Facciamo ordine nel dibattito per il doppiaggio di Soul in Europa
Joe, il protagonista di Soul, ha la pelle nera, ed è inserito nella comunità afro-americana, ma allora perchè è doppiato da attori bianchi?
Il film è un racconto universale che vuole parlare al pubblico più vasto possibile. Ma la sua ambizione è anche quella di delineare una filosofia esistenziale, di descrivere quello che può essere il senso della vita, di ricercare nelle pieghe della vita di ciascuno le sfumature di bellezza. Questa scelta poetica non ha però impedito a Soul di radicarsi nella realtà. Per volontà dei registi seguiamo il protagonista, Joe Gardner, come mai fatto dalla Pixar prima d’ora. Entriamo nella sua vita, scopriamo la sua quotidianità. È un personaggio molto umano con cui tanti si possono identificare, a prescindere dall'appartenenza etnica.
Il problema del doppiaggio di Soul
In molti paesi europei il personaggio è stato però doppiato da attori appartenenti a un'etnia differente dalla sua, compresa anche l’Italia dove Joe ha la voce di Neri Marcorè. Questa decisione, (supponiamo) involontariamente condivisa dai direttori del doppiaggio delle edizioni localizzate, ha acceso il dibattito. In Portogallo più di 17.000 persone hanno firmato una petizione chiedendo alla Pixar di ridoppiare il film tenendo però conto dell’origine dei personaggi. Il "tradimento" non è stato subito solo dal protagonista infatti, ma anche dagli altri comprimari.
Cerchiamo di fare una sintesi di entrambe le posizioni che, in questi giorni, stanno interagendo adducendo le proprie ragioni in un vero e proprio dibattito diffuso tra stampa e social.
Le due posizioni
Gli attivisti che sostengono che Soul vada ridoppiato, vedono nella decisione di casting la prova del razzismo sistemico che infetta le nostre società. Sarebbe grave infatti se la scelta di affidare il doppiaggio di un personaggio nero a un doppiatore bianco fosse guidata dalla poca voglia o dalla scarsa attenzione. Si dice che la scelta di far doppiare un personaggio nero a un doppiatore bianco derivi dalla mancanza di attori disponibili. Se questo fosse vero sarebbe una conseguenza diretta proprio del problema che gli attivisti vogliono evidenziare. La mancanza di accesso nel settore, la disattenzione verso l'inclusione.
Far doppiare un personaggio nero a un attore bianco consisterebbe inoltre di una forma di appropriazione culturale, di un whitewashing con l'aggravante di tradire le intenzioni del film. Uno stravolgimento del personaggio, che penalizza il pubblico afroamericano, reso ancora più grave dal contenuto inclusivo della storia.
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Lie Kaas, il doppiatore danese di Joe, non ci sta. In un post su Facebook ha contro argomentato, sostenendo che la sua posizione a riguardo è semplicemente quella di far lavorare l’uomo o la donna più adatti alla parte.
Ogni giorno vado al lavoro e fingo di essere qualcun altro. Ho interpretato persone più intelligenti di me, più idiote di me, persone che non capisco, o di cui non condivido le opinioni. Ma sono grato di riuscire a capire cosa pensano e come si sentono gli altri.
Juan Logar, il direttore del doppiaggio spagnolo ha dato man forte al collega, aggiungendo al NewYorkTimes: “Il miglior doppiaggio è quello che non viene percepito. Il mio lavoro è quello di trovare la voce che meglio si abbina all’originale. Non importa se siano neri, bianchi, asiatici.” Ha inoltre sottolineato un problema che si è trovato ad affrontare nella fase di casting. In Spagna non si è ancora formata una consistente comunità di seconda generazione di immigrati. Per questo motivo, sostiene Logar, non ci sono molti attori neri nati in Spagna e in grado di recitare in dizione.
Al contrario, l’esempio della Francia dimostra però che, molto spesso, basta saper cercare nei luoghi giusti. La questione delle pari opportunità era infatti già stata affrontata nel 2007 quando un direttore del doppiaggio aveva rifiutato una parte a un’attrice di etnia mista. Se ne era molto parlato e le autorità erano intervenute con misure sistemiche. Da quel momento, le opportunità per i doppiatori francesi appartenenti alle minoranze etniche sono aumentate esponenzialmente. La discussione ha portato ad un effettivo e positivo cambiamento.
Ma perché è stato proprio Soul a innescare questo dibattito? Semplicemente perché in questo film la prospettiva di una persona con la pelle nera in America entra a far parte della struttura portante della trama in una maniera inscindibile. La Pixar ha addirittura assunto il regista e sceneggiatore Kemp Powers proprio per salvaguardare l'autenticità della storia e il rispetto culturale. È sua la scena indimenticabile dal barbiere, che aiuta a collocare la vita del personaggio in un tempo, in uno spazio e in una comunità precisa. Il suo contributo è andato a caratterizzare al meglio il protagonista e la sua psicologia rispetto all'ambiente in cui vive. Il Soul con cui gioca il titolo è l’anima, ma è anche un riferimento alla musica che è stata il mezzo di espressione della comunità afroamericana. Tradire questo legame culturale significa anche indebolire e distorcere l'esperienza del film.
La discussione in atto ha molti aspetti positivi: dimostra come il cinema non sia un’entità statica e slegata dalla contingenza. È anzi un bel segno di come le storie possano essere una luce che ci aiuta a leggere il presente venendone a loro volta influenzate. È la dimostrazione di come anche un film di animazione possa contribuire a cambiare la sensibilità e costruire (o suggerire) nuovi canoni culturali e nuovi modi di costruzione del vivere civile.
E voi cosa ne pensate del dibattito attorno al doppiaggio di Soul? Fatecelo sapere nei commenti.