EXCL - Paolo Genovese ci racconta i segreti di Perfetti Sconosciuti!
Abbiamo incontrato in esclusiva Paolo Genovese, regista del quasi perfetto Perfetti sconosciuti. Con lui parliamo dei segreti del suo film e non solo
"Sette film in sette anni come il film Sette Chili In Sette Giorni".
Così riflette a voce alta sulla sua recente porzione di filmografia 2010-2016 il romano Paolo Genovese, ex regista pubblicitario ed ex cineasta surrealista quando era in coppia con il sodale Luca Miniero ai tempi di Incantesimo Napoletano (2002) e Nessun Messaggio in Segreteria (2005). Poi i due si sono separati e sono diventati, da registi di nicchia quali erano, campioni della commedia mainstream. Dopo l'ultimo film insieme Questa Notte è Ancora Nostra (2008), Paolo è andato a fare lo "shooter" per Aldo, Giovanni e Giacomo (La Banda dei Babbi Natale) prima del dittico di grande successo Immaturi (2011) e Immaturi - Il Viaggio (2012) seguito da Una Famiglia Perfetta (2012), Tutta Colpa di Freud (2014) e Sei Mai Stata Sulla Luna? (2015).
Da coppia a singoli e da surrealisti a nazionalpopolari. Quella di Miniero e Genovese è una carriera sui generis, soprattutto secondo i canoni italiani, mentre invece non c'è niente di strano circa gli 12,8 milioni di euro al box office per Perfetti Sconosciuti (2016), ultima commedia di Genovese tutta attorno a un tavolo (quadrato) con Valerio Mastandrea (Lele), Anna Foglietta (Carlotta), Marco Giallini (Rocco), Kasia Smutniak (Eva), Edoardo Leo (Cosimo), Alba Rohrwacher (Bianca) e Giuseppe Battiston (Peppe).
Raramente un film italiano ha questa capacità di entrare nella testa e nel cuore del pubblico.
Il film è un soggetto potentissimo già opzionato da altri paesi, successo al box office (ha superato in scioltezza Spectre) e motivo di chiacchiera frenetica tra ammiratori e detrattori.
Raramente un film italiano ha questa capacità di entrare nella testa e nel cuore del pubblico.
Abbiamo allora chiesto di poter incontrare Paolo Genovese per quattro chiacchiere (forse anche di più) dalle parti del suo studio a Campo de' Fiori a Roma.
Abbiamo cercato di capire con lui i segreti di un film così perfetto. O quasi. Almeno secondo l'orribile critico cinematografico che ha incontrato il disponibile e simpaticissimo regista.
Avvertiamo i lettori che l'intervista contiene degli spoiler proprio perché volevamo giocare a carte scoperte e andare in profondità dentro Perfetti Sconosciuti. Per cui se ancora non avete visto il film... occhio che la trama non sarà più una perfetta sconosciuta alla fine della lunga intervista.
Paolo Genovese saluta i lettori di BadTaste.it" data-width="500">Il saluto di Paolo Genovese ai lettori di BadTaste.it! Sul sito la nostra intervista/profilo con tutti i segreti di Perfetti Sconosciuti!
Posted by Badtaste on Sunday, March 6, 2016
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Posted by Badtaste on Sunday, March 6, 2016
Il saluto di Paolo Genovese ai lettori di BadTaste.it! poco sul sito la nostra intervista/profilo con tutti i segreti di Perfetti Sconosciuti!
Pubblicato da BadTaste.it su Domenica 6 marzo 2016
Come dalla polizia... raccontami di nuovo: come è cominciato tutto?
Il germe era fare un film sulla vita segreta delle persone. Quella frase di Gabriel García Márquez che dice: "Tutti gli esseri umani hanno tre vite: una pubblica, una privata e una segreta. Mi capitava di pensare a tutte le persone che avevo sfiorato nella vita e mi chiedevo che tipo di segreti avessero. Volevo un soggetto sulla vita segreta raccontato da un punto di vista specifico. I temi sono stati tutti affrontati, soprattutto dal 2016 da cui parliamo, e io certo non sono un pioniere in campo cinematografico. Non trovavo il punto di vista e, in realtà, avevo scritto un soggetto dove questo che è diventato il film... era solo una scena.
