EXCL - Il nostro reportage dal set di Exodus - Dei e Re [Prima Parte]

Sole, nebbia, sabbia e sguardi colmi di stupore nella prima parte del nostro reportage dal set di Exodus - Dei e Re

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In una fase della mia esistenza posta a distanza siderale da quella che, genericamente, viene indicata come tenera età, posso dire di aver scoperto l'autentico significato di un paio di cose, non necessariamente così scontate.

La prima: cosa voglia dire avvertire sulla propria pelle il cosiddetto “Wow factor!”.

La seconda: provare le medesime sensazioni dei protagonisti di quelle storie in cui si viaggia indietro nel tempo, in epoche tanto distanti da risultare paragonabili a quelle di vicende ambientate in galassie lontane lontane.

Datemi qualche secondo per riordinare le idee e capire come sbrogliare il bandolo della matassa. Poi tutto diventerà più chiaro; anche per voi che state leggendo.

Sole e nebbia

Accostamento bizzarro, direte voi.

Ma Almeria è così. L'ho scoperto sulla mia pelle.

Sbarco all'aeroporto insieme ai colleghi di Yahoo Movies Uk, Mtv Movies, Total Film e Rtve e, ad accogliermi, trovo un caldo e intenso sole. Un tepore che, alle 17 del pomeriggio, in Italia, potrebbe abbracciarmi verso la fine di settembre solo in quelle parti dello stivale una volta note come Magna Grecia.

Un regalo climatico particolarmente gradito dai colleghi londinesi, ma anche dal sottoscritto, partito dalla penisola alle 7 di mattina di un gelido 6 novembre con uno strato iniziale composto da un piumino e uno finale a base di t-shirt geek Nintendo.

[caption id="attachment_95200" align="alignright" width="224"]Malgrado il sole, la partenza dall'Italia è accompagnata dal gelo novembrino. Il particolare dell'elica fa molto Indiana Jones. Malgrado il sole, la partenza dall'Italia è accompagnata dal gelo novembrino. Il particolare dell'elica fa molto Indiana Jones.[/caption]

Mando avanti veloce la parte in cui veniamo accompagnati al resort e ognuno di noi si rilassa sotto la doccia dopo i vari voli e scali prima di recarsi al rendez vouz pre-pasto nella hall.

La parte della cena, svoltasi in un ristorante ricavato all'interno di una grotta sulla strada litoranea di Almeria, meriterebbe un capitolo a sé a dire il vero già per la location dell'esercizio, ma poi dovrei anche citare come una ventina di professionisti dell'informazione giunti dai quattro angoli del globo si siano ritrovati smodatamente alticci già alla fine dell'antipasto a discutere delle strategie di marketing delle major, specie in relazione ai cinecomic. E ci tengo a fornire una – magari poco credibile – idea di professionalità tanto per il sottoscritto quando per i colleghi presenti.

Però sembrava una di quelle battute tipo “Ci sono un italiano, un inglese e un tedesco al ristorante che parlano fra di loro di Kevin Feige e della politica dei Marvel Studios”.

Per cui, dopo una cena con così tante portate che già alla fine della stessa tutti noi faticavamo a ricordare cosa e quanto avessimo mangiato – magari per via dello zampino messo dai fiumi di ottimo vino rosso andaluso e dai magici bicchieri che non si suotavano mai - vado a coricarmi. Per risvegliarmi, il mattino dopo, "allietato" da un nebbia così fitta che mi risulta impossibile vedere la palma posta nel giardino dell'albergo a pochi metri dal terrazzo della stanza dove alloggio.

Un'atmosfera, una location più adatta alla trasposizione del Mastino di Baskerville o di qualche racconto o romanzo di fantasmi Made in England che alla vicenda dell'esodo del popolo ebraico dall'Egitto alla Terra Promessa.

O, visto che ho a che fare con Ridley Scott, per il visionario prologo di un Prometheus 2. Che, a quanto pare, il regista inglese non dirigerà.

Malgrado l'abbondante e soddisfacente colazione, condivido con tutta la ciurma un certo scoraggiamento "atmosferico". E considerate che la mia indole hobbit viene sempre allietata dai lauti breakfast quindi se il clima aveva succhiato via tutta la gioia dal mio corpo a mo' di Dissennatore di Harry Potter, capirete che il tempo era davvero pessimo.

