EXCL: BadTaste.it visita la Pixar per Il Viaggio di Arlo, ecco il making of del film!

BadTaste.it ha visitato i Pixar Animation Studios: vi portiamo dietro le quinte del nuovo film, Il Viaggio di Arlo, da oggi nei cinema italiani

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Articolo in collaborazione con Juan Pablo Reyes

Per i fan della Pixar - e della buona animazione - il 2015 è un anno da ricordare: sono infatti due i film d'animazione dello studio previsti per quest'anno. Dopo Inside Out, acclamato in tutto il mondo e campione al box-office italiano (nessun film ha incassato tanto negli ultimi due anni), è il turno di Il Viaggio di Arlo, in arrivo in Italia oggi e domani negli USA, in occasione del Ringraziamento.

Film dalla produzione non semplice, la cui uscita è stata più volte rinviata (era attesa per il 2013), è stato intitolato in originale The Good Dinosaur, essendo la storia ambientata in un mondo in cui i dinosauri non si sono estinti, e anzi hanno avuto uno scatto evolutivo più rapido rispetto agli umani.

BadTaste.it ha avuto l'opportunità, a settembre, di visitare i Pixar Animation Studios nella sede di Emeryville (California) e di incontrare i realizzatori del film e del cortometraggio Sanjay's Super Team. Tutti quanti, dai produttori, agli scenografi, i supervisori e gli story artist, hanno messo insieme delle piccole presentazioni mostrandoci clip, immagini, concept art e foto di riferimento, spiegandoci l'aspetto del film che hanno curato. Piccoli keynote che ci hanno dimostrato quanto alla Pixar sia importante la comunicazione tra i vari reparti, e quanto sia importante che ciascuno sia in grado di presentare agli altri le proprie idee, il proprio lavoro, la propria professionalità.

La genesi di Sanjay's Super Team

La giornata è iniziata presto: arrivati nello splendido campus della Pixar, del quale vi parleremo più nel dettaglio prossimamente, ci è stato mostrato il cortometraggio, che è basato su una storia vera: l'infanzia del regista americano di origine indiana Sanjay Patel, cfhe ci ha presentato il suo lavoro assieme alla produttrice Nicole Paradis.

[caption id="attachment_151707" align="alignright" width="288"]sanjay patel Una illustrazione di Sanjay Patel tratta da uno dei suoi libri[/caption]

Patel ci ha spiegato che essendo cresciuto a Los Angeles, da piccolo "adorava" letteralmente i personaggi dei cartoni animati, mentre suo padre meditava e pregava le divinità indù: proprio come i protagonisti del corto. Una volta diventato adulto, dopo aver studiato l'arte americana ha iniziato a esplorare l'arte asiatica, ampliando la sua cultura e scoprendo molti miti legati alle sue stesse origini. Parallelamente al suo lavoro alla Pixar, durante la lavorazione di Gli Incredibili, Sanjay ha iniziato a creare numerosi libri illustrati ispirati alla cultura indiana (come questo), e più approfondiva l'arte indiana più capiva suo padre e il suo credo. Queste riflessioni sono venute a compimento nel cortometraggio, che non a caso ha un respiro molto "personale". La storia è quella del piccolo Sanjay, che invece di pregare con suo padre preferisce fantasticare sugli eroi dei cartoni animati. Trasformando la preghiera in una vera e propria avventura, riuscirà a comprendere meglio le motivazioni del padre. "Ogni mattina," ci ha spiegato Patel, "c'era questa sorta di conflitto tra me e mio padre: io volevo vedere i cartoni e lui doveva pregare. C'era una sola stanza comune, il salotto, nel quale c'era l'altare e la televisione. Quando anni dopo la Pixar mi ha proposto di realizzare un cortometraggio, anche grazie al successo dei miei libri illustrati, e non ho potuto non rendere omaggio a quell'uomo e a quel bambino." Tuttavia il corto inizialmente non era impostato come lo vediamo noi sul grande schermo: era incentrato su un bambino che leggeva dei fumetti di supereroi davanti a un tempio. Per comprare il numero successivo del fumetto, entra nel tempio e ruba del denaro, ma l'idolo più importante interviene e lo trasforma in una creatura mitologica che si deve scontrare, inerme, contro un demone. Risvegliatosi da questo folle sogno, il bambino si rende conto che l'avventura è narrata sulle pareti del tempio attraverso dei bassorilievi. Restituirà i soldi e donerà quelli che aveva da parte, completando il fumetto con i disegni che ha visto sui muri e unendo quindi oriente e occidente.
 