Cioè?
Una donna provocava i suoi compagni a cena invitando tutti a mettere il cellulare sul tavolo e fare il gioco di condividere tutte le loro comunicazioni da quel momento in poi. Nessuno accettava, c'era il gelo e lei ritirava l'offerta e si passava avanti. Poi decisi di non fare più quel film sulla vita segreta e mi misi a lavorare a una commedia buffa ambientata su un'isola. Però... quest'altro soggetto sulla vita segreta delle persone mi rimaneva dentro e un giorno sconvolgo i miei sceneggiatori dicendo loro: "Ragazzi... ma che ci frega del film sull'isola?”.
Deve essere stata una scena esilarante...
Guarda... il film sull'isola era anche carino... ma non mi interessava più. Mi dispiaceva però salutare gli sceneggiatori e mandarli via così di punto in bianco e allora ho detto: “Vi va di mollare questo soggetto dell'isola e lavorare con me a un altro?”. Loro mi hanno guardato come se fossi scemo.
"Loro" erano?
Rolando Ravello, Filippo Bologna e Paolo Costella. Io questo soggetto sulla vita segreta però lo volevo scrivere con Paola Mammini e avevo già un accordo di parola con lei. Ho detto allora: “Ragazzi... ma perché non ci mettiamo tutti insieme e uniamo i due gruppi di lavoro?”. D'altronde non si lavorava così nel grande cinema italiano dei '60 che sempre ci ricordate anche rimproverandoci? Ci siamo messi così a ragionare su questo film sulla vita segreta e abbiamo deciso di espandere quella scena a tavola della provocazione circa il gioco del cellulare. Cioè io ho detto loro: "Immaginate se il film fosse tutto... come quella scena della donna e il gioco del cellulare. Che ne pensate?"
E loro?
Li vedevo che si guardavano e sussurravano: “Beh... sarebbe fico”. Abbiamo cominciato a lavorare a quella scena espansa e... in una settimana è arrivato tutto. All'inizio la preoccupazione era che l'idea fosse più fica del film. Cioè... va tutto bene, lo spunto diciamo che è potente, ma se poi arrivano solo tre messaggetti, due corna e quattro amanti... siamo sicuri che allo spettatore possa bastare? Invece veniva tanta roba. Non solo tradimenti... è venuta fuori l'omofobia, la suocera e l'amicizia. Abbiamo lavorato così bene quella settimana che a quel punto avevo le idee chiarissime e volevo fare solo e soltanto questo film.
Quando scrivevate... venivano fuori gli attori?
Sono venuti fuori tutti quanti. Ma lo sai perché?
No...
Perché non riuscivamo a uscirne fuori per via di tutte le cose che potevano accadere. Immaginarsi chi, immaginarsi l'attore, avrebbe aiutato. Quando tu dici: “Marco Giallini sta con Kasia Smutniak”... le cose possono diventare più semplici, capisci? Con gli attori davanti agli occhi, era più facile. Ci siamo immaginati delle fisicità. Io comunque non sapevo dove saremmo arrivati e se avrebbe funzionato. È il mio film dove sono stato più incerto fino all'ultimo.
Nemmeno con la tua esperienza?
No. Forse per insicurezze... ma non si sa mai. A me Sei Mai Stata Sulla Luna? (2015)... piace tanto. È una favola che mi piaceva quando l'ho scritta e mi piaceva tanto quando l'ho girata. A molti invece non è piaciuto per niente. Me ne rendo conto. Ero convinto che sarebbe stato un successone al box office e invece mi sono sbagliato. La percezione è sempre molto difficile.
Torniamo ai magnifici sette protagonisti. Come arrivi a loro?
Hanno letto tutti e sette la sceneggiatura. Appena tutti e sette hanno accettato ho cominciato a dire... cazzo... forse ci siamo! Non mi è mai capitato di avere questa fortuna... intendo che abbiano accettato tutti gli attori che volevo.
