Exodus, Le Crociate, Il Gladiatore e gli altri. La storia dell'umanità secondo Ridley Scott

Nel meno fedele dei film storici di Scott sta la punta massima di un percorso nella storia dell’uomo che il regista ha condotto con una coerenza impressionante

Critico e giornalista cinematografico


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Niente di ciò che è raccontato nell’Esodo ha una base storica, nemmeno la data in cui si sarebbe svolto è chiara, eppure Ridley Scott è riuscito lo stesso a confezionare uno dei film con più deviazioni dalle cronache ufficiali della sua carriera. Più fasullo del fasullo la sua versione di una parte dell’Antico Testamento è puro mito e così va guardato (se avete deciso di spendere i soldi per un biglietto e volete godervi un film visivamente strabiliante). Non come la rappresentazione di I 10 comandamenti di Cecil B. DeMille, ottima per il catechismo, precisa e fedele alle scritture (sebbene piena di sottotesti) ma come un lavoro d’adattamento, di pura finzione.

Visto in questa maniera Exodus costituisce l’ultimo tassello della storia secondo Ridley Scott, un percorso (quello sì) molto preciso e coerente riguardo la natura umana. Forse uno dei temi ricorrenti più forti della sua filmografia.

Exodus costituisce l’ultimo tassello della storia secondo Ridley Scott, un percorso molto preciso e coerente riguardo la natura umana

Poco meno di un terzo dei film di Ridley Scott sono in costume, 6 su 22: I duellanti, 1492 - La conquista del paradiso, Il gladiatore, Le crociate, Robin Hood e Exodus. Di questi solo 2 sono basati su racconti privi di basi storiche ma appartenenti al reame della leggenda o della religione, tuttavia anche in questi casi al contesto storico va molta dell’attenzione del regista, un’attenzione che non fa quasi mai rima con “correttezza”. Scott non scrive i propri film, è il regista visivo per eccellenza dei nostri anni, ad inizio carriera ha cambiato la maniera in cui si intende la fantascienza proprio a partire dal design e dalla componente visiva (quel misto di scenografia, fotografia, trucco e costumi) e in seguito ha sempre realizzato film in cui scambiava volentieri un po’ di plausibilità per una buona inquadratura (celebre il duello a cavallo di I duellanti in cui entrambi cavalcano con il sole alle spalle) o la creazione di un ambiente suggestivo.

Lo stesso, guardando tutti insieme i suoi 6 film storici che coprono un lasso di tempo di circa 3100 anni dal 1300 a.C. di Exodus (l’ultimo) fino al 1800 di I duellanti (il primo), è facile rintracciare una visione univoca della storia umana e di come, secondo Scott, vada vista.

Ci sono elementi ricorrenti nei 6 film, richiami interni e un lungo elenco di coerenti deviazioni dalla storia come la raccontano i libri, che mostrano un piacere inconsueto nello sfruttare la religione e i suoi luoghi comuni per fare racconti molto atei. Insomma Ridley Scott non va mai preso sul serio e ha più volte dimostrato di non essere interessato ai fatti che racconta quanto a come li racconta.
Per spiegarmi meglio faccio l’esempio del cespuglio in fiamme. In Exodus Mosè non crede nel metafisico, figuriamoci in un Dio, almeno fino a che pascolando su un monte non ha una visione. Scott inventa un bambino come rappresentazione di Dio ma non rinuncia all’immagine biblica del cespuglio in fiamme (un classico). Sceglie cioè di inserire nella sua ricostruzione quell’immagine ritenendola buona e veritiera. In maniera diametralmente opposta nel 2005 diceva il contrario in Le crociate (che per inciso in originale si intitola Kingdom of heaven, il regno dei cieli) quando Orlando Bloom, nelle stesse terre in cui si muove Mosè, tira un sasso contro un cespuglio e questo prende fuoco. L’aria è così secca, il vento è tale e il legno così infiammabile che anche la scintilla di un sasso contro un altro basta ad incendiare un cespuglio. Le crociate è un film su uno dei grandi assedi di Gerusalemme, la terra religiosamente contesa per eccellenza, e quel segmento mostra l’opinabilità di uno dei più noti episodi della Bibbia e quindi la futilità di quello scontro. In entrambi i casi una gran scena ma non molta coerenza.