SANJAY'S SUPER TEAM
 
John Lasseter ha incoraggiato moltissimo Patel, e lo ha aiutato a costruire la storia: aveva apprezzato sia la sua idea iniziale, sia il racconto di lui e suo padre nel salotto. Così lo ha aiutato a integrare le due storie, e il risultato è quello che vediamo sullo schermo. È a quel punto che è stata coinvolta la produttrice Nicole Paradis: "La prima cosa che abbiamo fatto è stata chiamare Chris Sasaki, che aveva lavorato alle animazioni e al design dei personaggi di molti film Pixar, e che qui si sarebbe misurato con le scenografie e la supervisione dell'aspetto visivo generale. Il che non era semplice, perché si trattava di un cortometraggio ispirato a una mole enorme di cultura, quella indiana. Per fare questo, Sanjay ha istruito Chris il più possibile portandolo al museo e mostrandogli molti libri in modo da contaminarlo in maniera creativa. Parallelamente, avremmo progettato la classica serie a cartoni animati da sabato mattina. Sarebbe stato un vero scontro tra culture!" Molte le ispirazioni degli animatori per i movimenti delle divinità, che dovevano essere il più fluide e delicate possibile, tra cui il celebre film Samsara, ma anche le danze legate alle arti marziali e gli anime giapponesi. In particolare questi ultimi hanno spinto gli animatori in direzioni molto diverse da quelle che solitamente intraprendono alla Pixar, come ci ha spiegato Patel: "alcune inquadrature prevedevano una forte distorsione dell'immagine, come se utilizzassimo obiettivi grandangolari, una cosa che alla Pixar solitamente evitiamo visto che puntiamo al realismo. Ma volevamo fare qualcosa di epico, qualcosa di diverso da quello che facciamo solitamente".

Non era facile per me accettare le mie origini, il mio nome. Questo film è stato davvero terapeutico e mi ha fatto capire tantissimo su me stesso

Abbiamo chiesto alla produttrice per quale motivo, a un certo punto del corto, si sovrappongono due stili di animazione, 2D e 3D: "Per lo stesso principio di sovrapposizione delle due culture. Quella 2D dei cartoni animati di Sanjay, e quella 3D della spiritualità della tradizione induista. Il bambino trasporta con sè l'esperienza dello show di supereroi che adora, e questo lo aiuta ad affrontare l'avventura. Il risultato, poi, visivamente è davvero fico!"

Terminata la lavorazione del corto, la Pixar ha invitato il padre di Patel (che non aveva mai visto nessuno dei film cui aveva lavorato il figlio) a Emeryville per mostrargli il risultato finale. Abbiamo visto il video della sua reazione dopo la proiezione, ed è stato un momento davvero molto commovente che ha unito moltissimo i due. "Per più di trent'anni mi sono sentito in imbarazzo per la mia famiglia, per le sue origini. Non era facile per me accettare le mie origini, il mio nome," ha concluso Patel. "Questo film è stato davvero terapeutico e mi ha fatto capire tantissimo su me stesso. E per questo ringrazierò sempre la Pixar."

Alla fine della presentazione abbiamo scambiato due parole con la produttrice e il regista:

Il cortometraggio è davvero bello per come riesce a trasportare lo spettatore in un'altra cultura. L'impressione è che la Pixar, in questo, sia stata molto inclusiva, e ci chiedevamo se fosse un argomento attuale nello studio quello di includere culture straniere nelle proprie storie.