Edoardo Leo vuoi dirmi che è sempre stato Cosimo? Perché una delle cose più belle del film è cambiare radicalmente la percezione che lo spettatore italiano ormai ha di Leo...
È vero. Fa sempre il bravo ragazzo bonaccione. Lo volevo tanto ed ero sicuro che avrebbe funzionato benissimo per il ruolo.
È il personaggio forse più interessante di tutto il film. È una sorta di Iago inconsapevole?
È una vittima di sé stesso per i suoi complessi. Non gli vuoi male fino in fondo. Lo condanni ma non penso sia una condanna definitiva.
Per me il segreto è stato mostrarlo che desidera sessualmente Bianca (Alba Rohrwacher) all'inizio. Non avete fatto la solita cosa del coniuge con il calo del desiderio di tanto cinema italiano. Se lui la desidera all'inizio... è molto più complesso e mi riferisco anche al monologo di Alba in bagno dove lei stessa è perplessa da quell'aspetto della loro vita.
Questo è vero, sono d'accordo. È un'idea in controtendenza rispetto a tanti film.
Vorrei chiederti come hai gestito la recitazione di Leo perché mi è sembrata assai particolare rispetto al passato. C'è qualcosa di nuovo che gli hai chiesto?
Il look è più duro del solito. Baffo nero e capelli precisi. Rigidità. È più rigido del solito. Gli ho chiesto di essere più duro e rigido nei movimenti. Possono sembrare un po' le pippe del regista... ma alla fine penso che qualcosa arrivi.
Arriva, arriva. Come arriva il personaggio di Eva (Kasia Smutniak). Una disperata anche lei...
Lei è una disperata come Cosimo, è vero. E in fondo pensa che non le possa succedere niente. Alla fine è forse quella che finisce peggio per lo spettatore perché rischierà di perdere un uomo realmente innamorato di lei il quale sta crescendo una figlia in modo complice e bello. È Kasia l'artefice di tutto il gioco.
Alla seconda visione è ancora più divertente perché sai che lei aziona il gioco convinta di essere in una posizione privilegiata...
Esatto. È per questo che alla fine ti fa un po' pena. Comunque voglio dirti che ho fatto una cosa che non ho mai fatto prima.
Dimmela...
Prima di girare o anche solo provare il cast ufficiale... ho messo in scena il film a porte chiuse con dei ragazzi del corso di Recitazione del Centro Sperimentale di Cinematografia. È stato molto, molto utile. Un tavolo, un teatro e sette studenti del Centro devo dire anche bravi. Mi ha aiutato molto questa idea. Vedi le lentezze del copione e quello che funziona o che non funziona.
Era la prima volta?
Sì. A volte faccio letture ma stavolta gliel'ho fatto mettere in scena con le prove e poi lo spettacolo vero e proprio.
Come a teatro?
Eravamo proprio a teatro e io ero in platea da solo a vedermelo insieme a pochi collaboratori. Abbiamo fatto delle prove e poi siamo andati in scena.
Parliamo di suoni e suonerie. Parliamo di I Will Survive di Gloria Gaynor? Come l'hai scelta?
Lì ho tagliato una scena bellissima. Tu lo conosci il testo di I Will Survive? È struggente. E io avevo girato una scena in cui il film si chiudeva proprio con I Will Survive. E mentre la canzone andava... Alba traduceva il testo a Edoardo e ti accorgevi che... era la loro storia. Alba mentre traduceva il testo ne sembrava quasi consapevole. Quando la girammo fu un momento molto emozionante.
Quanto hai girato?
Sei settimane. Pochissime per me... compresi gli esterni.
Quanto filmato in più?
Pochissimo. Dal ventesimo minuto in poi c'è tutto. Ho tolto un po' alla fine e poi dieci minuti di fuffa all'inizio.
Perché questa idea dei 90 minuti che trovo affascinante?
I miei film sono tutti lunghissimi. Questa volta... volevo già sulla carta un film più snello. A quel punto, dato che potevamo stare tra i 90 e i 100, è diventato un gioco o una fissazione mia. Volevo proprio arrivare a 90 minuti e 00 secondi. Guarda... toglierei pure altri due minuti adesso, ti dirò. Posso tornare a suoni e suonerie e ambientazione?
