Ennio Fantastichini, il corpo conservatore del cinema italiano

Poliziotto, magistrato, direttore, capo e padre austero, erano le figure d'autorità poco inclini al cambiamento i ruoli in cui eccelleva Ennio Fantastichini

Critico e giornalista cinematografico


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Ci sono attori che qualunque ruolo interpretino non possono non essere dei caratteristi, Ennio Fantastichini ha sempre giocato su quel crinale. Dopo una carriera tra anni ‘80 e ‘90 passata nel cinema indipendente con quale fuoriuscita in quello di primo piano (Porte Aperte di Gianni Amelio), la sua stella è decollata davvero quando ha raggiunto l’età per entrare nel novero dei personaggi di supporto.

A partire dagli anni 2000 Ennio Fantastichini ha moltiplicato la sua presenza con ruoli più brevi ma dall’incisività maggiore. Era il padre duro, il conservatore, il capo bastardo, l’austero direttore o le figure di autorità. Ovviamente è stato spesso pedina positiva in molti film di Ozpetek, ma il fisico gigante e il volto di Fantastichini erano perfetti nei ruoli più duri e spigolosi, quelli dell’omone intransigente, perfetto per portare nel presente atteggiamenti d’altri tempi. Era un po' la parte che a metà anni '90 gli aveva così ben cucito addosso Ferie d'Agosto, l'uomo tradizionale che arranca per stare al passo con l'immagine che vorrebbe avere di sé. Mai intellettuale, sempre borghese.

Intorno a lui i successi di pubblico e le scelte dei registi avevano cucito il corpo conservatore del cinema italiano. Il villain delle commedie o dei drammi aveva molto spesso ruoli d'opposizione, bravissimo a farsi odiare e a sfruttare volto e fisico per incarnare l'uomo d'altri tempi.

Amatissimo di quell’amore che è impossibile non provare per i caratteristi, quegli attori la cui presenza sembra una colonna, un muro portante di qualsiasi film, che ci appaiono come le piattaforme per la storia e per i protagonisti quando in realtà sono anch’essi parte di una troupe e lavorano con tutte le difficoltà del caso e metà del riconoscimento, Fantastichini aveva trovato nell’ultimo decennio una riconoscibilità che la prima parte della sua carriera non gli aveva dato. Con il successo di Mine Vaganti, il film che ha cementato la sua capacità di funzionare all’interno di un film con ruoli brevi ed incisivi, aveva trovato la dimensione in cui il pubblico gli riconosceva i meriti maggiori.

Molto attivo in televisione sia nella fiction tradizionale (era Falcone in quella su Borsellino) che nelle serie tv più moderne come Il mostro di Firenze o Napoleone, c’erano nel suo volto delle caratteristiche così peculiari da renderlo memorabile. Come gli occhi piccolini che diventano minuscoli quando ride di convenienza o assume l’espressione arcigna (tipica dei suoi ruoli da boss, capo, direttore, politico, magistrato…), un sorriso falsissimo che lo rendeva perfetto per qualsiasi parte doppia, di doppiogiochista, falso, ipocrita e perbenista, e infine due spalle larghe quasi da sportivo, una stazza che al cinema è fondamentale.

Se un produttore spietato dovesse scrivere un necrologio di Fantastichini probabilmente direbbe che uno come lui “serviva” al cinema, cioè un attore così completo, serio e preparato ma anche con un fisico così particolare è il sogno di tutti. Poter avere nei ruoli per i quali il suo fisico lo rende perfetto un attore vero, capace non solo di recitare bene (che è metà del lavoro di un caratterista) ma anche di interagire bene con i protagonisti migliorando la loro di recitazione in tutte le scene in cui sono presenti è un dono. E infatti nessuno se ne voleva privare.

Per ricordarlo forse il modo migliore è la scena più nota in cui ha recitato, quella che tutti giustamente si affretteranno a riproporre, cioè il momento di Mine Vaganti in cui, saputo dell’omosessualità del figlio, decide di ostentare felicità nella piazza del paese in cui vivono e tenere un’apparenza tradizionale, sperando che nessuno l’abbia saputo ma segretamente covando paranoia.
Qui è Scamarcio, il protagonista, a fargli da spalla mentre lui regge da solo tutta la sequenza, azzera chiunque gli si avvicini e domina con una risata fenomenale, finta e dal ritmo imbattibile ogni interazione. Scamarcio fa bene a mettersi da una parte, con discrezione. È un momento palesemente ispirato a Germi ma trasuda tutto il cinema italiano degli anni ‘60, proprio per come Fantastichini conduce le interazioni fino attraverso la falsità ipocrita e la voglia di mettersi in mostra. E quando alla fine sfocia nella mania di persecuzione ci arriva solo perché Fantastichini lo consente. Magistrale.

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