Paradis: Il nostro obiettibo è sempre quello di raccontare la storia migliore possibile. Ma ovviamente la Pixar vive in un mondo, quello dell'industria dell'intrattenimento, e da diverso tempo parliamo della necessità di sentire voci diverse. Penso che lo studio sia molto sensibile in questo senso, ma questo non significa che lanceremo iniziative di questo tipo: teniamo semplicemente gli occhi aperti. Amiamo questo tipo di storie. Ma John conosceva Sanjay, e sapeva che era un grande narratore e che aveva una bella storia. Inizia tutto lì: ottime storie, ed è entusiasmante trovarsi in luoghi diversi ogni volta.

Sanjay, come vedi il coinvolgimento di una produttrice come lei, in quanto donna?

Patel: È un argomento del quale non mi fanno parlare spesso, ma devo ammettere che ero abituato a essere l'unica minoranza durante le riunioni. Nel nostro paese siamo ancora indietro in termini di diversificazione sia etnica che di genere, e ho combattuto molto perché Nicole avesse il ruolo che ha.

Nicole: Posso confermarlo. E l'intero team è molto eterogeneo: uno dei nostri DP era una donna indiana, ed è stato entusiasmante coinvolgerla a livello creativo. Cerchiamo sempre di farlo, per avere più voci coinvolte. In questo, la Pixar ci dà sempre un grande sostegno.

 
THE GOOD DINOSAUR
 

Il Viaggio di Arlo

Terminata la presentazione del cortometraggio, è arrivato Peter Sohn per introdurci Il Viaggio di Arlo. Sohn è stato coinvolto dopo che il film ha subito molti cambiamenti (inizialmente doveva essere diretto da Bob Petersen) e in questo ha ricevuto molto sostegno da parte della produttrice Denise Ream, avendo diretto prima di allora solo il corto Parzialmente Nuvoloso. Il regista ci ha mostrato diverse clip del film, corredando la sua presentazione di immagini, concept e molto altro materiale.

Protagonista del film il giovane Arlo, un dinosauro debole e impaurito da tutto che vive in una fattoria con la sua famiglia. Dovrà affrontare l'avventura più grande della sua vita quando, dopo aver perso il padre, rimarrà disperso nella foresta e dovrà tornare a casa seguendo il percorso del fiume a ritroso (una vera e propria "strada di mattoni gialli" per il film), stringendo nel contempo amicizia con il piccolo Spot, un umano selvatico, coraggioso e tenace. Insomma, tutto l'opposto di Arlo. Una strana coppia che incontrerà, sulla strada, i prodotti più bizzarri di una evoluzione che non è stata interrotta da un meteorite come nella realtà (premessa del film): un dinosauro "spirituale", pterodattili/avvoltoi, e tre tirannosauri mandriani.

Ma il personaggio più importante del film - e, se vogliamo, anche il villain principale - è la Natura stessa. Per questo motivo il mondo di Arlo doveva apparire splendido e spaventoso allo stesso tempo, una vera minaccia. Il Viaggio di Arlo racconta proprio questo: dopo essere stato intrappolato in una fattoria per tutta la vita, il giovane Arlo scopre il mondo e affrontare le sue paure trasformandole in senso di Meraviglia. Per questo motivo il 90% del film è ambientato in esterni, con incredibili paesaggi raffigurati con una tecnica che Sohn ha definito "realismo pittorico":

Tutto è iniziato con la domanda: "Cosa sarebbe successo se l'asteroide avesse mancato la Terra 65 milioni di anni fa?" È una domanda molto importante perché può farti immaginare qualsiasi cosa: potrebbero esserci dei robot, il film potrebbe essere ambientato nello spazio. I dinosauri hanno continuato a evolversi, e così abbiamo pensato a una storia sincera, con il cuore, che contenesse ciò che amiamo di più dei dinosauri ma avesse anche quel qualcosa in più che la rendesse davvero originale. Abbiamo inserito questa storia in un contesto di frontiera, come se i protagonisti fossero una famiglia del west in una terra di frontiera. Quanto è difficile sopravvivere in questo mondo? Vivono nel mezzo del nulla, sono contadini, devono lavorare per sopravvivere. Quando ero piccolo la mia famiglia gestiva un negozio di alimentari a New York, e noi lavoravamo tutti insieme, ho passato ore in quel negozio. Quando Arlo incontra Spot, questo piccolo umano è una minaccia, un parassita che ruba il cibo che lui e la sua famiglia hanno accumulato con tanta fatica.