Certo...
Ci abbiamo perso tanto tempo. L'idea era ottenere la massima immedesimazione dello spettatore. Cioè: succede a loro, succede a me, succede a te. Lo so che mi dite sempre che le mie case sono sempre troppo belle... ma vi dovete rassegnare: a me le immagini brutte mi fanno schifo... non ce la posso fare!
Ecco lo sfogo di Paolo Genovese contro i critici che lo accusano di essere troppo glamour!
Guarda... poteva anche essere una casa meno bella però poi alla fine... l'abbiamo rifatta tutta in scenografia. Io non volevo l'attico. È volutamente un secondo piano. Doveva essere in mezzo alla gente. Attorno ai personaggi volevo che lo spettatore pensasse che ci potesse essere lui. Come il posto vuoto a tavola... hai notato?
Sì. Parlamene...
Rispetto al classico tavolo rettangolare abbiamo scelto un tavolo quadrato dove noti l'assenza. Un buco. È volutamente il posto del pubblico lasciato apparecchiato apposta. Tantissimi punti macchina sono fatti da quel posto vuoto. Quindi l'immedesimazione deve essere totale. Il gruppo di amici è credibile e l'idea deve essere che questa è una storia che può accadere a tutti. Allora torniamo veramente a suoni e suonerie... i cellulari sono piccoli, grandi, rigati, nuovi modelli, vecchi modelli. Abbiamo fatto un enorme lavoro di pubbliche relazioni per avere le liberatorie.
È stata dura?
Durissima perché questo non poteva essere il film dove WhatsApp non è poi il vero WhatsApp quando lo inquadri o Siri non è il vero Siri o Facebook poi non è il vero Facebook. Non si poteva fare. Quando inquadro la schermata dell'iPhone o del Samsung... era fondamentale che fossero quelle originali. Adesso... tu sei un critico e forse queste cose ti danno più fastidio che ad altri... ma un pubblico potrebbe anche non notarlo quando usi dei fake. Però è anche vero il contrario ovvero... se tu ci metti la schermata finta, roba che non è il vero iPhone... alla lunga è un suicidio quando questi oggetti devono essere ripresi così a lungo dalla mia camera.
Quante suonerie hai sentito per il film?
Tantissime.
È una sinfonia il film...
E' stato un lavoro veramente piacevole perché dovevamo incastrare tutto. Lavorare al sound effect è stato bello e divertente.
È il film più sofisticato dei tuoi sul fronte del sonoro?
Sì... anche perché è un film tutto a tavola. Quando lo giri, sei terrorizzato. Testo e attori in film così sono fondamentali. In altri film hai panorami, spazi, musiche e cambi scena. Questo è un film polpettone unico e non hai divisione. Io vengo dalla pubblicità e ti so dire ormai se una singola scena funziona o no. Io me ne accorgo proprio sul set però a volte me la tengo pure la scena sbagliata anche quando non funziona perché sul set non sono riuscito a raddrizzarla da una brutta sceneggiatura. Qui era un tutt'uno che si ammassava. Parole su parole su parole senza capire il ritmo interno. Questo è un film dove non può esistere il ritmo di un momento. Questo è un film con un unico ritmo unico. Difficile.
E al montaggio?
Non ho voluto vedere tutto il film perché ero terrorizzato. Ho montato di tre minuti in tre minuti.
Era la prima volta che facevi così?
Sì... perché è un film diverso. Di solito me lo vedo tutto e decido cosa tolgo e cosa lascio. Qui era difficile capire cosa tenere o non tenere. La via di mezzo non esiste con film così. Ti faccio un esempio. Anche la scena in cui Lele (Valerio Mastandrea) riceve la telefonata del fantomatico Lucio e capisce che in quel momento lui è gay per gli altri... quel pezzo là... io lo so che era esilarante... ma se non arrivi nel modo giusto a quella scena... lo spettatore se ne frega di farsi una risata. Fino al montaggio ero veramente in ansia.
Sul set che atmosfera c'era?
