Editoriale - Recensire un videogioco è davvero diventato impossibile

Secondo un articolo del Guardian recensire un videogioco è diventato impossibile: perché siamo d'accordo

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Nei giorni scorsi è uscito sul Guardian un interessante articolo di Keith Stuart, principale firma videoludica del prestigioso quotidiano d’oltremanica, nel quale l’autore si chiede se recensire i videogiochi sia diventato impossibile, almeno nella concezione tradizionale. E nell’era dei DLC, delle patch al day one, dell’online e di titoli da centinaia d’ore, lo scrivere una recensione è sicuramente diventato difficilissimo, forse quasi impossibile.

Prendiamo come casi particolari tre giochi molto diversi fra loro: Destiny, Metal Gear Solid V: The Phantom Pain e The Witcher 3: Wild Hunt. In tutti i casi siamo davanti a prodotti dai valori produttivi altissimi, sviluppati da team blasonati e amatissimi da pubblico e critica. Su Badgames.it, come su qualsiasi altra testata del pianeta, avete potuto leggere recensioni - pure molto dettagliate - il giorno dall’uscita, se non addirittura prima del lancio ufficiale. Tutto molto bello, i distributori ci hanno mandato delle copie in anteprima oppure ci hanno invitati a ottimi review event, noi abbiamo provato il gioco e ne abbiamo scritto con la massima onestà intellettuale. Ma davvero si può recensire Destiny dopo venti ore di gioco? Siamo certi di aver esplorato ogni meandro dei Regni del Nord? Abbiamo visto il vero finale dell’avventura di Venom Snake?

[caption id="attachment_146748" align="aligncenter" width="600"]Metal Gear Solid V: The Phantom Pain screenshot Metal Gear Solid V: The Phantom Pain - screenshot[/caption]

La risposta a tutte e tre le domande non può che essere no. Ormai i giochi sono talmente complessi da rendere ogni singola partita un’esperienza irripetibile. Noi giornalisti, stretti fra scadenze editoriali e ovvi obblighi di sintesi, per forza di cose possiamo esplorare solo una parte, un’infinitesimale parte, di quello che un grande videogame moderno ha da offrire. Forse sarebbe ora di ricalibrare le aspettative che circondano le recensioni, soprattutto quando ci occupiamo di titoli molto attesi: considerare gli articoli come guide all’acquisto è riduttivo per chi scrive ma, soprattutto, per chi legge. La critica videoludica deve crescere, fare quello scatto che, nel cinema, è coinciso con l’arrivo nelle edicole dei Cahiers du cinéma. La storica rivista (su cui hanno scritto pure Chabrol e Truffaut) ha smontato le basi dell’analisi cinematografica, ricostruendole aprendosi agli influssi dei film che arrivavano da oriente e, in generale, allontanandosi dallo studio system.

"La verità è che il mondo attorno a noi è cambiato drasticamente, ma il rapporto dei recensori con i videogiochi è rimasto pressoché lo stesso"

Nei videogiochi non abbiamo ancora trovato il nostro Truffaut e, non a caso, le recensioni dei videogiochi rispondono ancora a uno schema inventato ormai più di trent’anni fa. La preminenza della componente tecnica su quella artistica, l’ossessione per i numeretti, l’insensato focus sulla longevità (come se durare 100 ore fosse una qualità di per sé), tutte queste malattie infantili della critica videoludica non sono mai guarite per davvero e oggi davanti a giochi come Fallout 4 il povero recensore si trova spaesato. Questo avviene perché ci siamo impigriti, autoconvincendoci che gli strumenti critici messi a punto agli albori del gaming (quando, per intenderci, quattro pixel componevano il protagonista della nostra avventura) fossero perfetti e immutabili. La verità è che il mondo attorno a noi è cambiato drasticamente, ma il rapporto dei recensori con i videogiochi è rimasto pressoché lo stesso. Forse sarebbe ora di cercare un altro approccio, un’angolatura critica che permetta di approfondire gli aspetti principali dei titoli senza la pretesa di offrire una valutazione.

[caption id="attachment_149041" align="aligncenter" width="600"]Her Story screenshot Her Story - screenshot[/caption]

Prendiamo un esempio limite: Her Story. Il gioco di Sam Barlow dura poco più di un paio d’ore, non ha pressoché interattività alcuna e consiste in attività del tutto ripetitive, eppure è uno dei migliori titoli del 2015. Una recensione classica dovrebbe valutarlo come gravemente insufficiente ma, per fortuna, buona parte dei commentatori ha compreso lo straordinario lavoro narrativo dello sviluppatore, premiandolo con commenti molto positivi. Ecco, la chiave sta esattamente qui: così come per analizzare gli indie abbiamo accettato di costruire una cassetta degli attrezzi nuova adesso è giunto il momento di prendere coraggio e usarla pure con i titoli cosiddetti tripla A. Ammettiamo una volta per tutte che non è possibile recensire un gioco come Destiny il giorno dell’uscita o che la vera forza di Fallout 4 non è nelle sue dimensioni ma nel senso di libertà capace di ispirare. La critica non deve arrendersi alle difficoltà dei giochi moderni ma evolversi, cercare nuove strade e non temere il giudizio dei lelettori, solo così le recensioni torneranno a essere utili.

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