EXCL - Venezia 74: Nick Hooker ci parla del suo documentario Agnelli
La nostra intervista in esclusiva con Nick Hooker, regista del documentario Agnelli presentato a Venezia 74 dentro la sezione Giornate Degli Autori
Abbiamo avuto il piacere di incontrare Hooker al Lido durante i giorni della presentazione di Agnelli alla stampa mondiale.
Come sei arrivato al progetto?
Il primo che mi ha consigliato di fare il film è stato Graydon Carter, capo di Vanity Fair negli Stati Uniti d'America [ndr: ha lasciato l'incarico pochi giorni fa]. Come sai quella rivista è interessata al matrimonio tra Potere, Glamour & Storia. Io mi sono subito appassionato anche se sapevo poco di Gianni Agnelli. Sapevo che aveva carisma e sospettavo che ci fosse una grande storia dietro quel playboy così popolare negli anni '60. Sono stato attratto da quel romanticismo alla Dolce Vita e anche per via del fatto che, casualmente, sono nato a Roma, ho accettato la sfida di Greydon provando a capire se c'era una grande storia dietro quell'uomo che potesse anche raccontare qualcosa dell'Italia.Quali sono stati i problemi principali che hai avuto durante la realizzazione del film?
Dover tagliare tanto. I documentari per me non devono mai durare più di due ore. Io dovevo realizzare un film per il pubblico americano per cui ho dovuto sintetizzare molto soprattutto la seconda parte, dal 1966 in poi, in cui la faccenda si fa molto intricata e politica. Volevo parlare della morte di Giovanni Alberto Agnelli, il figlio di Umberto il quale era fratello di Gianni. Era un giovane pieno di talento e di speranze e la sua morte è stata una maledizione per la famiglia. Purtroppo ho dovuto privare il final cut di tutto quel segmento. Per quanto riguarda la sezione della giovinezza c'erano storie stupende di amanti, intrighi e avventure che ho dovuto tagliare.Sembra che tu abbia trattato Gianni Agnelli come un personaggio alla Quarto Potere di Welles. Come mai ci è sembrato che la sua parabola somigliasse a quella di un tycoon da film?
Ho cercato di dargli effettivamente quella valenza cinematografica. Gli anni della Dolce Vita di Gianni Agnelli sono stati una reazione anche di post truamatic stress disorder in relazione agli anni della guerra. Aveva combattuto in Tunisia e quell'esperienza l'aveva segnato. Quando era lì uccisero un suo compagno a due centimetri da lui. Quando tornò in Italia cominciò a compiere atti di incoscienza pura, soprattutto con le macchine, al punto da risultare quasi suicida. La II Guerra Mondiale fu una grande avventura per la sua generazione. Per molti di loro la fine delle ostilità segnò l'inizio della depressione. Agnelli disse una volta: “Il giorno in cui provano ad assassinarti e non ci riescono è più interessante del giorno in cui non provano a farlo”.Quando Agnelli prende il potere della Fiat nel 1966 c'è subito la responsabilità. L'uomo sembra cambiare sguardo...
Lui era un militare. Sentiva la responsabilità del potere. Si svegliava alle 6 e andava in ufficio. Veniva da una città marziale e aveva fatto il cadetto militare in gioventù. Il potere andava gestito, in base a quell'educazione, in modo estremamente disciplinato.Quando parlava sembrava pesare molto le parole. Oggi gli uomini di potere ti sembrano altrettanto cauti?
No. Berlusconi ad esempio sembra il fratello kitsch di Agnelli. Gianni era come Gary Cooper. Berlusconi, il quale lo vedeva come un mito, sembra al massimo una macchietta.Tu cosa pensi del tuo paese? C'è un Agnelli ora?
Al momento abbiamo una versione demente di Berlusconi. Noi abbiamo un buffone, malato, figlio di miliardari. È addirittura diventato Presidente.E dal punto di vista economico, ci sono tycoon all'altezza di Gianni Agnelli in Usa?
No. Non c'è nessuno come lui nel mio paese. Si circondava di arte e classe acquistando Balthus, Tintoretto e Andy Warhol. Agnelli a volte riusciva a comprare l'arte più del momento anticipando collezionisti e intenditori d'arte.