Non posso fare il regista che ti dice: "Ci siamo divertiti tanto". Non è il set dove ti diverti. Il set dove ti diverti è Immaturi - Il Viaggio (2012) in Grecia o Tutta Colpa Di Freud (2014) a New York. In questo caso un attore aveva sempre sette persone attorno compreso me (il famoso posto vuoto dove mi mettevo sempre ad osservarli) e sempre le stesse cose da mangiare. Non è stato facile anche perché avevo delle fisse sul cibo.
Tipo?
Ho subito detto agli attori: "Vi prego a tavola odio quando non vedo la gente che mangia. Preferisco non capire le parole ma vi prego mangiate di gusto".
È effettivamente una bella idea che arriva...
Spesso ho montato degli sbagli. La vita è così. Edoardo Leo era quello che si ingozzava e parlava spesso con la bocca piena. Quello è faticoso. Gnocchi, gnocchi, gnocchi otto ore al giorno. Non ne potevano più, poveracci. Quando hai sette attori insieme... è difficile. Avevo sempre sette attori con cui parlare. Le prime due ore non si girava ma si discuteva. Io ormai sulle grandi scene un po' di esperienza come dici tu penso di averla... ma sulle microscene... è difficile dare indicazioni precise sui movimenti. Tutto un film in una casa... mi sono reso conto che è veramente faticoso. E poi c'è tutto un linguaggio fondamentale sui piani di ascolto. Il non recitato è importante come il recitato. Il piano di ascolto funziona ma... vallo a fare ogni volta sette volte! A volte un attore ti dà un piano di ascolto buono... a volte no perché è stanco morto. Tenere viva la recitazione a favore di chi in quel momento deve reagire e magari non recitare... è complesso.
Gli attori si stancavano presto?
Certo. Io facevo un primo piano, un campo a due, dei totali, dei campi a tre. E ogni cosa era sette + sette + sette... ventuno volte. Voglio però dire che un film così è molto duro da girare ma poi al montaggio... trovi sempre qualcosa di molto interessante. Mille possibilità e mille modi di raccontare. Non mi sono mai divertito così tanto al final cut.
Hai manipolato un po' gli interpreti? Andavi a dire qualcosa a uno e all'altro no? Hai usato qualche trucco psicologico sul set?
No, non c'era bisogno. Quello che ho fatto... ho evitato di dire cose davanti a tutti. Si può innescare qualcosa e non serve a niente. Allora se qualcosa non funzionava prendevo da parte un singolo attore e ci parlavo. Avevo sette attori bravi a tavola. Punto. Il cast era interessante perché a) erano per fortuna amici e quindi abbiamo evitato che ognuno pisciasse il suo territorio appena iniziata la sua giornata di lavoro; b) sette attori bravi e universalmente riconosciuti come bravi ovvero tutti di successo, possiamo dire. Detto questo... è normale che scatti sempre qualcosa e quindi se devi riprendere qualcosa o qualcuno... si può sempre creare qualcosa di fastidioso. Allora ho preferito sempre prenderli da parte e non correggerli mai davanti a tutti gli altri.
Ma si sono un po' massacrati tra loro? Anche per divertimento?
Sì, certo. Ogni tanto lo facevano ma questo aiutava ad alzare la temperatura del set e quando cominciavi a girare... erano belli caldi.
Com'erano le giornate da questo punto di vista?
Arrivavano scazzati, si sedevano scazzati, cominciavano a ridere, a leggere, a scherzare, a prendersi per il culo, a dirsi cose “orrende” per scherzo... ecco allora che la temperatura del set si alzava e tu dovevi essere pronto a girare perché le due ore successive sarebbero sempre state le migliori prima che subentrasse la stanchezza e tutto si afflosciasse un pochino. C'è da dire che è il mio primo film che ho girato in sequenza e questo mi ha aiutato parecchio perché “sali” con il film. Ho scoperto una cosa interessante da regista.
Quale?
L'ideale in un film così è avere una settimana in più, cioè girare dalla prima alla sesta settimana e poi avere una settima settimana per ricominciare la prima e questo perché la prima è sempre la settimana peggiore. Io ora sento che delle cose potevano essere fatte meglio e sono tutti piccoli errori che di solito si trovano nella prima settimana.
