Due candidati agli Oscar
Scopriamo due pellicole che tenteranno di farsi strada all'Academy Award per il miglior film straniero: Illegal, prodotto belga sulla scia dei Dardenne, e All that I Love, sulla Polonia anni ottanta...
Fonte: Varie
Che i fratelli Dardenne siano i cineasti belgi più conosciuti nel mondo, è indiscutibile, a meno di non voler considerare Jean-Claude Van Damme. A parte gli scherzi, la loro influenza (rafforzata anche dalle due Palme d'oro vinte) non si estende solo sul cinema mondiale, ma evidentemente anche in quello nazionale.Lo dimostra il candidato all'Oscar belga, Illegal, un prodotto che sembra fin dalla trama debitore dei Dardenne. La storia è quella di un'immigrata russa in Belgio, che vive con il figlio, ma che in realtà non ha il permesso di soggiorno e ogni volta deve fare attenzione ai controlli della polizia. Ma quando abbassa la guardia, si ritrova in un centro di detenzione per immigrati, in attesa di essere rimpatriata.
Nella descrizione di questa agghiacciante normalità, viene da pensare anche a Ken Loach, visto questo ambiente duro, in cui tutti diffidano tra loro e non mancano anche esempi di razzismo tra immigrati. Di sicuro, si può elogiare il regista Olivier Masset-Depasse per come riesce a non risultare troppo manicheo (penso soprattutto alla guardia con degli scrupoli di coscienza e i dubbi che pone un ruolo del genere). Così come è encomiabile che, a parte nel finale (dove è un'esigenza di sceneggiatura) non si ecceda praticamente mai nei toni e nelle situazioni.Ma tutto questo non fa un grande film e non è neanche dardenniano come si vorrebbe. Manca infatti lo stile pedinativo e appassionante, apparentemente semplice ma in realtà complicatissimo, di film come Rosetta o Il figlio. E si ha l'impressione che, più che al cinema, questa storia si potesse raccontare con un articolo. Di sicuro, dopo quello che ci ha fatto vedere per un'ora e mezzo, un finale del genere non è accettabile.
Il problema del finale non se lo pone All That I love, il candidato polacco agli Oscar. Nel senso che il film è talmente brutto, banale e imbarazzante da non poter concentrare le critiche in un punto preciso. Anche qui, la storia è semplice. Il protagonista è un adolescente impegnato con il suo gruppo punk e con il rapporto complicato con una ragazza. Tutto questo, mentre il sindacato di Solidarnosc sfida apertamente il governo, tanto che di fronte alla possibilità di un'invasione sovietica, il generale Jaruzelski prende il potere.
Ora, non so quali fossero gli altri pretendenti all'onore di rappresentare la Polonia agli Oscar, ma l'unica ragione che posso ipotizzare nella scelta di questo titolo è la natura politica, in cui la giusta contestazione al comunismo sembra sufficiente per dimenticare i problemi artistici della pellicola. Qui siamo di fronte a una sorta di Attimo fuggente dei poveri, con momenti di ribellione talmente telefonati e plateali da lasciare infastiditi. O Magari un Footloose più politico che generazionale, ma senza il piacere semplice che offriva quel titolo.
Quella che dovrebbe essere una storia di formazione, in realtà si rivela una vicenda didascalica e poco coraggiosa. E la malinconia che dovrebbe essere al centro della vicenda non procura vere emozioni, visto che il regista non controlla bene la sua materia (soprattutto la storia d'amore), scivolando in momenti grossolani decisamente fuori luogo.