“Non temete, io sono originaria di queste zone. Siamo vicini al mare, quindi è normale. Vedrete, una volta arrivati sul set del film fra le montagne che circondano Almeria moriremo di caldo e saranno almeno 28, 29 gradi”.

Tutto il ristretto team dei giornalisti web invitati dalla 20Th Century Fox sul set spagnolo di Exodus non può fare a meno che fidarsi. D'altronde se la collega della Radiotelevisión Española è nata qua, sa indubbiamente il fatto suo in materia.

Personalmente abito a pochi passi dal mare e sono ben avvezzo alla densa foschia mattutina che arriva dall'Adriatico a partire dall'autunno fino alla primavera inoltrata.

Ma qua parlo di una coltre che offrirebbe una sfida degna di nota anche ai fendenti del machete di Danny Trejo nelle due famose pellicole di Robert Rodriguez. E ci aggiungo anche il fake trailer visto insieme a Planet Terror, giusto per abbondare.

Insomma, un pochettino di scetticismo c'era e già mi vedevo a dorso di un FortunaDrago in fuga dal nulla che avanza.

Una volta salito su uno dei due van diretti al Base Camp del set e dopo aver percorso circa una ventina di chilometri verso l'entroterra di Almeria, scambio con gli altri uno sguardo all'insegna dello stupore genuino.

Il primo di una lunga serie, peraltro.

Sopra le nostre teste il cielo è letteralmente diviso a metà, neanche fossimo davvero finiti all'interno di una di quelle illustrazioni bibliche col cielo spaccato in due: in direzione del mare tutto è grigio, nebbioso, carico di umidità. Di fronte a noi, verso le montagne cotte, brulle e arse dal sole, tutto splende di una luce chiara, cristallina, limpida.

Siamo finiti in un'opera di Gustave Doré.

L'indicatore meteo del Mercedes segna 28°. Laura, la giornalista spagnola, ci guarda annuendo con la testa. L'aveva detto, lei.

Sole e nebbia.

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Wow Factor!

A prescindere dall'esperienza in materia di set visit posseduta da ognuno di noi, transitare su una rotatoria in cui una delle uscite è presidiata da un tizio con pettorina catarifrangente e walkie-talkie che regola l'accesso alla strada consentendo il passaggio solo ai mezzi autorizzati dalla produzione, mentre un paio di soldati in mimetica armati di mitra gli fanno compagnia, è spiazzante. Nella mia testa mi metto a fare dei calcoli, il proverbiale 1+1.

Solo che questa volta la somma degli addendi non dà 2 come risultato, bensì 200.

Arrivato al campo base allestito su un campo da calcio, ripeto, CAMPO-DA-CALCIO, ritiro insieme agli altri i badge che garantiscono l'ingresso nell'area dove Ridley Scott sta già girando da qualche ora. Tutt'intorno camion, tendoni di dimensioni abnormi, container e furgoni del catering, cestoni pieni di ghiaccio per mantenere l'acqua e le bevande saline

[caption id="attachment_95201" align="alignright" width="300"]La palma davanti alla mia stanza. Il pomeriggio del mio arrivo riuscivo a vederla. La mattina dopo no. La palma davanti alla mia stanza. Il pomeriggio del mio arrivo riuscivo a vederla. La mattina dopo no, per via della nebbia.[/caption]

ben fresche, gente indaffarata in ogni dove. Il vento e il continuo via vai di vetture sollevano tonnellate di sabbia e tutti, a intermittenza, ci portiamo la t-shirt o la sciarpa di cotone alla bocca, come dei navigati predoni del deserto. Perdonate il poco elegante passaggio di questo racconto dal singolare al plurale già avvenuto qualche riga fa, ma amo la comunicazione metatestuale e, soprattutto, la collettività di questa esperienza merita di essere sottolineata a doppia mandata.

Saliamo su altri due furgoni, più adatti a percorrere strade sterrate, e iniziamo a inerpicarci in salita lungo un viottolo scavato nella roccia. Ai due lati possiamo solo vedere le venature e il rosso vivo della pietra, della terra del deserto di El Chorrillo.

Poi una curva a destra, la strada comincia a scendere.

La responsabile della Fox c'invita a guardare verso la valle che si apre nella medesima direzione della svolta. Smettiamo di sbattere le palpebre di fronte al panorama che si para innanzi. Tutta la vallata è occupata dal faraonico – è, banalmente, il caso di dirlo – set del film di Ridley Scott.

