E’ tutto un reality…

Cosa hanno in comune Lost, Pirati dei Caraibi e Harry Potter? Apparentemente nulla, ma tutti, negli ultimi episodi, sembrano voler sfruttare l’interesse degli appassionati per sopperire alle mancanze della storia. Che ci sia l’influenza del Grande Fratello e Co.?

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Spieghiamo meglio questa teoria, apparentemente bislacca, prendendo ad esempio i titoli citati in precedenza. Chi ha visto la seconda stagione di Lost, saprà che le risposte date ai molteplici interrogativi (come funziona l’isola? Come mai i nostri eroi sono isolati dal mondo? Qual è la forza misteriosa che li ha portati lì e perché?) sono state decisamente poche (anzi, forse sono aumentate le domande). Insomma, ventiquattro episodi in cui l’obiettivo sembra essere prolungare all’infinito l’attesa, piuttosto che soddisfare le normali regole di narrazione.

E che dire di Pirati dei Caraibi 2, che è semplicemente un’interminabile introduzione al terzo episodio, a tratti anche imbarazzante per l’inutilità delle scene proposte? Analogamente, c’è da temere per Harry Potter e l’Ordine della Fenice, considerando che il romanzo della Rowling riempiva più di 800 pagine con materia sufficiente forse per 150. Ma di esempi del genere ognuno può farne quanti ne vuole.

I problemi, a mio avviso, sono due. Uno è abbastanza semplice e chiaro, ossia lo sfruttamento commerciale di un marchio consolidato. Perché non sfruttare fino all’osso la gallina dalle uova d’oro, centellinando eventi e situazioni?
Ma, il secondo a mio avviso ha qualcosa a che fare con i reality. Truffaut disse una volta che il cinema (ma direi anche un certo tipo di letteratura e di televisione) era la vita senza i tempi morti. Eppure, di tempi morti nei titoli citati sopra ce ne sono parecchi. Sarà forse che il pubblico, dopo aver assistito a decine di reality show, si stia adeguando a certi ritmi blandi e, anzi, li trovi anche preferibili?

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