Eternals ha il cuore Marvel e Chloé Zhao era l'unica scelta possibile per dirigerlo
Fiducia nell'uomo, responsabilità del singolo, unicità delle scelte e libero arbitrio, in Eternals c'è tutta la filosofia Marvel dei fumetti
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Che cosa rende Eternals un film della Marvel? E, per contrasto, in cosa lo differenzia? La risposta, come ribadisce spesso Kevin Feige, sta tutta nei fumetti.
Chloé Zhao ha messo molto del suo stile di regia nell’opera. Eppure già dai suoi film precedenti (in particolare The Rider - Il sogno di un cowboy), il suo senso dell’eroismo era plasmato sulla stessa visione filosofica sviluppata in decenni di storie a fumetti. Prima di tutto c’è l’uomo, e la sua responsabilità. La capacità di fare il bene e il male è insita in tutti, tocca alla responsabilità di ciascuno, e alla coscienza, scegliere una delle due vie. Ma attenzione: chi sceglie il bene non è immune dal male. Anzi, è più sensibile e più propenso a cadere e tradire i propri propositi. Vengono così in soccorso gli altri, in una catena umana che divide questo fardello. A volte sono gli alleati (“alla tua sinistra!”) Altre volte sono semplici frasi rivelatore (“da un grande potere derivano grandi responsabilità”).
L’intero The Rider è dedicato a un ragazzo ferito, che deve ritornare in sella assecondando la propria natura. Come un Peter Parker che non riesce a liberarsi dell’essere Spider-Man anche Brady Blackburn è aiutato dal destino o da una forza maggiore. Ma in una maniera sottile. Che sia la fortuna di sopravvivere a un grave incidente o la responsabilità di una sorella che gli cade sulle spalle. Nelle storie di Stan Lee (e soci) tutto ciò che è tolto viene restituito in altra forma. Strange perde le mani, acquisisce la magia. Devil perde la vista, potenzia gli altri sensi. E funziona anche al contrario; gli X-Men sono straordinari, hanno un qualcosa in più, e allora sono reietti, emarginati dalla società.
In Nomadland le persone che Zhao segue con taglio documentaristico non hanno una fissa dimora, ma hanno la libertà. Quanto senso di meraviglia che permea il film premiato con l’Oscar! Non solo per la piccola citazione ad Avengers in una sequenza meditativa (è una locandina in un cinema chiuso che Fern incontra camminando). C’è nei momenti di stupore di fronte alle riproduzioni dei dinosauri. Figure enormi che fanno sentire piccolissima la protagonista. Di conseguenza generano un sentimento di impotenza, di fronte a una potenza più grande. Nel camminare tra le rocce, il vivere la natura come nutrimento e pericolo, Zhao condivide l’amore per la terra come gli autori che facevano nascere dalle rocce e dalle stelle i propri eroi.
Sono tutti così i primi anni di fumetti Marvel: che sia un elemento naturale (i massi de la Cosa, la terra dell’Uomo Talpa) o un qualche tipo di radiazione (Hulk, Spider-Man), la carne e la mortalità umana sono l’impasto fondamentale su cui gioca la natura.
Con Eternals Chloé Zhao ha trovato un campo libero estremamente compatibile con la sua ricerca d’autore. La forma stessa del film rispecchia questa idea di vita. Dove può va sui set naturali, riprende il sole mettendo in ombra i moltissimi personaggi. Che differenza c'è, in fondo, tra colui che riscalda la terra e Arishem?
Non poteva essere altrimenti, per un film che vuole raccontare la cosmogonia Marvel, ma anche farsi racconto epico dell’umanità. Rifiuta gli dei Snyderiani: figure esemplari e onnipotenti. Anzi, li disegna come incerti, fallibili, e sofferenti. Quante volte piangono in Eternals (sfido a trovare un altro film di supereroi con così tante lacrime per motivi così diversi)! Addirittura il colpo di scena più importante li distrugge nel profondo. Gli Eternals non sono individui, sono prodotti in massa privi del libero arbitrio. Non solo quindi non sono Dei, ma sono anche meno di uomini, quasi macchine!