Adesso divento un po' cattivo e ti presento le mie perplessità. Perché quel totale dell'uscita dal palazzo del nostro gruppo di amici che disorienta lo spettatore? Mi riferisco al totale dell'uscita dal palazzo dove Alba abbraccia Edoardo e tu ti rendi così conto che non c'è linearità temporale con quello che avevi visto fino a quel momento. In quel preciso istante sono sceso dalle montagne russe e mi sono accorto che non volevo scendere...
Tu non devi capire in quel momento...
Ma perché? Perché non lasciarci sulle montagne russe e farci vedere un bel massacro vero tra loro?
Prima c'era il massacro finale che volevi tu. Finiva col sangue. Poi mi sono detto: “Ma che mi frega?”. Ho pensato... questo film merita un finale diverso a costo di sbagliare. Merita di più.
Spiegami in base a quale ragionamento il massacro finale non era il tuo “più”...
Volevo che il film non finisse dentro il film ma fuori... addosso allo spettatore. Se finiva là dentro e vedevi il massacro finale... il pubblico si sarebbe alzato rassicurato. Poteva succedere di tutto... lo spettatore guardava accanto il suo compagno, pensava: "È successo a loro" e si alzava e se ne andava. In quel modo tu elimini il massacro finale e in un certo senso lo porti fuori. Lo porti dallo spettatore. Nel momento in cui sai che quella roba è vera e io ti do gli strumenti per capire che tutto quello che esiste e che hai visto è vero... in quel momento vedi che quelle persone finiscono il film come lo finirai tu, andandotene tranquillamente a casa. Con il mio finale tu ti senti coinvolto e perfetti sconosciuti... diventi te. È molto, molto più feroce. È senza speranza. È senza pietà. Se esplode là dentro, rimane là dentro. Se l'assassino lo becchi o lo uccidi... il film è finito. Se l'assassino non lo prendi... è più profondo. Fa più paura. Secondo me il finale così è più disturbante e secondo me il ritorno che il film ha avuto... è per questo motivo.
Parlami di questo ritorno...
Non ho mai avuto delle reazioni così forti per nessun altro mio film. C'è gente che mi scrive quaranta pagine nel mio profilo di Facebook. Io sono sicuro che quel finale che tu contesti abbia portato questo... cioè ha portato lo spettatore a pensare: “Ma io sono così? Mia moglie è così? La mia fidanzata è così?”. Se fosse esploso là dentro, sarebbe rimasto là dentro.
Secondo me è invece più rassicurante che amaro...
Vedere quelle coppie che si salutano così cordialmente è terribile... come tu fai quotidianamente. E poi un'altra cosa...
Prego...
Volevo far fare uno sforzo allo spettatore. A me piaceva questa cosa.
Ma perché voler far fare uno sforzo allo spettatore se lo hai portato sulle montagne russe per 87 minuti? Non è un discorso contronatura e contraddittorio rispetto al tipo di film che avevi fatto fino a quel preciso istante? E poi non è da te. Non sei mai stato un regista sadico...
Ma per questo tema si prestava, dai. Volevo che ci si riflettesse un attimo. E' un tema in questo momento molto forte.
Ok. Va bene, ho capito il tuo punto di vista. C'è un'altra cosa però che non ti posso perdonare: Giuseppe Battiston che fa ginnastica come ultima scena...
Pure a mia moglie non piace...
Paolo... è un'immagine stupida. Non pensi che sia stupida? Sembra una pubblicità cretinetta. E non pensi che quel finale entri totalmente in contraddizione con il sottofinale di quel regista di prima che vuole far faticare lo spettatore e farlo scendere all'improvviso dalle montagne russe proponendogli una violentissima altra dimensione temporale? Non è che hai cercato di bilanciare con quell'immagine dolce di Battiston che fa ginnastica quella scelta precedente parecchio crudele?
Un po' sì...
Battiston che fa ginnastica in quel modo e con quel momento di macchina... è un'immagine che comunica eccentrica spensieratezza...
