La vera grandezza di The Fabelmans sta nelle tre bugie che racconta

The Fabelmans è un film che racconta di segreti e menzogne, attraverso bugie, per raccontare una storia che per forza di cose racconta una vita vera per grandi punti.

Condividi

Non poteva che partire dal cuore stesso della sua arte Steven Spielberg per realizzare The Fabelmans, film autobiografico e insieme magnifica esaltazione del suo amore per il cinema - tutto quanto, in tutti i suoi aspetti, sia storici che tecnici che finemente intellettuali. Forse Spielberg è il regista più popolare di sempre, ma è anche sicuramente uno dei più visceralmente legati all’idea di cinema come meraviglia infantile (non a caso si parla di “Spielberg Face” quando un personaggio guarda a bocca aperta un fuori campo che non vediamo). Per questo motivo The Fabelmans è un film che racconta di segreti e menzogne, attraverso tre diverse bugie (quelle del cinema), per narrare una storia personale che per forza di cose prende qua e là dalla vita reale per dare un senso più profondo sia a un’intera esistenza che ad una leggendaria carriera.

Non c’è bisogno di andare a pescare nei manuali per sapere che il cinema è una bugia. Nato come spettacolo delle attrazioni, ha poi sviluppato una sua grammatica tutta basata su un patto di verosimiglianza con lo spettatore: il regalo dell’impressione di una realtà che, giocando in un universo immaginario, può permettersi di rendere credibile l’incredibile e stupefacente la vita più ordinaria.

1. L’autobiografia come bugia

The Fabelmans è il ritratto della famiglia Spielberg dall’infanzia del giovane Steven. La prima menzogna quindi sta nei nomi: non Steven Spielberg ma Sammy Fabelman, un bambino di famiglia ebrea che però come quello reale nasce e cresce in Ohio per poi trasferirsi nella desertica Arizona. Certamente non sappiamo i dettagli della sua vita privata, eppure come per quello reale anche per Sammy il cinema è una folgorazione d’infanzia che nasce da una certa visione (non sveliamo troppo) che prima di farlo innamorare lo spaventa. Da qui parte l’avventurosa e quasi romantica storia di Sammy.

Come per magia, uno stacco di montaggio ci trasporta ad anni di distanza lasciandoci intendere tutto quello che passa nel mezzo; allo stesso modo, i parenti e gli amici che lo circondano - e lo ispirano - ci fanno capire subito da dove vengono certe sue fisse o tendenze. Per esempio la madre (Michelle Williams) come l’esagerata artista e pianista che gli fa amare tutto ciò che è misterioso, e che con la sua gioiosa follia gli dà idee creative che userà nei suoi film (ma che vengono tutte dalla sua testa, la madre è solo lo spunto). Allo stesso modo il padre (Paul Dano) come la disciplina, la razionalità, tutte qualità che ad un regista hollywoodiano da grandi budget servono per tenere il controllo della troupe e delle lavorazioni.

Il modo in cui Spielberg guarda sé stesso non è però adulatorio: non vede infatti Sammy come un bambino dal talento innato, ma come uno inciampato nel cinema attirato da una certa miccia, acceso da una curiosità e un desiderio di controllo che lo portano logicamente a fare quel mestiere. Il senso di un’intera vita si racconta con un semplice evento, finto nella sua dinamica precisa ma allo stesso tempo biograficamente valido. Un’idea di finzione tanto semplice quanto sublime, cinema e grammatica audiovisiva allo stato puro, oltre che di una persona evidentemente modesta, di un regista che sa benissimo che i racconti per immagini sono riassunti intelligenti di storie, mezze verità che messe insieme ne formano una intera. Niente di tutto questo è reale o strettamente veritiero, eppure niente meglio di questa grande bugia che è un film poteva raccontarci di come Spielberg è arrivato ad essere Spielberg.

2. La vita come bugia

La seconda bugia che racconta The Fabelmans è la vita stessa. Ovvero l’idea di vita (a prescindere da chi tu sia) come un caos di sentimenti tanto belli quanto oscuri, come un pasticcio dove anche le persone di buon cuore possono sbagliare ma perché spinte per una curiosità naturale a cercare la loro personale verità. Questa ricerca passa però per forza di cose dalla menzogna, da segreti, da omissioni. Ci si può volere bene, essere una famiglia, parenti o amici, eppure è come se Spielberg ci dicesse che, secondo lui, anche se non ci si può capire a vicenda fino in fondo la cosa più bella (e importante) della vita è condividere.

La vita è tutta una bugia, quindi, nella misura in cui esistono tante verità quante sono le persone che vivono. Ognuno ha la sua. Non c’è un giusto o sbagliato, c’è solo la pacifica consapevolezza (non rassegnata, ma quasi zen) che sia molto più importante amare e dare affetto che cercare di cambiare o di “leggere l’altro” ad ogni costo. Perché è semplicemente impossibile, ma è anche questo il bello.

3. Il cinema come bugia

È però, ovviamente, il modo in cui in The Fabelmans Spielberg parla di cinema, lo intende e lo usa ad essere la bugia più meravigliosa che questo ci potesse offrire. In primis, infatti, Spielberg ci dice una cosa molto chiara: che il cinema è prima di tutto paura, stupore e quindi desiderio di controllo. Il desiderio di mettere ordine nel caos attraverso la disposizione di corpi e oggetti nello spazio che, una volta filmati, diventano burattini in un piccolo mondo dove il regista è il demiurgo. Una sensazione di potenza che dà assuefazione e toglie di dosso quella paura primordiale. Spielberg si sofferma moltissimo sui momenti in cui Sammy taglia pellicole, lavora sulle bobine, sceglie e seleziona frame. È il momento fisico in cui la bugia del cinema è in atto: la celluloide che viene stagliuzzata e poi rimontata ad arte per arrivare a un preciso obiettivo narrativo o ad una certa reazione del pubblico.

The Fabelmans passa in rassegna e omaggia i più grandi generi del cinema hollywoodiano (l’horror, il film di guerra, il teen movie, il western, il melodramma…) facendoli mettere in scena da Sammy nei suoi filmini ma usandoli al tempo stesso per raccontarne la storia, in una bugia cinematografica al quadrato. Allo stesso modo ci fa vedere come funzionano gli effetti speciali, come si dirigono gli attori, come funziona il montaggio. Nessun aspetto di questa grande bugia viene dimenticato, perché Spielberg sa perfettamente che nell’arte del cinema ogni reparto conta e ogni dettaglio può fare la differenza.

È però mischiandosi al discorso sulla vita come bugia che quello del cinema compie un’acrobazia intellettuale che ha del miracoloso. Quello che ne viene fuori è infatti l’idea, da pelle d’oca, che il cinema sia al tempo stesso una realtà migliorata che una bugia rivelata, in entrambi i casi capace di avere un effetto reale e sconvolgente sulla vita delle persone.

The Fabelmans ci mostra infatti che un film non esiste senza una platea, o meglio uno spettatore: qualcuno che guardi e metta del sentimento o dell’intenzione in ciò che sta vedendo. Sia un genitore in un armadio che guarda un filmato familiare da solo, sia un compagno di scuola che insieme a tutti gli altri rimane sconvolto dal vedersi in un certo modo. E per chi guarda o si osserva su schermo il cinema può essere meglio della vita, oppure un riassunto per sommi capi, in ogni caso rivela qualcosa di così vero da togliere il fiato. L’effetto di questa bugia è travolgente, quasi metafisico.

E il cinema, mentendo, può cambiare le persone.

Trovate tutti i dettagli su The Fabelmans nella scheda

Continua a leggere su BadTaste