EXCL – Il nostro reportage dal set di Exodus – Dei e Re [Seconda Parte]

Il viaggio sul set di Exodus - Dei e Re entra nel vivo insieme a Christian Bale, Joel Edgerton e Aaron Paul

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LEGGI LA PRIMA PARTE DEL REPORTAGE!

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Great t-shirt man, great t-shirt!

Imbocchiamo una strada ai lati del patibolo che termina in un lungo viale – 2oo, 300 metri - posto trasversalmente rispetto a noi. Nel breve tragitto c'imbattutiamo anche in Giannina Facio, la Signora Scott, che colloquia amabilmente con alcune persone. Da una parte una gargantuesca muraglia con un enorme portale ligneo, accesso al ghetto, dall'altra la via di terra battuta prosegue verso una zona con uno stile architettonico regale, sontuoso, come parte di quello visto entrando nel set. Su entrambi i lati, decine e decine di comparse. Vestite come schiavi ebrei e sudditi del faraone poste su file distinte e anteposte l'una all'altra.

Dobbiamo posizionarci dietro i monitor del regista Ridley Scott e non possiamo capire subito quello che stiamo per vedere. I colleghi inglesi colgono subito l'occasione per gustarsi un po' di ombra e tutti ci dissetiamo con dell'acqua o una qualche bibita ricca di sali minerali. Si suda copiosamente. Per fortuna, in ogni dove, possiamo allungare le nostre mani verso di quei provvidenziali secchi pieni di ghiaccio e lattine che avevamo già imparato ad apprezzare minuti prima al campo base.

Mentre i miei bulbi oculari scannerizzano l'area, sento dei passi alle mie spalle.

E' Christian Bale.

Che mi passa accanto, sfiorando la mia spalla, con la sua armatura.

Il portamento è regale e la robusta, ma longilinea, figura dell'attore gallese comunica sicurezza, determinazione da combattente.

Nel mentre, ci presentano Charlie, il documentarista che si occupa della regia dei video dal backstage che vedremo nel Blu-Ray, e ci spiegano che oggi sono presenti sul set 275 comparse e alcune decine dei cavalli. In totale gli equini “arruolati” per le riprese presso Almeria sono 55.

Viene ordinato a tutti di fare silenzio.

Impressionante constatare come un ambiente con qualche centinaio di persone fra attori, comparse, tecnici, assistenti, stagisti e giornalisti riesca a piombare in un repentino silenzio tombale. Tipo a scuola, quando il professore alza prepotentemente la voce a causa per l'eccessiva maretta serpeggiante fra i banchi.

Nella frazione di secondo successiva all'action gridato dal ciakkista, veniamo investiti da un'onda sonica.

Prima le comparse iniziano a gridare, ad acclamare, a agitare le braccia verso il cielo.

Poi la terra sotto i nostri piedi comincia a vibrare, a tremare, come nei primi istanti di un terremoto. Ma logicamente non si tratta di un sisma, bensì del passaggio di qualche decina di cavalieri e bighe ognuna delle quali trainata da ben due cavalli. Il quantitativo di decibel è elevatissimo.

Nelle due bighe che guidano l'armata i due protagonisti del film, Christian Bale e Joel Edgerton, che si ergono maestosi, dei veri leader, aiutati tanto dal loro fisico, quanto dai meravigliosi costumi di scena.

Terminato il ciak è un tripudio di “high five” reciproci e tutti si prendono un attimo di pausa.

Tutti tranne Christian Bale che, a pochi metri da me, ripassa, suppongo con un coordinatore degli stunt, delle mosse con la spada. La visione, inutile dirlo, risulta alquanto surreale, ma comunica in maniera nettissima l'incredibile livello di concentrazione e dedizione di un acclamato artista come l'attore gallese.

Quando il percorso davanti a noi si spopola – nei limiti di quanto possa svuotarsi un set abitato da centinaia di persone – la responsabile indica una persona dinoccolata seduta su uno sgabello a poca distanza da noi. “Ora vi porto a fare quattro chiacchiere con Arthur Max, lo scenografo del film che lavora con Ridley fin da Soldato Jane”. Mentre camminiamo verso di lui passa un membro della crew che, notando la mia t-shirt della Weyland-Yutani decisamente adeguata al contesto, esprime tutta la sua approvazione con un “Great t-shirt, man!”.