A partire dal concetto che gli erbivori erano dei contadini, abbiamo sviluppato il resto della società, chiedendoci cosa sarebbero stati gli altri dinosauri in un contesto da West.

Abbiamo chiesto a Sohn perché è stato scelto il Nord-Ovest degli Stati Uniti per fare ricerche sulle ambientazioni:

Tutto è iniziato con la domanda: "Cosa sarebbe successo se l'asteroide avesse mancato la Terra 65 milioni di anni fa?"

Ci sono molte ragioni. Una delle prime idee emerse durante le story sessions è stata quella del ranch di T-Rex, e della loro vita di frontiera. Uno dei miei film preferiti è Il Cavaliere della Valle Solitaria di George Stevens. Quello che ho sempre amato di quel film è che non è il classico western ambientato nel deserto: è ricco di vegetazione e di verde. Le scene d'apertura sono state girate in Wyoming. Alcuni degli artisti coinvolti da Denise venivano da quelle zone, e così abbiamo deciso di organizzare un viaggio tutti insieme per studiare le ambientazioni. Per pura coincidenza, in quella stessa area erano presenti molti resti di dinosauri. L'obiettivo del viaggio era che io mi perdessi letteralmente nella natura, sentirmi perso. È stato incredibile, io sono cresciuto in città e nei posti che abbiamo visitato potevo guardarmi intorno a 360° riempiendomi gli occhi di questa meraviglia. Ma allo stesso tempo, le guide ci dicevano: "Vedete lì? È splendido, ma se osservate bene... c'è stata una disastrosa valanga" e così via. È stato uno degli elementi principali che abbiamo voluto trasporre nel film: la natura è tanto bella quanto violenta. Non a caso, anche durante il nostro viaggio ce la siamo vista brutta in un paio di situazioni, e senza le guide sarebbe potuto succede qualcosa di grave.

Inoltre abbiamo chiesto al regista di spiegarci le origini del rapporto tra Arlo e suo padre, e soprattutto quello che succede a quest'ultimo:

Non ci siamo ispirati a qualcosa in particolare, anche se è ovvio che si pensi a film come Il Re Leone. Ma è una storia archetipica. Io adoro tutti quei film, sono storie basate sul concetto del "coming of age", la crescita. È un archetipo molto interessante, comune a molti film Pixar. È una crescita diversa dalle altre: si basa sul fatto che non ci si capisca a vicenda, ma che insieme si possa capire di più su noi stessi. E queste storie funzionano solo quando i personaggi hanno una mancanza, una assenza nella loro vita. Tutti noi sperimentiamo la perdita nella nostra vita, ed è legata al concetto di paura. E non è un caso che uno dei temi principali del nostro film sia la paura, così come il senso di impotenza verso la Natura, che è splendida quanto spietata, può spazzarti via con un'onda d'acqua o con una semplice bacca. La paura, la natura, la morte sono tutte cose che non si possono sconfiggere. E nel film impariamo che sono tutte cose alle quali si può resistere.

L'impressione di realismo

L'aspetto più innovativo del film è senza dubbio la fotografia, curata da una veterana della Pixar che abbiamo incontrato anche qualche anno fa: Sharon Calahan. Sorridente e cortese, ha riempito il suo ufficio di quadri: studi sulla luce che dipinge anche nel tempo libero. Un progetto come quello di Il Viaggio di Arlo è praticamente il sogno della sua vita, ambientato totalmente in paesaggi naturali. È stata lei a suggerire di prendere come ispirazione principale Jackson, nel Wyoming, dove si reca spesso a dipingere.
 
