Easy Rider, 50 anni dopo la sua uscita, è più importante che bello

La strana e paradossale storia di come è stato messo insieme Easy Rider, a partire da almeno tre film diversi uniti insieme e da Roger Corman

Critico e giornalista cinematografico


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Per quanto paradossale possa sembrare non è strettamente indispensabile essere un gran bel film per essere un film importante, cruciale, determinante. Storico. Easy Rider lo dimostra. A 50 anni dalla sua uscita italiana, qualche mese dopo quella americana, il film di Dennis Hopper rimane come il simbolo stesso della nascita di un nuovo cinema in America e dell’accesso di una nuova generazione alla sedia di filmmaker e negli uffici dei produttori. Il cambio che portò alla nascita della New Hollywood e a film diversi, più duri, più onesti, meno sognanti e dalle soluzioni nettamente più audaci.
Prima di tutto però c’era questo film on the road fatto per cavalcare il trend dei film di rivoluzione e ribellione, fatto per un pubblico di capelloni e hippie che a fine anni ‘60 erano serviti più che altro dai B movie e fatto soprattutto da due attori per affermarsi.

Quel che fa ridere però è che dietro questo cambiamento tutto giovanile c’è, ancora una volta, un uomo che giovane non era e i registi giovani li faceva esordire tutti perché costavano meno: Roger Corman. Lui con i suoi horror e i suoi film pieni di donne nude, con le sue storie d’azione rapide e il naso per gli incassi facili e i costi bassi aveva in scuderia Coppola, Scorsese e tutti gli altri, mentre contemporaneamente produceva e girava in serie film con Peter Fonda.

I Selvaggi fu il primo nel 1966, un film di motociclisti fuorilegge, genere a sé che nasce con Il Selvaggio con Marlon Brando (non a caso richiamato nel titolo italiano). Per la prima volta qualcuno associava Peter Fonda alle moto e al mondo della controcultura, per la prima volta si creava quel binomio tra viaggio, libertà, politica, giovani e volti hollywoodiani (c’era anche Nancy Sinatra e c’era Bruce Dern).

Il secondo fu Il Serpente Di Fuoco, del 1967, ed era ancora più pregnante, un film di pura psichedelia scritto da Jack Nicholson (che da tempo collaborava con Corman) che in originale si chiama The Trip, in cui sempre Peter Fonda nei panni di un regista appena divorziato e spiazzato dalla fine della storia con la moglia, assume dell’LSD e per tutto il resto del giorno sta sotto botta. Vedrà persone, visiterà posti e avrà un’esperienza diversa del mondo. In quel film Corman sperimenta messe in scena, dissolvenze, scenografie e montaggi con rapidi avanti e indietro o inserti di scene diverse che poi Hopper (che pure ha una parte in questo film come anche Bruce Dern) userà per Easy Rider.
A questo potrebbe essere aggiunto anche Angeli Dell’Inferno Sulle Ruote (pessima traduzione letterale di Hells Angels on Wheels) che aveva buona parte del cast e crews di Easy Rider tra cui Jack Nicholson nel cast e Laszlo Kovacs come direttore della fotografia.

Sono passi di avvicinamento cruciali e soprattutto film che avevano cominciato a lavorare sull’idea che la rivoluzione al cinema non dovesse viaggiare parallela ad Hollywood ma dovesse avvenire dentro al sistema, dovesse incorporare volti e nomi di Hollywood. E Easy Rider questo era, un altro film di biker della controcultura, in cui ci si fa di LSD e il pubblico lo capisce grazie al montaggio sperimentato di Corman, solo con la Columbia Pictures dietro.
L’idea venne a Fonda vedendo il poster di I Selvaggi, pensò ad un film tutto con lui e Hopper come cowboy nel west solo con le moto e Hopper a dirigere. Quando però l’idea si fece più seria (per modo di dire, i momenti proprio professionali nel making di Easy Rider scarseggiano) ci fu però uno sceneggiatore vero e proprio, Terry Southern, che aveva fatto parte della beat generation che aveva un ruolo nella swinging London e aveva scritto dialoghi per Il Dottor Stranamore. E anni dopo proprio Southern disse che Hopper e Fonda si erano presi il credit da sceneggiatori dopo la prima proiezione e il suo successo, sostenendo che essendo tutto stato molto improvvisato da loro sul set erano anche scrittori. Ovviamente la versione dei due attori era che erano responsabili di tutta la scrittura.

La realtà è che una sceneggiatura vera e propria sul set non c’era, a detta di tutti quelli che ci hanno lavorato e non hanno litigato con Hopper (pochi). Si procedeva alla giornata navigando a vista. Molti dei soldi per gli spostamenti di tutto il cast e della troupe li metteva Peter Fonda che dava in giro la sua carta di credito.

Questo film fatto dopo i due di Corman per averne tutte le caratteristiche (incluso Nicholson) ma prodotto dalla Columbia proprio non aveva un piano preciso. Peter Biskind (grande studioso del cinema dell’epoca) in Easy Rider Raging Bulls sostiene proprio che Easy Rider sia un film che si è fatto da solo, che il quoziente di professionalità improvvisate sul set fosse superiore ad ogni media per un film di quel livello, che non ci fosse un piano di lavorazione ma che si girasse ogni giorno qualcosa di diverso.

Molto fu sistemato al montaggio, tantissimo ad oggi ancora non fila bene nonostante il film sia stato ridoppiato dagli attori per aggiungere battute che diano un senso alle immagini.
Il punto tuttavia era proprio un altro: quel film rappresentava quel momento. Era un film in cui star si ribellano fumando marijuana e facendosi di LSD con una messa in scena diversa, apparentemente nuova (praticamente confusa) e un grande senso di ribellione ad un nemico fantoccio facilissimo (i protagonisti alla fine finiscono uccisi da alcuni redneck, simbolo della vecchia America che non capisce i giovani). Ed aveva tutta la musica che era importante avere nel 1969. E la musica da sola costò 3 volte il budget del film, 1 milione di dollari.
Era buono per il pubblico, era buono per la critica, era buonissimo per il festival di Cannes (dove vinse sbloccando una distribuzione americana), era buono per le star e per il mondo di Hollywood che finalmente iniziava a fare soldi con questa moda dei giovani capelloni e non avrebbe più smesso, inglobando quanti più cineasti nuovi, giovani e potenzialmente ribelli ci fossero in giro dando vita alla New Hollywood.

Ad oggi, dopo 50 anni, rimane però un film difficilissimo da guardare, pieno di problemi, le cui idee nuove sembrano non giovare per niente alla sua comprensibilità e soprattutto la cui idea di ribellione pare davvero la versione annacquata di quella dei film più seri. Non ha il piacere di far film e goderne senza un domani del cinema di Corman, non ha certo la fattura del vero cinema e nemmeno ha l’urgenza della spinta rivoluzionaria che si perde in un continuo ripetere la medesima drammaturgia solo con una canzone diversa sotto.
È un inno a qualcosa che alla fine capiamo bene cosa sia ma che lo stesso il film non sembra mai in grado di mettere davvero a fuoco.

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