[caption id="attachment_95252" align="alignright" width="300"]Per il set di Exodus ci voleva un look adeguato a una pellicola di Ridley Scott. Per il set di Exodus ci voleva un look adeguato a una pellicola di Ridley Scott.[/caption]

Arrivati d'innanzi allo scenografo, questi si scusa subito per il fatto che non può salutarci scendendo dallo sgabello “Scusate se resto seduto, ma ieri ho inciampato su una roccia e mi ritrovo con un piede così gonfio che può competere con quello di Ramses che dovreste aver visto entrando sul set”. Il volume delle nostre voci non si mantiene costante perché, per un paio di volte, dobbiamo abbassare il tono. Il team della Double Negative deve effettuare delle riprese di riferimento da utilizzare per la post produzione e, mentre parliamo con lo scenografo, vediamo una comparsa che cavalca verso l'imponente portale tenendo in mano un palo nella cui estremità è posizionata una sfera metallica. Intorno a noi, un numero non meglio precisato di RED Epic. Exodus – Dei e Re è girato in digitale e in 3D nativo e, vicino a noi, Peter Chiang, il VFX Supervisor, tiene tutto sotto controllo.

Tornando ad Arthur Max, per il resoconto completo dell'incontro, rimando logicamente all'apposita intervista in arrivo nei prossimi giorni.

Viene imposta una nuova pausa perché Bale, Edgerton and co. devono girare l'altra scena.

Al termine della ripresa e dopo aver amabilmente colloquiato insieme agli altri colleghi con un veterano di Hollywood, non posso non rimanere impressionato sull'atmosfera incredibilmente positiva che si respira sul set. Pare di stare in gita fra amici e non all'interno di un'area grande come un paese di provincia allestita con un impianto scenografico da 50 milioni di dollari che impiega centinaia di persone fra attori, comparse, tecnici e via discorrendo. E' tutto estremamente “easy”, disteso, informale. Privo di qualsivoglia stress palpabile. Mentre penso tutto ciò, come a rimarcare concretamente la fondatezza dei miei pensieri, passa vicino a noi una signora bionda di mezza età. Arthur Max esclama “Gente, salutiamo tutti insieme Janty Yates, la realizzatrice degli splendidi costumi del film!”.

“Oh, Arthur, non far capire così facilmente che siamo i più grandi fan l'uno dell'altra!”.

La chiacchierata con lei avverrà dopo il lunch break.

Per un po' siamo liberi di curiosare intorno e io m'imbatto nuovamente nel membro della crew che aveva apprezzato la maglietta. Mi placca e comincia a raccontarmi ex abrupto “Sai, tre anni fa mi arriva questa telefonata in cui mi dicono semplicemente 'Ridley Scott. Fantascienza. Prequel di Alien. Sei dei nostri?'. Il giorno dopo ero già in Islanda a lavorare sul set di Prometheus. Great t-shirt man, great t-shirt!”. Prima della pausa pranzo abbiamo tempo per un ulteriore tappa - una visita agli uffici mobili della produzione posti su un altura a un paio di chilometri rispetto alla nostra posizione. -  preceduta da un rapido stop al di sotto di un tendone dove possiamo studiare, su dei televisori da circa 50 pollici, una delle scene girate da Scott il giorno prima: Giosué (Aaron Paul) che, calvo e legato a una pietra, viene frustato da un soldato egiziano. I vari tv ci mostrano il passaggio da svariate angolature di ripresa e, uno di essi, la visualizza con e senza post-produzione fotografica.

Si rende necessario salire nuovamente a bordo dei furgoncini che ci trasportano in quest'ennesima zona “colonizzata” dalla mastodontica macchina produttiva della 20Th Century Fox. I vari dipartimenti della pellicola – editing, produzione, effetti speciali e così via – sono tutti all'interno di un vero e proprio dedalo di container comunicanti fra loro. Da fuori l'aspetto è quello basilare, spartano di una qualsiasi struttura modulare tipo protezione civile, ma dentro, per quel poco che abbiamo potuto vedere attraversandoli, la dotazione tecnologica fa invidia alla NASA. Naturalmente non ci viene concesso di curiosare in giro a nostro piacere come sul set. Ognuna di quelle stanze contiene qualche segreto più o meno grande sulla pellicola di Scott, materiali che non possono essere visionati neanche da un ristretto manipolo di dieci giornalisti selezionati fra quelli di tutto il mondo per raccontarvi la vita sul set di un kolossal da centinaia di milioni di dollari.

Una giovane stagista, chiamata via walkie talkie da Linda, arriva di gran carriera per sbloccare la porta – detta così sembra quasi la fase di esplorazione del dungeon di qualche videogame – di un ufficio in cui, sullo schermo di un iMac, ci vengono mostrate una ventina di foto di Exodus. Si tratta d'immagini già post-prodotte ottenute durante la sessione di riprese effettuata a Pinewood. Probabilmente, nel giorno in cui leggerete questo reportage, alcune di esse saranno già state rese pubbliche dalla Fox attraverso qualche esclusiva o general release. Le pareti dell'ufficio sono interamente tappezzate di concept e previsualizzazioni della pellicola.

