Come pensava Ennio Morricone

Come vedeva il lavoro Ennio Morricone, cosa pensava del cinema, come concepiva la musica leggera e come giudicava i registi In breve: non era leggero

Critico e giornalista cinematografico


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Ci sono un paio di cose che ampiamente note riguardo Ennio Morricone, morto questa notte a 91 anni: ha composto una quantità mostruosa di musica in vita (“Ma in confronto a Mozart o Palestrina sono un disoccupatodisse al New York Times una quindicina d’anni fa) e ha alternato composizioni alte e colte con altre più popolari e commerciali.

Quello che si sa meno però è che tipo di persona fosse e da dove venisse quest’incredibile etica del lavoro e questa dedizione mostruosa. Quanto cioè la creatività e la vena che pareva inesauribile venissero da un’attitudine che è l’opposto di quella che colleghiamo all’arte. Nascevano da un rigore, un metodo e un inquadramento che sembrano più quello dell’ingegnere che quello dell’artista.

Se parliamo della sua carriera da compositore per il cinema l’apparato concettuale e teorico che guidava il suo lavoro era preciso ed inesorabile: “Concettualizzare i sentimenti e sentimentalizzare i concetti”. A partire da questo componeva ed ideava adattandosi a stili e registi diversi.

Per arrivare anche a 8-9 film musicati in un solo anno Ennio Morricone aveva ideato sistemi inesorabili. Appassionato di risoluzione di problemi e creazione di standard si era inventato un sistema tutto suo di scrittura della musica, una scrittura semplificata s’intenda, per appuntare idee, tramite il quale poteva, mentre gli veniva proiettato un film, cominciare a concepire suoni e armonie. Lo fece per esempio per Novecento di Bertolucci.

Come ha raccontato nella masterclass degli anni '80 resa pubblica dal Centro Sperimentale un’altra tecnica che aveva, quando gli veniva chiesto di comporre prima che il film fosse finito, era di chiedere alla moglie di leggergli tutta la sceneggiatura (è facile ipotizzare con risultati esilaranti, erano due signori d’altri tempi della Roma bene, sarebbe bello assistere alla lettura dello script di La Cosa da parte della signora Morricone) e mentre la moglie legge lui di nuovo appunta, crea e inventa già sul momento.

Non aveva nessun problema ad adattare il suo lavoro alle condizioni del film, una volta accettata una commissione aveva una dedizione fortissima a realizzare la volontà di regista e produzione. Per Mission (quando era già famosissimo e venerato) compose il tema di flauto seguendo lui i movimenti delle dita di Jeremy Irons che si vedono sullo schermo, così da inventare un tema in linea con quel che si vede sullo schermo.

Quando poi arrivava il momento della composizione e della scrittura propriamente dette, quello del lavoro più intenso, si chiudeva per circa un mese in casa non facendo altro tutti i giorni tutto il giorno “specialmente il sabato e la domenica, che sono i giorni migliori perché il telefono squilla meno” raccontava sempre al New York Times nel 2007.

Viveva per il lavoro in un certo senso, anche se ha avuto una famiglia e dei figli, ma il suo rigore riguardo la propria arte e la propria produzione era pazzesco. Sentiva molto forte il bisogno di usare un linguaggio comprensibile dalla media degli spettatori non perché davvero volesse essere popolare (non lo era per niente quando componeva musica colta per se stesso, senza commissioni) ma per responsabilità nei confronti del regista. E questo gli causava dilemmi, era combattuto e, diceva “bisogna tenere conto di tutto questo per lavorare senza finire a sputarsi in faccia allo specchio al mattino per i condizionamenti del mercato ma mantenendo la dignità professionale e artistica che un compositore deve sempre avere”.

Non era infrequente che disprezzasse alcuni dei mezzi o dei suoni o degli strumenti che usava per lavoro e con i quali cercava di fare il lavoro migliore. "Ma che è uno strumento il fischio? No, mica è uno strumento" diceva quando gli si chiedeva della rivoluzione portata nelle colonne sonore inserendo elementi prima sconosciuti. Aveva portato fruste e rumori nelle colonne sonore degli spaghetti western perché, nella sua visione, erano film e generi estremamente popolari e allora lui avrebbe usato forme più basse, strumenti più popolari (la chitarra elettrica surf) e anche i rumori.

Aveva un’idea altissima del proprio lavoro e della propria categoria. Disprezzava con facilità tutto quello che non ne era all’altezza come le canzonette in primis, cioè la musica pop e di quelli che lui chiamava “rockisti”. I Metallica da decenni aprono i loro concerti con una versione loro di L'estasi dell'oro ed è facile applicare a ciò queste sue parole più generiche: “Io a quella semplicità ci arrivo per altre ragioni e non per le loro. Cioè non per carenza ma per coerenza storica”.

Ma spesso disprezzava apertamente anche i registi che non capivano la musica. Dai suoi racconti alle volte traspariva un malcelato disgusto come quando spiegava come aveva ingannato Pontecorvo che di musica capiva poco, fingendo di dargli quel che lui voleva quando in realtà era quel che stava più a cuore a Ennio Morricone. Pontecorvo andava fiero di aver suggerito la melodia di il tema di Alì in La Battaglia di Algeri, Morricone diceva "Lui venne da me con queste quattro note... Poi io ci ho composto intorno un tema, che è anche rivoluzionario". E nonostante la profonda e grande amicizia con Leone (che viene dalle elementari) anche su di lui scherzava raccontando come capisse molto poco di musica e fosse facile a “raggirarsi” per ottenere di imporre il tema o il tono o l’arrangiamento che voleva facendo pensare a Leone che fosse una sua idea.

Aveva un'alta opinione di se stesso. E a ben donde. Durante gli anni '80 ad un certo punto smise di lavorare per il cinema americano, nonostante fosse richiesto perché scoprì di colpo che era pagato come i peggiori compositori americani. E lo scoprì di colpo perché in realtà per timidezza e inclinazione personale lui non voleva mai parlare di soldi. Non voleva parlarne ma se la prese quando scoprì che era pagato poco. Solo dopo Mission cambiò tutto e diventò il più pagato in assoluto (e lo diceva con una certa soddisfazione "Ora sono pagato ai massimi livelli") ricominciando a lavorare per gli americani.

Infine però la cosa che forse sorprende di più è quanto pensasse che la musica sia superflua nei film. Non solo Ennio Morricone era fermamente convinto che un film propriamente detto, un’opera completa e riuscita in tutte le sue parti dovesse bastare a se stesso con il proprio linguaggio e quindi non dovesse appoggiarsi al linguaggio di un’altra arte (la musica per l’appunto), ma anche quando lo faceva riteneva che troppa musica in un film fosse inutile perché dopo un po’ il pubblico si perde e non riesce ad apprezzare le idee psicologiche e gli obiettivi che questa ha. Dall'altro lato però pensava anche che, una volta che una musica c'è si debba sentire, si debba notare: "La musica che non si sente nei film è brutta musica" era la sentenza espressa in un'intervista alla BBC.

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