondo di Fantozzi è privo di solidarietà di classe, fiducia nell’altro o carità, in anni in cui la lotta politica sembrava l’unica cosa importante, mette in scena in ogni secondo la parte peggiore delle persone e l’irrimediabile condanna di ognuno a vivere in gruppo ma morire solo.

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