Sul monitor del computer Apple scorrono in uno slideshow:

  • Joel Edgerton con un pitone albino intorno al collo

  • Ridley Scott e Sigourney Weaver che parlano durante le riprese

  • Mosé e Ramses a palazzo

  • Un momento a corte con Christian Bale, Joel Edgerton, John Turturro e Sigourney Weaver

  • Un altro attimo della vita nel palazzo reale in cui ritroviamo Sigourney Weaver e John Turturro

  • Joel Edgerton, in una pausa fra i ciak, gioca a fare la donna egiziana di un geroglifico. Tipo le Bananarama in Walk lyke an Egyptian per capirci

  • Sono passati 10 anni: Mosé è bandito dall'Egitto perché ebreo. Capisce di voler salvare il suo popolo

  • Il funerale di Seti

  • Mosé che torna dal suo “fratellastro” Ramses II e cerca di farlo ragionare convicendolo a liberare gli ebrei

  • Un frame di una scena in cui c'è il cavallo di Ramses e Mosé effettua un segnale atto a indicare che le cose potrebbero peggiorare

  • Christian Bale accanto a Sir Ben Kingsley

  • Momento di tensione in cui Mosé potrebbe uccidere Ramses, ma decide di non farlo

  • Mosé prepara alla guerra gli ebrei

  • Aaron Paul in una frenetica corsa

  • Il ritorno di Mosé

La permanenza presso gli uffici di produzione termina con quest'ultima foto. Si è fatto tardi e dopo cinque ore di sole, sabbia e vento tutti noi cominciamo ad avvertire i morsi della fame. La pausa pranzo arriva provvidenziale e si palesa come l'ennesimo momento in cui possiamo condividere la vera vita di un set. Ad eccezione dei protagonisti, che per ovvie ragioni, consumano i loro pasti nella calma delle roulotte, tutte le maestranze e le comparse si mettono diligentemente in fila sotto l'enorme tendone del catering. Io mi ritrovo precisamente fra un armadio a quattro ante, la controfigura di Christian Bale, e una graziosissima schiava ebrea. Se v'interessa sapere di cosa io mi sia cibato, la mia scelta è ricaduta sulla paella e un'abbondante, rinfrescante insalata mista. A fine pasto, mi sono pure ritrovato a prendere il caffè con Arthur Max che, dopo avermi salutato, si mette a colloquiare amabilmente con il ragazzo del bar.

Linda chiama a raccolta i giornalisti. “Ragazzi, ragazze, rientriamo sul set che è il momento di fare una bella chiacchierata con la nostra meravigliosa costumista, ma prima...”.

Già, ma prima. Ma prima?

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In the ghetto

Passiamo proprio davanti a Janty Jates che, appoggiata a una jeep, sta mangiando il suo cestino mentre chiacchiera con un collega. “Gentlemen, finisco un secondo il mio pudding e sono subito da voi”. Battute all'insegna del “British pride” anche sotto il sole dell'Andalusia.

Abbiamo finalmente accesso a ciò che sta al di là del portone ligneo che abbiamo visto praticamente all'inizio del tour. Dietro di esso le case del ghetto ebreo. Gli occhi di tutti vengono facilmente ingannati dalla pregevole fattura degli edifici. Paiono di terracotta e paglia, ma in realtà è un mix di legno e materiali plastici. Girovaghiamo un po' per le vie - sì, le vie - dell'area finché non veniamo richiamati per parlare con Aaron Paul. Che ci raggiunge con una perfetta mise da schiavo ebreo del tempo: capelli e barba lunghi, una tunica di juta legata in vita da una corda. "Ho deciso di adottare questo look nella vita di tutti i giorni" scherza la star di Breaking Bad.

Terminato di parlare con l'attore conosciuto da molti come Jesse Pinkman ci mettiamo diligentemente in marcia verso l'ingresso della grande piazza coi piedi giganti, il patibolo e le grandi scalinate. Ci accomodiamo sui gradoni dell'ingresso al tempio e, dinnanzi a noi, viene posizionata una sedia sulla quale, nei circa 90 minuti seguenti, si avvicendano Janty Jates, il produttore Mark Huffam, uno che quando non produce Il Trono di Spade, Salvate il Soldato Ryan e Mamma Mia! è anche CBE (Commander of the Order of the British Empire) e il co-protagonista del kolossal, Joel Edgerton. Per il resoconto puntuale dei vari Botta&Risposta fra noi esponenti della stampa e i vari talent, rimandiamo agli appositi articoli che pubblicheremo nei prossimi giorni.