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Il lavoro della Calahan è iniziato sin durante la pre-produzione, quindi, realizzando immagini che ispirassero il tono e l'aspetto generale del film. Ma l'aspetto più impegnativo è stato ovviamente quello della produzione, durante la quale coordinava un team di 50 persone dedicato all'illuminazione e, contemporaneamente, dava consigli al regista per la composizione dell'immagine, delle luci e dei colori. L'ispirazione è arrivata dalla realtà, ma anche dall'arte (in particolare i paesaggisti russi) e il cinema (il già citato Il Cavaliere della Valle Solitaria, ma anche film come Sette Anni in Tibet, Mai Gridare Al Lupo, Black Stallion). L'obiettivo non è mai stato quello di creare il completo fotorealismo, ma un look autentico che fosse espressivo:

È attraverso l'impressione che abbiamo voluto trasmettere le emozioni del film. Sullo sfondo non c'è mai il vero numero di alberi, ma una massa che dà l'impressione che si tratti di una foresta. Creando masse che avessero in comune il colore e la luce abbiamo creato forme interessanti, contrapposte ovviamente a molti altri dettagli, in una alternanza di ordine e caos. Non si trattava di realismo, ma dell'impressione del realismo.

Nel realizzare questo film abbiamo affrontato diverse sfide sul piano della fotografia: come dare l'impressione di una ambientazione vasta e come realizzare liberamente movimenti di macchina molto ampi. Tutto questo con poco tempo a disposizione rispetto alla quantità di scene da realizzare. Abbiamo quindi dovuto cambiare il nostro approccio. Alcuni agenti atmosferici andavano animati appositamente, e il fiume avrebbe avuto una importanza incredibile in un gran numero di inquadrature. In passato avremmo realizzato molti test per raggiungere l'obiettivo, costruendo dei fondali con dei matte painting, ma non avevamo tempo, così abbiamo utilizzato un sistema studiato appositamente per generare, attraverso i dati geologici della USG, geometrie che estendessero il set all'infinito sulle quali aggiungere poi i dettagli. Questo ci ha permesso di muovere la cinepresa liberamente, e di applicare con maggiore precisione le informazioni raccolte nei nostri location scout.

Grazie all'U.S. Geological Survey, che pubblica regolarmente una grande quantità di dati topografici e immagini satellitari, il team della Pixar ha potuto realizzare un paesaggio generato al computer, ispirandosi peraltro a una classica fotografia di Ansel Adams delle montagne del Grand Teton National Park. Utilizzando Google Earth, poi, il team ha trovato altre ambientazioni da riprodurre nel film: per esempio, quando Arlo rimane intrappolato in un canyon, la location si trova in realtà in Idaho.

Parte della cosiddetta "impressione di realismo" del film viene anche dalle nuvole, la cui gestione è stata completamente reinventata:

In passato realizzavamo le nuovole attraverso dei semplici matte painting. Per questo film abbiamo cambiato approccio, generandole con un sistema volumetrico. In questo modo potevano interagire con il set, proiettando la propria ombra sul terreno, sugli alberi, sui personaggi, creando una ambientazione ancora più suggestiva.

L'acqua è sempre difficile, non importa quante volte ci si lavora

La Callahan ci ha mostrato la "visual color guide" del film, una sequenza di storyboard che sintetizzano l'intero percorso del film dal punto di vista del colore. Questa guida viene realizzata per molti film, non solo d'animazione, ma alla Pixar assume un significato molto importante:

Il lavoro del colore è quello di valorizzare l'aspetto emotivo del film, l'uso del colore si evolve lungo tutta la narrazione, e segue i cambiamenti della storia, contribuendo a emozionare lo spettatore. Per esempio, nella scena che precede quella in cui Arlo si perde abbiamo scelto colori molto caldi e rassicuranti, in modo da creare una forte contrapposizione con ciò che di drammatico succede dopo. L'incertezza di Arlo nel risvegliarsi lontano da casa viene valorizzata dalle nuvole, che muovendosi cambiano la luce che circonda il dinosauro, e l'ambiente muta diventando prima luminoso poi in ombra poi nuovamente luminoso.

