Dragonheart compie 20 anni: come è invecchiato?

Questa settimana, Dragonheart ha compiuto 20 anni. Scopriamo insieme come è invecchiato!

Redattore su BadTaste.it e BadTv.it.


Condividi

Nel 1996, Dragonheart è riuscito a fondere la tradizione iconografica del drago con il puro entertainment hollywoodiano, dando vita a un racconto affabulatore e a una fiaba pirotecnica e colorata, pronta a garantire divertimento e spettacolo per il pubblico di tutte le età. Divenuto col tempo un piccolo cult, il 31 maggio il film ha spento la bellezza di venti candeline. Vediamo perché i draghi continuano a suscitare interesse e fascino nel pubblico e scopriamo insieme come è invecchiato nel corso di due decenni il film di Rob Cohen.

Le donne, i cavalier, l’arme, i dragoni

Il drago è indubbiamente uno dei grandi protagonisti della cultura crossmediale: dalla tradizione orale all’universo letterario, dal grande al piccolo schermo, passando per i videogiochi, i draghi rubano la scena di miti e leggende e catturano l’immaginazione tanto dagli ascoltatori degli antichi aedi quanto dei giocatori di Skyrim e Dragon Age, passando per le imprese di Dirk l’Ardito in Dragon’s Lair, per le avventure del piccolo Spyro o per chi è a caccia di sette sfere con un desiderio da esaudire. Nel medioevo, la leggenda dello scontro tra San Giorgio e il drago divenne parte di uno dei miti più fortunati del suo tempo. Nelle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George R.R. Martin come in Game of Thrones della HBO, i draghi alimentano la fiamma della curiosità di lettori e spettatori, pronti a chiedersi se le gigantesche bestie alate faranno la differenza nell'ambita conquista dei sette regni. Nell’immaginario collettivo, il drago occupa spazi culturali differenti a seconda della tradizione di riferimento: l’Occidente lo ha generalmente relegato in un ruolo malvagio, l’Oriente ne ha fatto una figura portatrice di buona sorte. Il cinema, ancora una volta, ha sparigliato le carte e ha fatto dei draghi una presenza iconica del fantasy, consegnando al pubblico alcune creature leggendarie divenute parte dell’epica del grande schermo. Da Falcor, fortunadrago di buon cuore de La Storia Infinita all’avido Smaug della trilogia de Lo Hobbit, passando per Sdentato di Dragon Trainer, i draghi incarnano la rappresentazione del meraviglioso in chiave leggendaria e smaccatamente epica, talvolta contrapponendosi e talvolta affiancandosi a immancabili e carismatiche figure umane: gli eroi.

I draghi incarnano la rappresentazione del meraviglioso in chiave leggendaria e smaccatamente epica

Quello tra il drago e l’umano di riferimento è un rapporto simbiotico o intriso di pathos, pronto a sdoganare un legame di profonda amicizia (Elliott il Drago Invisibile, La Storia Infinita, Dragon Trainer, Eragon) o di eroica contrapposizione in un duello a armi spudoratamente impari (Lo Hobbit, Pagemaster, Il Drago del Lago di Fuoco). Non è un caso che Malefica, uno dei villain più iconici dell’universo disneyano, si trasformi proprio in un enorme drago pronto a sfidare il Principe Filippo. “Non avete ucciso il drago?” protestava un’incredula Fiona davanti a un insolito cavaliere come Shrek: “Ce l’ho nell’elenco delle cose da fare!” ribatteva l’orco. Spesso, un alone di mistero circonda i draghi negli stessi universi fantastici nei quali vivono: “Drago? Sciocchezze, non si vede un drago in questa zona da un migliaio di anni!” esclamava Bilbo durante uno dei fuochi d’artificio di Gandalf. E il vecchio Hobbit, come è noto, la sapeva lunga. Ne Il Regno del Fuoco, di Rob Bowman, Christian Bale e Matthew McConaughey vivono una realtà apocalittica alla Terminator su un pianeta Terra devastato proprio dai draghi, ai quali viene imputata persino la responsabilità dell'estinzione dei dinosauri. Nell’incipit di Skyrim, è proprio l’apparizione di un drago a gettare scompiglio tra i presenti, impedendo la nostra esecuzione e dando inizio alla nostra epopea. E in qualsiasi tempo e luogo, la cattura di un drago fa gola all’avidità umana e crea scompiglio nelle comunità. “Un drago! Un drago! Lo giuro ho visto un drago!” cantava un terrorizzato Mickey Rooney nei panni di Lampada in Elliott il drago Invisibile, mentre il dottor Terminus cercava di catturare il povero Elliott per rivenderne gli organi a caro prezzo. Persino miss Price, stralunata strega di Pomi d’ottone e manici di scopa, teneva in casa del "fegato di drago avvelenato", lasciando tutti nel dubbio se a essere avvelenato fosse tutto il drago o solo il fegato. Spesso, il drago assurge a simbolo per eccellenza di potere, prestigio e leadership. Il Grande Leonopteryx di Avatar richiama molto la versione aliena di un drago, pronto a dare a chi è in grado di cavalcarlo sia la qualifica di “Cavaliere di Ultima Ombra” sia l’autorità di guidare una rivolta contro gli umani invasori. E da Westeros a Berk, passando per Pandora, torna sicuramente utile avere una o più bestiole alate dalla nostra parte. Dove collocare Dragonheart?

