Fallout, una serie tv dai creatori di Westworld: perché c'è da essere esaltati e... spaventati

Fallout diventerà una serie tv dai creatori di Westworld, Jonathan Nolan e Lisa Joy: ecco perché siamo da un lato esaltati e dall'altro spaventati all'idea

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La notizia è di quelle che fanno tremare le ginocchia finché non ci si ferma un attimo a pensarci su: Amazon ha affidato a Jonathan Nolan e Lisa Joy, creatori tra le altre cose di Westworld, la produzione di una serie TV basata su Fallout, una serie di videogiochi nata nel 1997 e che da allora ha generato quattro capitoli principali e sei spin-off di varia natura distribuiti su una quindicina di piattaforme diverse, oltre a cinque progetti cancellati prima di arrivare a compimento e quattro giochi in scatola. L’annuncio è arrivato su Twitter, così, senza troppa fanfara:

...e ora ci tocca aspettare frementi che Amazon e Bethesda si decidano a rivelare qualche dettaglio in più sulla produzione. Il che è già una vittoria per la Bezosmachine, considerato che con venti secondi di teaser a costo quasi zero Amazon è riuscita a stuzzicare da un lato il fandom di Fallout, dall’altro quello di una serie seguitissima seppur non più amatissima come Westworld; e tutto senza dire veramente nulla sul progetto, se non che il marchio Fallout sta per allargarsi anche a un altro medium.

Quando uscirà? Chi la scriverà? Chi la dirigerà? Come sarà strutturata? In che senso “Fallout”? E il cast?

Ancora nulla, perché il progetto è ancora nelle fasi iniziali, quelle in cui Joy e Nolan rilasciano dichiarazioni tipo «ogni capitolo di Fallout ci ha impegnati per un sacco di ore che avremmo potuto spendere in compagnia della nostra famiglia, è molto eccitante lavorare con Todd Howard e il resto di Bethesda per portare in TV questo universo immenso, sovversivo e ricco di humor nero», le solite cose, insomma, che si dicono in questi casi per far capire che anche due pezzi da novanta come i creatori di Westworld stanno prendendo molto sul serio questa trasposizione e i fan devono stare tranquilli e prepararsi a qualcosa di magnifico, et cetera; se avessimo una lattina di Nuka-Cola per ogni volta che abbiamo assistito a questo teatrino non avremmo problemi di salute ma avremmo un bel gruzzoletto di tappi di bottiglia da spendere nei peggiori bar della post-apocalisse.

Fallout Duck and cover

L’ironia, o il sarcasmo, del paragrafo precedente è in realtà figlia di quel mix di preoccupazione ed eccitazione che accompagna la nascita di un progetto attesissimo e che, soprattutto, potrebbe diventare un nuovo classico quanto finire malissimo e offendere a morte un intero fandom.

IL BICCHIERE MEZZO PIENO DI RADIAZIONI

Da un lato, quello che chiameremo del bicchiere mezzo pieno di radiazioni, c’è la considerazione che per una volta l’arrivo di un franchise videoludico in televisione non coinciderà con mesi di speculazioni, critiche e petizioni su change.org relative al casting, perché Fallout è una serie costruita sul fascino della sua ambientazione, non sul carisma e la riconoscibilità di una manciata di personaggi. In altre parole non è The Witcher, che per mesi ha generato discussioni sull’adeguatezza o meno di Henry Cavill, Anya Chalotra e il resto della compagnia; non è Sonic, quel film in cui il modello del protagonista era talmente impresentabile che è riuscito a far funzionare le petizioni online per cambiarlo; non è Uncharted, al lavoro da così tanto tempo che l’attore che all’inizio era stato scelto per interpretare Nathan Drake ora dovrebbe interpretare Victor Sully.

No, è semplicemente Fallout, e Fallout è un’antologia, una collezione di storie dalla post-apocalisse tenute insieme da un’ambientazione abbastanza generica da poter essere declinata geograficamente in tutti i modi possibili (cioè 50, se ci limitiamo solo agli Stati Uniti) ma contemporaneamente fortemente caratterizzata da elementi estetici inconfondibili, in quella che è un’operazione un po’ Verhoeven-iana di rielaborazione satirica di certa propaganda pro-nucleare che spopolava in America negli anni Cinquanta.