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Quello che Ridley Scott allora ama così tanto della storia, tanto da dedicargli quasi un terzo della propria filmografia, è la possibilità di fonderla con la leggenda, di ricostruire mondi lontani (anche I duellanti, con poco e a furia di paesaggi e fotografia pittorica, creava un passato perfetto). I suoi film ambientati nel presente o nel futuro non hanno strutture fisse o svolgimenti ricorrenti (si pensi alle differenze tra American Gangster e The counselor, tra Thelma e Louise e Black Rain o Il genio della truffa) mentre quelli storici raccontano sempre di un individuo, uno solo, in lotta con un destino che lo costringe a battersi. I suoi eroi storici sono uomini sempre legati ad una famiglia che vogliono proteggere o a cui desiderano tornare ma da cui sono divisi dalla loro stessa natura di eccezionali figure storiche che gli impone di lottare. La storia va guardata alla stessa maniera della leggenda (quindi Robin Hood ha lo stesso peso di Cristoforo Colombo, Mosè lo stesso peso storico di Baliano di Ibelin) e l’unica maniera che Ridley Scott ha per interpretarla è attraverso il conflitto obbligatorio.

Mosè e la sua famiglia di pastori abbandonata, i sogni di ricongiungimento del gladiatore, i figli di Colombo lasciati per la creazione di un mondo nuovo (che passa per lo scontro fisico anch’esso), la quiete familiare per tornare alla quale Armand d’Hubert duella un’ultima volta con il rivale di sempre Gabriel Feraud o addirittura l’invenzione della storia d’amore di Baliano e Robin Hood, sono tutti esempi di come la motivazione dei protagonisti se non è la famiglia lo diventa nel corso del film e di come la storia per Ridley Scott sia un lungo percorso nella sopraffazione, nell’esigenza di battersi per difendere se stesso e il proprio mondo (cioè i propri cari). Alla luce di quest’idea anche in Exodus lentamente le implausibilità storiche perdono di importanza ed emerge la costruzione dell’ennesimo paradiso perduto (da Mosè, dal popolo ebreo e alla fine anche dagli egizi) per l’esigenza di dover lottare contro la propria volontà. Quel che gli eroi storici di Scott hanno davanti a sè non è mai buono (per la loro tranquillità) come quello che hanno lasciato. Anche gli ebrei vengono lasciati non propriamente nella migliore delle situazioni nel finale di Exodus (per non dire di Mosè che è cieco).

 
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E proprio in questa prospettiva battagliera, in questo scontro di un eroe riluttante con un nemico che è tale solo perchè gli si oppone (gli egizi che non sono Ramses non sono dipinti come “i cattivi” e così i romani che non sono il folle imperatore o ancora il Saladino, anzi estremamente ragionevole) che si innesta sempre il sovrannaturale. Siano i sogni o anche solo la denominazione (“la conquista del paradiso”, il “regno dei cieli”) c’è un senso di predestinazione nella storia secondo Ridley Scott che devìa dalle cronache per flirtare con l’iconografia religiosa. Tradire volutamente, e alle volte grossolanamente, la realtà storica per essere libero di piegarla al mito e ad una visione metafisica. E proprio nel film in cui la religione è affrontata più direttamente (e in cui i dati storici sono minori) Scott si concede il massimo del tradimento da quel poco che si sa per certo o che è scritto nella Bibbia per finire addirittura a cambiare il punto di vista.

Exodus non è la storia dell’esodo del popolo ebreo come anche il titolo suggerirebbe (il popolo ebreo non ha nessuna personalità, solo un Ben Kingsley e in due scene) ma la storia di due fratelli che inizia quando il loro rapporto si rompe (con un evento metafisico, l’avverarsi di una profezia) e finisce con l’ultima volta che si vedono. Exodus è cioè di nuovo la storia di una famiglia spezzata e costretta a battersi da qualcun altro, in primis da quel Dio che converte Mosè, gli impone di lottare per il suo popolo e quando lo giudica troppo molle invia piaghe sanguinarie per acuire il conflitto fino a costringere i due fratelli alle armi.

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