Che cosa li salva? Quello che salva anche Visione: l’amore. Mettiamo subito da parte qualsiasi interpretazione naïf. Non si tratta di un sentimento romantico che prende misteriosamente il sopravvento. È una “filia”(ϕιλία), una vicinanza che accomuna tutti, quel volersi bene in quanto simili che condividono un qualcosa in comune. Sia esso il destino o semplicemente la terra su cui si cammina.
“Non è bellissimo?”. Questa frase fondamentale per il terzo atto è anche un atto di rivelazione pienamente Marvel. C’è più inconoscibile in questo gesto di stupore che nell’incontro con Arishem. Qui è racchiusa la motivazione fondamentale che spinge ad agire.
Eternals sembra scritto da Stan Lee e Jack Kirby per come si libera dalla sudditanza dell'uomo rispetto all’inevitabile. Crede veramente di poter cambiare il mondo curando la singola persona. Non c’è minaccia o dimensione che tenga: nell’umanità c’è già la soluzione per risolvere ogni problema. Basta solo un piccolo tocco magico per farla emergere. Bisogna avere fiducia.
Phastos invece la perde per un attimo (un centinaio di anni). Lui che è ingegno e creazione - e quindi fantasia e visione - sa che la tecnologia può cambiare la storia. Ne fa dono, ma l’uomo miope non la comprende e la abusa. È una scena di violenza quella dell’Eterno inginocchiato di fronte alle macerie di Hiroshima, e lo è verso quella possibilità che lui aveva donato. Ha dato l’atomica, le mani sbagliate ne hanno fatto una bomba.
Nulla di nuovo. È così che ha funzionato il guanto dell’infinito di Thanos. Anche il martello di Thor è uno strumento di morte che può forgiare meraviglie. Lo scudo di Captain America può attaccare, ma l’uomo giusto lo usa per difesa. L’armatura di Iron Man può essere sia un’arma che un rifugio.
Chloé Zaho capisce che Eternals, come la narrativa a fumetti, può essere una moderna epica. Decide così di appoggiarsi pienamente a quella del passato. Il film è intrecciato con le narrazioni leggendarie delle civiltà. Il mito di Icaro si aggiorna con una struggente trovata drammatica. Gilgamesh combatte il toro (deviante) come nei dipinti antichi era raffigurato fare il Dio sumero. Makkari è un intreccio tra Mercurio ed Hermes. Per i greci era colui che porta i messaggi degli Dei, il protettore dell’eloquenza, oltre che del viaggio. L’eterna -in un adorabile paradosso- è privata proprio della voce e comunica efficacemente senza bisogno di parlare.
Nonostante quindi sembrino personaggi apparentemente perfetti, i protagonisti di Eternals sono tutt’altro che esemplari. Prima di tutto perché appartengono a minoranze poco rappresentate al cinema e che quindi noi non percepiamo come “neutre”. Ma anche perché sono imperfetti: fermi nel tempo personale mentre il film corre di qua e di là nelle epoche. C’è chi è accecato dalla fede, chi non può provare le emozioni della vita adulta perché eternamente giovane (ancora una volta, l’importanza di provare amore). Dovrebbero essere onniscienti, ma non sanno nulla. In Eternals si aggiornano per tutto il tempo. È un continuo turbinio di informazioni mancanti o non detti. Debolezze che vanno a costituire il cuore del film. Chi le ha vissute (non siamo in molti, mi sa), ha avuto le emozioni più forti proprio da queste crepe nel fascino dell’immortalità.
Che così questo se non il cuore della Marvel? Vedere esempi “superomistici” che oltrepassano ogni confine e sentirli comunque vicini. Nella filosofia di Stan Lee i rapporti di forza non seguono una logica razionale. Il buon Peter Parker sarà sempre più forte di un Hulk senza controllo. L’ingegno di Reed Richards prevarrà sempre sul divoratore di mondi Galactus.
Eternals è questa idea qui. Che c’è più eroismo nel tenderci la mano gli uni con gli altri, nel capirci e nell’accoglierci nell’incredibile diversità che caratterizza questa terra, che nel vivere cinquemila vite senza sapere per cosa esistere. Non è un caso se i poteri degli eterni sono così simili a un ingranaggio. Si tendono le estremità per intrecciarsi in una catena umana. Come l’abbraccio di Groot ai Guardiani della Galassia o Spider-Man portato in salvo dalle mani dei passeggeri del treno dopo lo scontro con Dottor Octopus.