Abbiamo chiesto alla direttrice della fotografia se è stato più difficile lavorare alle nuvole o al fiume, due degli aspetti tecnicamente più complessi del film:

È difficile a dirsi, perché entrambi avevano degli elementi davvero complicati e dovevamo venirne a capo. L'acqua è sempre difficile, non importa quante volte ci si lavora. Se l'approccio è stilizzato, si finisce per renderla irreale. Se l'approccio è realistico, si rischia di non essere allo stesso livello con l'ambiente circostante. Quindi è sempre un gioco di equilibrio. Per questo abbiamo dovuto rifare moltissime scene: a fine lavorazione avevamo migliorato tantissimo la realizzazione dell'acqua, e così si era creata una forte discontinuità con le prime inquadrature realizzate. Le nuvole, per contro, sono difficilissime da generare, illuminare, renderizzare... ci hanno posto tantissime sfide diverse. Per le nuvole abbiamo dovuto fare tantissima ricerca e sviluppo.

 
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Un nuovo modo di sviluppare la storia

Accompagnati dallo story supervisor Kelsey Mann, abbiamo fatto visita alla story room, uno dei luoghi dove i film della Pixar nascono e che per Il Viaggio di Arlo è stata completamente reinventata, anche per via del poco tempo a disposizione. Muri ricoperti da storyboard, lavagne e bacheche, divani sparsi qua e là... Negli anni la story room si è evoluta, ma c'è una cosa che non cambierà mai, ovvero le persone che la popolano, come ci ha spiegato lo stesso Mann:

Lavoro nel reparto storia, e quello che facciamo noi è, sostanzialmente, disegnare. Prendiamo la sceneggiatura e la visualizziamo. Dobbiamo tradurre in immagini lo script. Disegnamo il film, creiamo una bozza sulla quale si dovranno basare tutti gli altri reparti. Realizziamo dei disegni, li appendiamo sul muro e presentiamo la scena ai vari reparti, indicando loro cosa devono fare, animando, illuminando, creando le ambientazioni. Per anni alla Pixar abbiamo lavorato allo stesso modo, presentando le scene di volta in volta. Il processo è diventato sempre più digitale, fin da Gli Incredibili, il che ci ha fatto risparmiare tantissimo in termini di fotocopiatrici, forbici, taglierini. Per oltre dieci anni abbiamo utilizzato quindi delle tavolette digitali Wacom Cintiq, erano molto ingombranti per cui ciascuno lavorava nel proprio ufficio, radunandoci poi nella story room.

Una volta la story room era utilizzata unicamente per le presentazioni. Con questo film, invece, abbiamo iniziato a utilizzarla proprio per lavorare

Tutto è cambiato proprio su proposta di Mann: la story room di Il Viaggio di Arlo è diventata quindi una digital story room, una sala conferenze al secondo piano dello Steve Jobs Building nella quale gli artisti potevano incontrarsi, lavorare insieme, confrontarsi, aprirsi con gli altri su varie esperienze, ascoltare musica insieme mentre lavoravano. Era possibile per ciascun artista andare a lavorare nel suo ufficio per concentrarsi, ma il lavoro di gruppo, su "un'unica, grande pagina virtuale", era caldeggiato. Ogni artista si occupava di una sequenza a lui affine, per la quale realizzava fino a un migliaio di storyboard che poi avrebbe presentato "interpretando" la scena con dialoghi, suoni e musiche:

Una volta la story room era utilizzata unicamente per le presentazioni. Con questo film, invece, abbiamo iniziato a utilizzarla proprio per lavorare. In questo modo abbiamo risparmiato tantissimo tempo, perché anziché lavorare individualmente, abbiamo sviluppato tutta la storia insieme passo dopo passo, le correzioni sono state più rapide e l'intero processo è diventato molto più organico. C'era un'energia completamente diversa: lavorare da soli è diverso da lavorare collettivamente, la comunicazione è molto più veloce se si lavora in gruppo.