Ma se c'è un'amarezza! Per me ti dico... è tristissimo. Nel finale originale veniva speigato di più. C'era la telefonata del vero amante di Battiston e si parlavano. C'era più roba. Quel finale che non ti piace... ci ho pensato tanto. Quando ho visto quella scena, che non doveva trovarsi lì alla fine, ho pensato che quella scena avrebbe ospitato il titolo. Battiston fa una roba assurda che nessuno mai penserebbe. All'una di notte, schiavo di un cellulare che ti costringe... a me ha emozionato. E quindi ho pensato che poteva non piacere ma ho anche pensato... chissene frega! A me ha emozionato perché è un uomo costretto dal cellulare a fare una roba che nessuno penserebbe.
La postura non è faticosa. Lui è buffo...
Ma è costretto... è ciccione e non gli va. È stanco.
Va bene. La smetto di tormentarti. Vorrei dirti che però per me è sempre una questione quantitativa e da critico faccio questo tipo di ragionamento. Mi spiego: Guadagnino per me distrugge tutto ciò che di buono aveva fatto in A Bigger Splash con quel finale e quel Corrado Guzzanti. Tu, nonostante non mi piaccia l'irruzione violentissima della seconda dimensione del film in cui non è successo il massacro e nonostante non mi piaccia per niente Battiston che fa ginnastica in quel modo... hai comunque fatto un lavoro egregio. Per me non hai distrutto il film con quelle due scelte. Stiamo per chiudere... qual è l'aspetto che ti rende più orgoglioso ora? L'incasso?
No. L'incasso è bellissimo, ci mancherebbe, perché io faccio sempre film per il pubblico. Quello che mi dà più soddisfazione è questo citare la commedia italiana e il cinema italiano nei commenti del pubblico. Non dicono: "Bello il film ma... che bello questo cinema italiano". Per noi registi di commedie popolari... sentire di aver fatto una roba che riavvicina il pubblico al cinema italiano... dà una grande soddisfazione.
È un soggetto bomba e vi meritate tutto. A proposito... parliamo dei possibili remake?
L'hanno venduto pure in Corea.
Il remake che ti incuriosisce di più?
Quello in Cina. Mi hanno chiesto addirittura di girarlo...
Ma dai?!
Sì... giuro! Sarei curiosissimo di vedere quello cinese.
Che borghesia avranno loro?
Mentre in Europa puoi prendere la sceneggiatura e adattarla quasi automaticamente scegliendo le parti segrete da mettere... in Cina... per esempio... chissà quali sono le cose più scabrose che metterebbero. E poi... mi pare che loro non possano rappresentare o parlare di omosessualità in un film. E allora come si fa con il segmento di Lucio?
Stati Uniti?
Ci sono, diciamo, tre “entità” molto interessate e siamo in trattativa.
Quale sarebbe il regista americano che ti piacerebbe vedere all'opera per il remake Usa?
Veramente non saprei... mi piacerebbe però che avesse uno spirito da cinema indy e una produzione fuori dagli schemi altrimenti il rischio è che verrebbe troppo commediona edulcorata. Forse non dovrebbe farlo una major. Ha un senso questo film se esci e non sei felice.
Tu hai un gruppo di amici da cui possiamo pensare che sia partito tutto?
L'idea del telefonino come nostra “scatola nera” è venuta fuori da uno dei miei amici storici che fa l'avvocato, il quale ebbe un incidente con il motorino e mentre chiamavano la moglie e controllavano il cellulare... lui e lei... si sono lasciati. Da quel cellulare venne fuori di tutto. Adesso non stanno più insieme e si tratta di due miei amici cari.
C'è un personaggio di Perfetti Sconosciuti a cui sei più affezionato?
No. Di tutti i miei film te lo posso dire... ma ti questo no. Ognuno dipende dall'altro. Edoardo dipende da Alba e viceversa, Valerio da Anna e viceversa e idem Marco e Kasia. Avevamo chiesto al David di candidarli tutti insieme ma non hanno accettato e ora ognuno correrà per conto suo purtroppo.
E adesso?
Ho fatto 7 film in 7 anni. Sono stanchissimo. Ora salto un anno... e poi si vedrà.