Tutta.

La.

Vallata.

Dobbiamo girare all'unisono la testa da sinistra a destra come se stessimo facendo una foto panoramica con uno smartphone per abbracciare con lo sguardo la globalità del ciclopico paesaggio.

Da lontano intravediamo delle altissime impalcature che sorreggono dei pannelli. Alti quasi come un palazzo di tre piani. Sulla sinistra un lungo viale in terra battuta circondato da rigogliose palme e da palazzine che paiono delle case abbandonate di un villaggio vecchio chissà quanto. Un po' più in alto, un'altra struttura con delle grandi colonne ai piedi della quale si estende una spianata con dei tendaggi e altri elementi scenografici che, data la lontananza, non riusciamo a “decifrare”. La testa gigante della statua del faraone è, invece, perfettamente chiara anche da una certa distanza e tutti riusciamo a discernere l'effettiva somiglianza col volto di Joel Edgerton.

Nel van è tutto un “Wow, it's gigantic!”, “It's incredibly HUGE!”, “Impressive!”. Forse a qualcuno è scappato anche un inevitabile, poco signorile, ma appropriato “What the fuck!”.

Benvenuti al Ridley Scott Park.

Time Travel

Giungiamo finalmente a destinazione.

Non facciamo in tempo ad appoggiare le suole delle scarpe sulla sabbia rossa del deserto di El Chorrillo che subito non possiamo non notare un paio di cose tanto lampanti, quanto bizzarre:

  1. il manichino di un cadavere con in mano un cartello appoggiato a uno dei due ingressi dell'area ristoro/catering

  2. un tizio dall'incarnato scuro con una vistosa, regale e sontuosa armatura dorata che se ne sta di spalle rispetto a noi di fianco a un dolly, con un'addetta del make-up che termina alcuni ritocchi sul suo viso.

Si volta.

Ci scruta quasi incuriosito dalle nostre occhiate piene d'interesse.

“Hi everybody!”.

Nonostante le tonnellate di abbronzatura finta, il kajal nero sugli occhi, il cranio rasato e il lucente costume, è impossibile per il sottoscritto - l'unico della combriccola multinazionale ad aver subito centrato il bersaglio - non riconoscere al volo Joel Edgerton, il giovane Zio Owen Lars dei prequel di Guerre Stellari. Sì, lo so, potrei citare un qualsiasi degli altri lungometraggi interpretati ottimamente dall'attore australiano, ma ho un po' il pallino con Star Wars. Grossomodo dal 1982.

Ma non divaghiamo e torniamo a Exodus.

Camminiamo qualche altro metro fino ad arrivare all'ingresso del set situato in un amplia intercapedine dell'alta impalcatura vista in precedenza.

Lo attraversiamo e ci ritroviamo catapultati indietro nel tempo di qualche migliaio di anni. La grande piazza quadrata che ci accoglie è suddivisa in più settori, ognuno dei quali in grado di adempiere a diversi scopi narrativi.

Un gigantesco pannello per il green screen e l'estensione digitale degli edifici è posto al di sopra della scalinata, della parete e dell'ingresso alla reggia alla nostra destra, dei piedi giganti – appartenenti alla statua di Ramses II che gli schiavi ebrei stanno costruendo per il Faraone – stanno su un pedistallo quasi al centro dell'area. Dietro di essi un'altra scalinata alla base della quale, spostato un po' a sinistra, possiamo vedere un alto patibolo.

Una decina di manichini appesi al cappio oscillano, mossi dall'incessante vento del deserto. Il rumore del legno scricchiolante del patibolo è ben udibile e fa da surreale contrappunto al silenzio stupito di noi giornalisti.

Fossimo noi i protagonisti di un film, saremmo di certo stati inquadrati con una Spielberg face. Senza ombra di dubbio.

Gli incaricati della major e la direttrice del set ci guardano divertiti e con genuina soddisfazione.

Mentre osserviamo “eyes wide open” la fastosità della struttura, nella zona appena superiore stanno girando una scena.

Linda, la responsabile del set, ci spiega:

“Oggi vedrete girare due scene, la 5 e la 12. Si tratta di quelle in cui Rames II e Mosé vanno e tornano dalla battaglia di Kadesh. Però adesso dobbiamo raggiungere un'altra zona facendo silenzio che stanno per girare”.

Ma per conoscere il prosieguo del nostro viaggio, dovrete attendere ancora un po'.

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