Era mio padre: Tom Hanks ha ragione, merita di diventare un classico!

Tom Hanks sostiene che, della sua filmografia, Era mio padre sia un titolo che potrebbe diventare un classico. Ma è proprio così?

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Ha ragione Tom Hanks: Era mio padre (Road to Perdition) meriterebbe di diventare un classico anche se sembra un po' caduto nell’oblio. L’attore ne ha parlato qualche giorno fa. Si era detto dispiaciuto della cosa: “per un motivo o per l’altro, nessuno mi cita mai Era mio padre che, per me, è stato un film incredibilmente importante da fare”. Uno dei suoi rari ruoli da personaggio moralmente riprovevole, e l’ultima apparizione cinematografica di Paul Newman. Insieme ai due pesi massimi, c’erano anche due giovani come Jude Law e Daniel Craig che di lì a poco sarebbero diventati il centro di Hollywood. Un film che unisce passato e futuro, proprio come succede al suo interno.

Tom Hanks ha profetizzato che, un giorno, Era mio padre potrebbe diventare un classico. Difficile affermarlo con certezza, proprio per via di una disaffezione generale che si percepisce e lo rende un film visto ma dimenticato. Sarebbe un peccato se non accadesse, perché quello di Sam Mendes è uno dei cinecomic migliori di sempre.

Una graphic novel e un film on the road

Road to Perdition è il titolo originale della graphic novel e del film. È molto più significativo, dove la “perdizione” indica sia la città fisica in cui trovare rifugio che l'oscurità esistenziale in cui un padre sta accompagnando il figlio. Max Allan Collins scrive un fumetto noir classico, alla fine di un decennio (gli anni ’90) in cui il genere era diventato qualcosa d’altro, più moderno. Sam Mendes stempera la durezza della china e immerge il suo film in un’oscurità più consolante e avvolgente. I personaggi scompaiono nella notte piovosa. Si nascondono nel buio più profondo. 

È quello che fa anche Michael Sullivan Jr, figlio di Michael “Mike” Sullivan (Tom Hanks) quando nell’inverno del 1931 si intrufola nella sua macchina. È alla ricerca di una risposta ad una domanda innocente fatta dal fratello Peter: “che lavoro fa papà?”. Ciò che scopre lo inorridisce. L’uomo che loro considerano un nonno, John Rooney, e che ha dato un lavoro e una casa al padre, è un durissimo boss della malavita irlandese. Mike lavora per lui come gangster. È uno dei più precisi, temuti e rispettati. Nell’ultima missione qualcosa va storto. Connor, figlio biologico di John, uccide la vittima che stava interrogando. Un atto di violenza ingiustificato ed improvviso che acuisce le tensioni tra gang. Il piccolo Sullivan Jr assiste alla scena. Scoperto, diventa un testimone chiave che non può essere lasciato vivo.

Era mio padre si trasforma così da una faccenda di gangster a una fuga on the road che riguarda soprattutto un genitore e un bambino. Il rapporto tra i due è quello degli anni ’30, in cui il genitore curava il figlio come proiezione di sé. Quando pensa e parla di lui lo descrive secondo il criterio dello specchio, con le differenze che vede rispetto a se stesso (non a caso condividono lo stesso nome). Tuo fratello era un bambino buono, gli dice, tu assomigli a me. Una questione di eredità: di carattere e di fisico, normalmente, in questo caso anche morali e professionali.

Alla fine del film sarà cambiato tutto. Il genitore entra nella maturità, è lui che cresce di più. Diventa moderno: scopre così di poter essere anche un educatore che lascia libero. Oltre alle regole imposte e alla disciplina che deve dare, è una figura di accompagnamento alla vita futura. Fa vedere il mondo, come nella splendida inquadratura, ripresa dal fumetto, in cui Michael osserva Manhattan dal finestrino. Ha gli occhi di chi sta facendo il suo primo grande viaggio.

Alla ricerca del tempo… prima di perderlo

A questo punto entra in scena il Tom Hanks più morbido possibile. Delinea il personaggio di un papà che sente di avere esaurito il suo tempo a disposizione. Ha delle cose da fare alla svelta per garantire un futuro al bambino. Ha anche tanto da dirgli e da spiegargli prima che arrivi la resa dei conti.

Così i due fanno tutto quello che un genitore e un figlio fanno nell’arco di una vita intera. Imparano a conoscersi, a crescere insieme (simboleggiato dalle lezioni di guida fatte per rapinare le banche), e ovviamente anche a salutarsi. Michael Sullivan Jr, sta accompagnando suo padre alla fine della strada, emancipandosene, differenziandosi, anche se non lo sa. 

Come in ogni viaggio anche la “Road to Perdition” è una strada che bisogna tenere d’occhio nel tempo di percorrenza. Il piccolo conta i giorni in cui ha la possibilità di stare fianco a fianco con l’uomo che l’ha generato ma che, fino a pochi giorni prima, non conosceva veramente. Mike è invece terrorizzato che questa vicinanza possa corrompere l’innocenza dell’infanzia. L’unica speranza per evitare la perdizione, garantire una vita diversa e in pace al figlio, è spezzare la catena di violenza. Proteggerlo significa qualcosa di più che non farlo morire. Il successo si misura su quanto riuscirà ad allontanarlo dalla vita che è stato costretto a fare. O che forse ha scelto. 

Un film di attori, rigoroso ed emozionante, senza mai esagerare

Era mio padre non è un film perfetto, ma ha le carte in regola per diventare un classico. È un film capace di invecchiare molto bene, perché già al momento dell’uscita riprendeva un’atmosfera classica senza farne una scialba imitazione. Genuinamente attaccato al passato, si affida alle interpretazioni per portare le ampie emozioni del dramma. Non sempre riesce a stare nei bordi e l’atmosfera si muove a sobbalzi non sempre funzionali. C’è la sensazione, ad esempio, che non ci sia mai modo di processare l’immagine tragedia famigliare al centro del film.

Però Era mio padre riesce a non esagerare mai. Merito di uno straordinario Paul Newman. Il suo John Rooney è un villain riluttante. Un genitore combattuto tra la difesa della linea di famiglia, ovvero il suo figlio di sangue (la concezione antica e ristretta della famiglia), sebbene questo sia fuori controllo, o proteggere colui che ha adottato e amato più genuinamente (l'idea moderna). Newman dà tutte le sfumature possibili a un boss durissimo, la cui presenza pesa come un macigno in ogni scena, sulla cui sorte ci si può anche commuovere.

Come una tragedia greca, il film diventa un dramma privato. Ad un certo punto il conflitto viene osservato dalle finestre della città da spettatori spaventati. Sul finale tutto si moltiplica. La sceneggiatura si rivela fatta su due genitori e su due figli. Il bambino, dalla cui prospettiva seguiamo la vicenda, smette di essere il protagonista. Prende in mano il film Tom Hanks che si trova nel crocevia tra il futuro della sua famiglie e il confronto con il suo passato. Era mio padre. Era mio figlio. 

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