In altre parole basta replicare quei pochi, riconoscibilissimi elementi che danno a Fallout una personalità unica nel panorama post-Mad Max dei “racconti sul nucleare” per assicurarsi il sostegno di una fanbase di milioni di persone. Il fatto che il tweet di lancio del progetto sia stilisticamente identico a un qualsiasi tweet promozionale di Bethesda degli ultimi 12 anni fa ben sperare: il successo della serie dipenderà in larga misura dall’aderenza al modello videoludico, non perché ci sia una legge che lo prescrive ma perché il modello è talmente forte, e talmente già pronto a fare il salto, che sarebbe sciocco allontanarsene per provare a fare altro.

fallout

UN PROBLEMA DI TONO

Dall’altro lato, però, quello del bicchiere mezzo pieno di radiazioni e per l’altra metà pieno di formiche carnivore, c’è un potenziale problema di tono, e qui è dove tocca ammettere che stiamo parlando di se, ma e pregiudizi senza avere per ora alcun modo di verificarli. Il punto è che, con l’esclusione forse del primissimo capitolo che manteneva una faccia seria per gran parte del tempo, Fallout è, come hanno riconosciuto anche Joy e Nolan, una serie divertente.

Di più: è una collezione di storie assurde, deliranti, buffe, esagerate e in certi casi esplicitamente stupide; Fallout, per farla semplice, fa ridere, deve fare ridere. Deve fare anche altro ovviamente, stimolare riflessioni etiche, spaventare, disgustare, sconvolgere, provocare; ma stiamo parlando di un franchise che già nel 1998 era ripieno di citazioni dei Monty Python e proponeva una missione nella quale bisognava sconfiggere il re dei ratti, Keeng Ra’at. Tra le cose che abbiamo fatto giocando ai vari Fallout nel corso degli anni c’è, per esempio:

  • far saltare in aria una città costruita intorno al culto di una bomba atomica inesplosa che sorge al centro della città stessa

  • spedire in orbita a bordo di due razzi un gruppo di ghoul (zombie intelligenti, per farla breve) fanatici religiosi convinti che nello spazio troveranno un santuario dove rifugiarsi

  • manipolare i controlli dei suddetti razzi e guardarli mentre volano a caso e si scontrano ed esplodono

  • incontrare un uomo-albero di nome Harold e scoprirne la straziante vicenda prima di farlo saltare per aria a colpi di fucile

  • diventare una pornostar nella città post-apocalittica di New Reno

  • vincere a braccio di ferro contro un supermutante di nome Francis

  • perdere a braccio di ferro contro un supermutante di nome Francis e diventare così il suo schiavo sessuale per una notte

  • scoprire un rifugio sotterraneo nel quale gli abitanti vivono immersi in una realtà virtuale che assomiglia a quella di Pleasantville (o a quella dell’inizio di Saints Row IV, se preferite)

  • assorbire abbastanza radiazioni da farsi spuntare un sesto dito del piede

  • tagliarsi il sesto dito del piede e mangiarselo (e sentirsi dire “You just ate your fucking toe!” dal gioco)

Ora, provate a confrontare tutto questo con il fatto che il team produttivo è quello dietro a Westworld, e capirete che il rischio che lo humor vada a farsi benedire in favore di facce serissime, drammi esistenziali e Grandi Riflessioni Filosofiche di quelle che si fanno tenendosi il mento tra pollice e indice con aria pensosa come in quella statua di Rodin è altissimo. E d’accordo, ripetiamo, è un pregiudizio, e neanche del tutto fondato: prima di dedicarsi alla seriosità a tutto tondo di Westworld, per esempio, Lisa Joy ha scritto qualche episodio di Pushing Daisies, una serie che faceva dello humor nero la sua arma più potente.

E anche Jonathan Nolan... no, OK, su di lui non abbiamo nulla da ritrattare: è un Autore Serissimo che ha sempre scritto e prodotto cose serissime e che in vent’anni di carriera avrà scritto forse un totale di cinque scene in cui qualcuno ride, sorride o ghigna. Ammetterete che un po’ di preoccupazione pregiudiziale è d’uopo.

UN'IPOTESI FOLLE

Ovviamente è ancora troppo presto per capire se nel bicchiere ci siano o meno le formiche carnivore, e per i primi giudizi fondati dobbiamo aspettare che Amazon e Bethesda si sbottonino un po’ di più. Dopodiché arriverà il momento in cui verrà annunciato il cast; ne ridiscuteremo allora, ma se possiamo permetterci di lanciare un amo vorremmo ricordare a Lisa Joy di quella volta che scrisse 19 episodi di Burn Notice, una serie in cui c’è Bruce Campbell, e sottolineare in particolare le parole “Bruce Campbell”. Infine lasciateci chiudere con un’ipotesi folle ma che se applicata potrebbe risolvere in un solo colpo un sacco di potenziali problemi di Fallout (casting, tono, budget, approccio alla violenza, possibilità narrative): e se venisse fuori che è una serie animata?

fallout poster

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