Questo approccio ha avuto un risvolto anche tecnologico. Mann ci ha mostrato il programma utilizzato internamente dalla Pixar per realizzare gli storyboard: si tratta di un software che ha come caratteristica principale la condivisione, e permette a tutti gli artisti di attingere alle idee degli altri e lavorare molto più velocemente.

E.T., Black Stallion, Il Gigante di Ferro: film molto diversi tra loro, ma che declinano tutti lo stesso concetto, ovvero "un ragazzo e il suo cane". Sono solo alcune delle ispirazioni che lo story group ha preso per realizzare Il Viaggio di Arlo, che sostanzialmente è quel tipo di storia... ma al contrario: l'umano, in questo caso, è il cane. Il genere western ha avuto una influenza non solo nell'aspetto visivo, ma anche nella storia stessa, nello sviluppo di personaggi come i T-Rex. Ma molto è stato anche aggiunto grazie alle proposte e le idee degli story artist: un lavoro collettivo che Mann sente traspaia dal film, e che da sempre è incentivato alla Pixar:

I nostri film sono frutto del lavoro di gruppo, dell'inclusività. In questo senso il regista Peter Sohn ci ha sempre motivati moltissimo, senza fare mai il dittatore. Ha capito che se ogni artista sente di essere responsabile di un pezzo di film, e ci tiene, anche lo spettatore lo capirà, e il risultato sarà di altissima qualità.

Abbiamo chiesto a Mann quante sequenze sono state sviluppate per questo film, e la risposta ci ha colpiti molto:

Circa trecento. Sembrano tante, ma in realtà sono molto meno del numero di sequenze di un normale film d'animazione per tutta la famiglia. Si tende infatti a fare film ricchi d'azione, divertimento, veloci, con tantissimi dialoghi e colori. Invece con questo film volevamo fare qualcosa di diverso, rallentando il ritmo, con inquadrature molto più lunghe e un montaggio più lento, contemplativo, con meno personaggi. Questo ci ha permesso di concentrarci su altri "personaggi": il fiume, il cielo, la natura.

Animare i dinosauri e Spot

Durante la nostra visita abbiamo incontrato anche alcuni responsabili delle animazioni, "gli interpreti del film", come si sono autodefiniti con noi. "Per ogni film ci troviamo a diventare dei nuovi personaggi, e la cosa bella di questo film è che abbiamo interpretato dei dinosauri!"

Una delle cose più difficili da animare sono i quadrupedi, figuriamoci un dinosauro, che nessuno di noi ha mai visto realmente muoversi

Una delle cose più difficili da animare sono i quadrupedi, figuriamoci un dinosauro, che nessuno di noi ha mai visto realmente muoversi. L'animazione di Il Viaggio di Arlo è stato quindi uno degli aspetti sui quali sono state fatte più ricerche. Gli animatori della Pixar spesso osservano animali veri per animare i propri personaggi, e nel caso di Il Viaggio di Arlo è stato organizzato un viaggio allo Zoo di Oakland per osservare il movimento degli elefanti: il giovane protagonista del film, infatti, ha le dimensioni di un elefante. Basandosi su clip registrate allo zoo, e disegnandoci sopra in digitale, gli animatori hanno appreso le basi della locomozione di Arlo e di altri quadrupedi del film, ovviamente con un approccio sintetico, in quanto il movimento è "efficienza", anche e soprattutto quando si tratta di animali molto grandi. Per quanto riguarda i movimenti del collo, invece, il team (che a un certo punto è arrivato a comprendere 85 animatori) ha utilizzato come base i cammelli, che hanno un collo più flessibile rispetto a quello delle giraffe (che è troppo lungo).
 
