E3 2019, il furto dei dati dei giornalisti non è neanche la parte peggiore della vicenda
L'ESA ha lasciato scoperti i dati sensibili dei media presenti all'E3 2019 e la lista è diventata di dominio pubblico
Lo ribadiamo nel caso vi possa sembrare incredibile ma si tratta letteralmente un file XLS, apparentemente scaricabile con facilità da un portale dedicato interno dell’E3 2019. La lista dei nomi è quella che l’ESA poi distribuisce ai publisher e ai PR presenti in loco, così che possano promuovere le loro attività con la stampa, gli influencer e in generale chiunque sia a Los Angeles per produrre contenuti di divulgazione e/o informazione.
Stiamo parlando di un incidente gravissimo. Una violazione di dati mai vista nel settore, che mina la credibilità di una fiera già in forte crisi e ci ricorda ancora una volta quanto siamo in perenne pericolo. Perché se con il caso di Cambridge Analytica abbiamo assistito a qualcosa di inaudito per quanto riguarda Facebook, la piattaforma di Mark Zuckerberg è pur sempre un qualcosa di ricreativo, per la maggior parte dei casi. Accettiamo implicitamente che le nostre foto caricate siano per sempre presenti negli archivi dell’azienda, perché in fondo la maggior parte degli utenti non lavorano su Facebook e tutto quello che si fa su quella piattaforma è a scopo di divertimento o quasi. Ma le persone presenti in quel file Excel all’E3 2019 ci sono andate per lavoro.
Nel giro di qualche ora dalla divulgazione dei dati ci sono state già le prime minacce verso i giornalisti, perlopiù americani o comunque più esposti mediaticamente, e non osiamo nemmeno immaginare cosa possa essere successo alle giornaliste, alle conduttrici e in generale tutte le esponenti femminili del settore, che spesso sono già oggetto di eccessive attenzioni non richieste. C’è chi si sta muovendo per capire cosa si possa fare per far sì che l’ESA risponda delle sue mancanze, come Alanah Pearce, che su Twitter sta radunando testimonianze ed adesioni, ma la vicenda è chiaramente solo all’inizio.
I dati violati, l’infrangersi della certezza di avere di fronte un’organizzazione in grado di tutelare chi per lavoro partecipa alla fiera che essa mette in pedi, la possibile class action e la privacy inesistente. Tutto questo non è neanche lontanamente la parte peggiore della vicenda.
Il portale che, per primo, ha condiviso la lista dei giornalisti, specificando deliberatamente di averlo fatto per divertimento, si è subito riempito di una sequenza di insulti e commenti caustici contro l’intera categoria.
Il tenore dei commenti, di cui non vogliamo postare screenshot per non diffondere l’url del sito, è il seguente:
Se la sono cercata per essere dei “giornalisti videoludici”.
In arrivo un massiccio numero di tweet del tipo “i giornalisti dovrebbero essere una classe protetta”.
È così bello…
Ben fatto ESA. Qualcuno dei giornalisti prezzolati della UE considererà l’ipotesi di fare causa con la GDPR? Sarà divertente. Portate i popcorn.
Spero che a questi sfigati piacciano dei Corani gratis.
È il mio compleanno? Tutto questo è straordinario.
Oh buon Dio questa è una miniera d’oro.
E ce ne sono tanti altri. Ma uno, in particolare, merita attenzione, perché esplicativo dell’oggetto di tutta questa riflessione.
Che bello che l’ESA l’abbia fatto. Credo che li pagherò, ed iscriverò molti di questi ragazzi per delle pillole per allungare il pene, perché prendere soldi dalle corporazioni in cambio di recensioni positive gli fa davvero perdere testosterone.
In questo commento c’è probabilmente tutto quello che c’è di sbagliato al momento nel mondo dell’informazione videoludica (e anche di quella generalista), più precisamente riguardo a come vegna percepita dal lettore, dal pubblico, dal popolo. Ma anche un po' di quanto c'è di sbagliato nella libertà di espressione data al popolo del web. L'ironia di chi vorrebbe fare humor nero senza sapere neanche dove stia di casa, l'insulto personale e la cara e vecchia lotta ai poteri forti e al maschio bianco, già che ci siamo. Viviamo in un periodo in cui la stampa a livello globale è in difficoltà. I giornalisti sono figure scomode, da tenere defilate perché filtrano il buon marketing e fanno cattiva pubblicità, oppure perché semplicemente serve far raccontare la propria storia da qualcuno in grado di essere controllato. Lo vediamo in particolar modo in Italia nella cronaca odierna, ma è un sentimento diffuso.