La cronaca di questo nostro viaggio nel tempo continua con l'ultima parte dell'esplorazione del mastodontico set di Exodus - Dei e Re. Già perché prima di andarsene dopo ben mezz'ora di chiacchierata, Joel Edgerton si è rivolto, con fare scherzoso, alla responsabile del set e alla Pr Manager della Fox dicendo loro: “mi raccomando, portateli anche sul campo di lavoro e mostrate ai ragazzi la mia villa e la mia testa gigante che sennò mi offendo!”. Veniamo condotti fuori dal set,

[caption id="attachment_95253" align="alignright" width="300"]La vista aerea del deserto di El Chorrillo e Las Tabernas. La vista aerea del deserto di El Chorrillo e Las Tabernas.[/caption]

nella zona col tendone del catering, in attesa dell'arrivo delle navette. Fra noi giornalisti l'entusiasmo è palpabile, una sensazione oltre il concetto stesso di elettrizzante in grado di far passare completamente in secondo piano la stanchezza, l'acido lattico che impregna i muscoli. L'impressione è davvero quella di aver avuto modo di “toccare con mano” un film che, a prescindere dall'esito artistico finale, segnerà uno step fondamentale dal punto di vista della macchina produttiva. Una prova di forza non indifferente della 20Th Century Fox che, ai nostri giorni, pochi registi sono in grado di ottenere e gestire.

Mentre questi pensieri attraversano i miei neuroni e le mie sinapsi, una Range Rover bianca transita, a passo d'uomo, a due metri e mezzo da me. All'interno, una persona mi guarda e mi saluta agitando calorosamente la mano. E' Joel Edgerton che mi fa “Ciao!” come se fossimo stati a ubriacarci al pub fino a due minuti prima, fra un commento triviale sul davanzale della tipa al tavolo davanti a noi e delle massime di vita espresse a un volume vocale elevato in maniera direttamente proporzionale al quantitativo di birra tracannato. Alzo la mano automaticamente, in preda allo stupore e ricambio. Un momento all'insegna del più proverbiale degli starstruck.

Saliamo nuovamente sui furgoncini e i driver ci conducono verso un settore posto su un declivio che, delicatamente, diventa una pianura con una strada contornata da rigogliose palme. Quella che abbiamo visto da lontano arrivando. Peraltro, gradualmente, realizziamo che quei caseggiati che abbiamo intravisto in lontananza appena giunti sul set non sono case abbandonate da chissà chi. Sono altre strutture edificate per il film, nella fattispecie quelle impiegate per dare vita al bazaar cittadino. Sulla sinistra, rispetto al nostra posizione, un'amplia spianata con bassi tendaggi e decine e decine di mattoni disposti in maniera ordinata. E' il campo di lavoro degli schiavi ebrei che viene costantemente monitorato dall'imponente statua raffigurante il viso di Ramses II. Il vento ci accompagna anche lì in maniera incessante, anche più intensa che nelle altre parti visitate. “Ridley ama tantissimo il vento, le condizioni atmosferiche degli esterni” spiega Linda come se avesse intercettato i nostri pensieri “Soprattutto il vento. Rende più vivo, reale quello che si va a catturare con la macchina da presa”. La sabbia stabilmente insediatasi in fra i nostri capelli conferma ogni singola parola. Linda continua “La porzione di casa che vedete laggiù”, e a questo punto la nostra attenzione si va a focalizzare su un edificio e delle colonne 'dimezzate', “è la villa di Ramses II. Naturalmente poi verrà ampliata con gli effetti di post-produzione, così come la vista che il Faraone godrà dal colonnato. Le splendide palme che vedete lungo la via che abbiamo attraversato prima stavano già qua, ma erano mal messe. Abbiamo chiesto alle autorità di Almeria il permesso di poterle rimetterle in sesto ed eccole qua: magnifiche e rigogliose come non mai!”.

E' a questo punto che ci accomiatiamo da Linda che, da perfetta padrona di casa, ci saluta in maniera estremamente calorosa “Ragazzi, e ragazze ovviamente, grazie per la vostra pazienza e per aver partecipato a questa lunga, faticosa visita su questo set abbastanza differente dal solito teatro di posa. Spero che siate riusciti a raccogliere dei materiali interessanti e a a nome di Ridley, Christian, Joel, Aaron e tutti gli altri membri del cast e del team di Exodus vi do appuntamento all'uscita del film”. Nell'attimo in cui Linda pronuncia le parole “materiali interessanti” tutti noi giornalisti strabuzziamo gli occhi, in maniera quasi involontaria, un frangente all'insegna del “body language” più sincero che lei capta con stra-giustificata soddisfazione.

E il “ritorno alla modernità”, il nostro “esodo” fuori dall'antico Egitto e dal regno del faraone Ramses II è reso meno traumatico dal nuovo viaggio attraverso le asperità del deserto spagnolo. Una durezza geografica che lascia lentamente spazio alla visione di un mare azzurro che, a inizio novembre, pare conservare ancora tutto quel calore e splendore di un'estate che pare non finire mai del tutto nel sud della penisola Iberica.

La nebbia del primo mattino è solo un vago ricordo.

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