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Nel caso di dinosauri come i T-Rex, gli animatori hanno deciso di percorrere una strada nettamente meno "naturalistica" del solito: l'obiettivo era costruire dei personaggi, non delle creature reali. Ecco quindi che, trattandosi di mandriani, i T-Rex sono stati animati come se fossero effettivamente dei cowboy: in un inseguimento in particolare, appare evidente che i tre dinosauri si muovono in maniera poco verosimile ma molto divertente e coerente con i loro ruoli.

Per Spot, infine, il riferimento principale degli animatori non erano gli umani, ma cani, lupi e persino procioni. Spot, tuttavia, ha una evoluzione tutta sua nella storia, e alla fine del film è stato necessario cambiare il tipo di animazione per aderire maggiormente alla sua crescita come personaggio... e come persona. Il regista Peter Sohn aveva in mente come riferimento principale per Spot un bulldog francesce, soprattutto per le sue proporzioni e le dimensioni della testa. Gli animatori, invece, hanno preso come riferimento molti tipi diversi di cani, sia per i movimenti che per il comportamento: "doveva avere la curiosità di un lupo, di un animale selvatico, la sua aggressività e la sua propensione all'esplorazione. Ma doveva anche arrampicarsi sugli alberi come un procione".

Effetti e tecnologia come mezzo per raccontare la storia

Il Viaggio di Arlo è una corsa mozzafiato in mezzo alla natura selvaggia, e per ricreare questa natura è stato necessario un mucchio di lavoro da parte del reparto degli effetti visivi. Nel film stati realizzati effetti visivi per circa 900 inquadrature, il doppio di un film Pixar medio, coinvolgendo 31 persone. Uno degli effetti più complessi è stata la simulazione dell'acqua, sia per la difficoltà nel crearla, sia per la quantità di dati necessari per renderlizzarla. La colossale sequenza in cui Arlo viene trascinato via, per esempio, ha occupato 17 terabytes di memoria, più di quanto occupava l'intero Cars 2. Ecco quindi che per realizzare il film la Pixar ha dovuto ampliare ancora di più lo spazio di archiviazione a disposizione, per non parlare dei sistemi di rendering, che hanno dovuto lavorare al massimo della capacità per portare a conclusione il film in tempo.

Jon Reisch, supervisore agli effetti della Pixar, ci ha raccontato come i VFX abbiano avuto un ruolo centrale anche nel raccontare la storia del piccolo dinosauro e del suo amico umano:

Peter ci ha detto sin da subito che il fiume avrebbe avuto un ruolo primario nel film. Non è una location, è un vero e proprio personaggio, un antagonista, ma anche una "presenza" costante: per Arlo è la causa del disastro, è ciò che lo ha portato lontano da casa, ma è anche ciò che può riportarlo a casa. Doveva anche riflettere il rapporto emotivo tra Spot e Arlo, interagire con loro in diverse sequenze. Non è un caso se il fiume è minaccioso all'inizio del film, ma diventa più calmo e tranquillo quando il rapporto tra i due si evolve.

Lo scenografo Harley Jessup lo ha definito "la spina dorsale visiva del film", spiegando che Il Viaggio di Arlo ha oltre 200 inquadrature con acqua, e 125 sono dedicate solo al fiume: per realizzare queste sequenze in maniera realistica e nei tempi, il team ha deciso di spezzettarlo in sei o sette "zone", affidandole a un gruppo di animatori ciascuna e poi utilizzandole nei vari momenti del film. Curiosamente, queste sezioni sono state riutilizzate in momenti diversi del film, senza che lo spettatore possa accorgersene, e a questo proposito il regista Peter Sohn ha spesso citato Duel di Steven Spielberg, le cui scene sono state girate di volta in volta sulla stessa porzione di autostrada. Grazie alla regia e al montaggio, nessuno si è mai accorto di questa cosa, e lo stesso capita con Il Viaggio di Arlo per quanto riguarda la simulazione dell'acqua del fiume.

THE GOOD DINOSAUR

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