Dure a morire – le Signore di ferro nel cinema italiano

A partire dalla Isabella Ragonese in Come pecore in mezzo ai lupi, parliamo delle signore di ferro del cinema italiano

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A volte sono poliziotte come la Vera di Isabella Ragonese in Come pecore in mezzo ai lupi di Lyda Patitucci, al cinema dal 13 luglio. A volte invece sono truffatrici, boss criminali, pilote automobilistiche o giornaliste. Abbiamo cercato di selezionare le principali protagoniste femminili di opere italiane in cui queste “dure a morire” sono al centro del racconto. Nel bene e nel male.

Ci piace cominciare quasi vent'anni fa con Ksenia Rappoport. Quando arriva in Italia per recitare in un film di Giuseppe Tornatore è realmente una “sconosciuta” dalle nostre parti. Non parla nemmeno la nostra lingua. Eppure basta proprio La Sconosciuta (2006) per farla diventare una sorta di beniamina del pubblico nostrano specie in una chiave di lotta e sopravvivenza. È alta, poderosa nello sguardo, anche spietata quando vuole. Ne La sconosciuta è passiva per tre quarti di film e poi si scatena contro Michele Placido in una sequenza dove Tornatore usa più litri di sangue degli ultimi dieci anni di filmografia di Dario Argento. È un buon successo (quasi 7 milioni di euro di incasso), Rappoport vince il David di Donatello come Miglior Attrice e dopo soli tre anni torna in chiave noir come femme fatale ne La Doppia Ora (2009) di Giuseppe Capotondi e poi come l'ambigua Ylenia nel deludente dittico Il ragazzo Invisibile (2014-2018) di Gabriele Salvatores. Ma ormai Rappoport è diventata una delle nostre attrici più dure e potenzialmente aggressive.

Un'altra tosta è Valeria Golino. Aveva avuto la durezza mentale di andare poco più che ventenne a Hollywood lavorando sia a fianco di Tom Cruise e Dustin Hoffman (Rain Man di Barry Levinson nel 1988) che di Charlie Sheen (i due Hot Shots nel 1991 e 1993). In Come il vento (2013) di Marco Simon Puccioni è Armida Miserere. “Miserere di me” ovvero “Abbi pietà di me” diceva Dante a Virgilio incontrandolo all'Inferno. Ma di Armida Miserere chi ha avuto pietà? Nessuno. Nel film di Puccioni, Golino interpreta un personaggio realmente esistito, tra le prime direttrici di carcere italiane (Voghera, Pianosa, Ucciardone, San Vittore). La Miserere soffriva per amore (il compagno, rieducatore carcerario attraverso il teatro, ucciso dalla Camorra nel 1990) e combatteva contro i pregiudizi. Peccato che Come il vento si soffermi troppo sulla parte privata e poco sulle difficoltà pubbliche di una donna stoicamente opposta alla ferocia maschile. Ma la Golino è intensa e scattante, anche in senso letterale. Così carismatica e ammaliante da interpretare l'anaffettiva rapinatrice (roba che Ryan Gosling, in Drive, è un simpaticone espansivo) dentro Occhi Blu, esordio alla regia di Michela Cescon. Film estremamente bizzarro per la nostra industria in cui Golino è una supercriminale sui generis, e dalla sessualità peculiare, fuori da ogni schematismo predefinito della cultura italiana.

Personaggio reale come la Miserere ma di mestiere giornalista: Federica Angeli. La interpreta una Claudia Gerini azzeccata per il ruolo da “dura” soprattutto dopo la fiammeggiante Gianna D'Antonio di John Wick 2, in cui è una boss malavitosa così fiera e orgogliosa da togliersi la vita prima di essere giustiziata dal John Wick di Keanu Reeves. In A mano disarmata (2019) la dirige il veterano Claudio Bonivento, attivo produttore negli anni '80. Angeli è stanca di articoletti su rapine in gioielleria. La sua Ostia è sotto il giogo di una famiglia criminale. L'inchiesta porterà minacce, scorta, tradimenti amicali e tensioni familiari. Il film ha più di qualche difetto ma Gerini è brava nell'esprimere la crisi di un mestiere sempre meno tutelato, sia da parte dello Stato che degli editori, e dalle pesanti ripercussioni in ambito privato.

Concludiamo con la più giovane del gruppo: Matilda De Angelis. Lanciata da Matteo Rovere in Veloce come il vento (2016), De Angelis interpreta una pilota automobilistica ardimentosa anche se da svezzare dal punto di vista tecnico da parte del fratello maggiore con la faccia di Stefano Accorsi. Difficile trovare un ruolo altrettanto forte nel prosieguo della sua carriera anche se pensiamo che con la saga a puntate su Netflix La legge di Lidia Poët (2023) abbia trovato finalmente un personaggio degno della sua personalità: avvocata rivoluzionaria italiana liberamente ispirata alla vera Lidia (1855-1949), acuta investigatrice, eroina passionale e idealista.

Queste sono le dure più dure del cinema italiano degli ultimi dieci anni anche se ci piace ricordare, in panchina, la poliziotta antidroga Paola Coletti di Greta Scarano dentro la saga Smetto quando voglio (specie nella sua feroce ambizione professionale in contrapposizione al capo che la vuole bloccare interpretato da Francesco Acquaroli). E non possiamo omettere anche la recente Chiara dentro A Chiara (2021) di Jonas Carpignano dove Swamy Rotolo è un'adolescente che, con ferma dolcezza, decide di tradire l'amatissimo papà arruolato nella 'Ndrangheta. In tv negli ultimi anni è stato un trionfo di “avventuriere” dal sangue freddo. La rivoluzionaria Veronica Castello di Miriam Leone in 1992-1993-1994 (che peccato che al cinema faccia praticamente la bella statuina nella saga fallimentare Diabolik), Donna Imma Savastano di Maria Pia Calzone in Gomorra, le folgoranti Angelica Sale e Livia Adami, rispettivamente di Carlotta Antonelli e Barbara Chichiarelli, in Suburra – La Serie per concludere con la perversa Viola Torri di Serena De Ferrari e la fiammeggiante Naditza di Valentina Romani dentro Mare Fuori. Da questo punto di vista, il cinema è più indietro rispetto alla tv. Ma le prossime generazioni colmeranno il gap in termini di potenza del femminile dentro il racconto, a partire da film come quello di Lyda Patitucci.

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