Il giornalista oggi è per una sempre più estesa parte di pubblico, aziende e autorità una - scusate l’inopportuna ma quantomai calzante volgarità - vera e propria rottura di coglioni.
ESA class-action lawsuit when?
— Alanah Pearce (@Charalanahzard) August 3, 2019
E questo è molto grave già di per sé, figuriamoci se tale espressione viene a seguito di un evento del genere. Una cosa che, lo ribadiamo nel caso fosse sfuggito oppure si sia poco informati sullo stato delle cose, è un reato, prima di essere un incidente increscioso. Una cosa per la quale viene detto che se la sono cercata, che è bello che sia successo perché i giornalisti sono prezzolati, burattini delle corporazioni e finalmente si farà giustizia. Ed è vero che, purtroppo, esiste una parte di persone che lavorano così. Professionisti che non sono degni di essere definiti come tali.
"Questo è un duro colpo per l’E3, da cui sarà difficile che si riprenda, perché c’è lo spettro di un nuovo Gamergate all’orizzonte"Ma c’è soprattutto la stampa che lavora secondo dei principi. Professionisti che portano avanti il loro lavoro secondo un obiettivo e una volontà ben precisa. La stampa che racconta degli sviluppatori delle più amate e rinomate software house che fanno turni di lavoro inumani e massacranti, che ci avverte del fatto che ci stiamo uccidendo con le nostre mani e il pianeta Terra sta andando verso un declino causato da noi stessi, che racconta come quello che vi dicono le corporazioni e le grandi aziende forse non è del tutto vero, che prova cosa faccia la classe dirigente con i soldi pubblici. I giornalisti e i creatori di contenuti sono stati messi a nudo di fronte al mondo per un errore di gestione dei dati dell’ESA, subito sfruttato dalle realtà anti-establishment in nome di una non meglio identificata resistenza, che li hanno ulteriormente diffusi, e in più vengono ricoperti di insulti e messi in ridicolo. E se la sono pure cercata, dicono loro.
È una cosa molto grave, e deprimente. Questo è un duro colpo per l’E3, da cui sarà difficile che si riprenda, perché c’è lo spettro di un nuovo Gamergate all’orizzonte. Difficile fidarsi di nuovo dell’ESA, e questo a discapito di tutti quegli sviluppatori e addetti alla comunicazione che hanno bisogno di quella lista per poter promuovere le proprie attività e progetti e per fissare appuntamenti con i giornalisti durante i giorni della fiera. Significa tagliare le gambe ad un evento che già zoppica.
Ed è ancora più deprimente pensare che in Italia sarà molto difficile riuscire a costruire una class action al riguardo. In fondo, la realtà dell’editoria videoludica italiana è pur sempre quella nella quale i suoi esponenti (ex o ancora in attività che siano) se ne escono con editoriali dal titolo: “Perché la stampa videoludica italiana è morta (o comunque morirà presto)”. È sempre stato difficile fare fronte comune, ma chissà che questa non sia l’occasione per guardare al di là della propria barricata. E scrivo queste parole in funzione del fatto che il sottoscritto è andato all’E3 2019 come inviato per un sito concorrente. Su queste pagine vi ho raccontato di EA PLAY, ma non sono stato inviato ufficiale per BadTaste.
Nel momento in cui scriviamo non c’è stata ancora nessuna azione ufficiale da parte degli outlet italiani coinvolti. Perciò, oltre a raccontare questo episodio increscioso, che coinvolge anche il sottoscritto insieme alla stragrande maggioranza dei media italiani che hanno partecipato all’E3 2019, la speranza è che questo articolo possa servire ai colleghi per riflettere sullo stato delle cose. Iniziare a reagire a queste vicende come dei professionisti sarebbe occasione di crescita per il settore, servirebbe a far capire che a ogni azione ne segue una uguale e contraria, come in ogni altro caso della vita, e a guadagnare rispetto nei confronti degli invertebrati come i soggetti di cui abbiamo parlato poco sopra.
Perché dopo tutto quello che è successo non è nemmeno piacevole sapere che c'è gente che gode delle disgrazie altrui, magari postando il tutto da uno smartphone costruito da una multinazionale che raccoglie i dati personali dei loro clienti. Nell'assurdità del grottesco, per dire.