Dragonheart roccia drago

Corpo digitale, voce scozzese, cuore di drago

C’è più fiaba che fantasy nel film di Rob Cohen. La distinzione può sembrare sottile, ma il fantasy presuppone sempre più la messa in scena di una cosmogonia più o meno ampia e di un racconto corale, spesso sullo sfondo di grandi eventi. È anche per questo che è un genere ambizioso per natura, chiamato a gestire una giostra di personaggi e di ambientazioni vasta e variegata, e obbligato a far quadrare il cerchio mescolando opportunamente fabula e intreccio. La fiaba, invece, è un racconto intimo e personale che può permettersi di non scomodare il destino del mondo, ma solo quello dei protagonisti della storia. Al cinema, rendere epica la fiaba necessita di una regia intelligente, chiamata a narrare una vicenda circoscritta senza spettacolarizzarne o ingigantirne gratuitamente il racconto. È vero, in Dragonheart c’è di mezzo il destino del regno, ma lo spettatore tende subito a personalizzare la vicenda, odiando il sadico re e affezionandosi all’adorabile drago, mettendo in primo piano i personaggi a scapito della posta in gioco. Rob Cohen centra il bersaglio sia in termini di storytelling che per scelte visuali. La sua è la storia di un drago e di un uomo (e non un ragazzo) con un interessante terzo incomodo: il fato del drago buono è legato a doppio filo a quello del re malvagio che, in giovane età, ha avuto in dono un frammento del cuore della bestia per sopravvivere a una ferita mortale. Il sovrano, ovviamente, è molto poco illuminato e del tutto indegno della fortuna che ha ricevuto. A fare le spese deIla sua perfidia è proprio suo mentore, Bowen, che dopo essere divenuto un cacciatore di draghi si imbatte nuovamente nella prodigiosa bestia che evitò al Re una morte certa. Bowen non è il tolkieniano Giles, l’agricoltore protagonista de Il Cacciatore di Draghi, ma è un uomo pronto a vivere un’avventura intrisa della stessa sottile ironia. Azzeccatissima la sequenza nella quale stabilisce una tregua con il drago, saltandogli tra le fauci e conficcandogli una lama nel palato, pronta a raggiungere il cervello: di fatto, costringe entrambi a un surreale dialogo ricattatorio che li vedrebbe uccisi se uno dei due prendesse qualsiasi iniziativa.

Dragonheart Bowen e Draco

Bravo Cohen, che sceglie di non svelare l’aspetto del drago o di inquadrarlo in penombra nel corso di tutto il prologo, mostrando al pubblico la visuale in soggettiva della bestia e i volti esterrefatti degli uomini al suo cospetto. E bravo anche Davig Eggby, direttore della fotografia del primo Mad Max, che alimenta la curiosità del pubblico con un gioco di luci e ombre rimandando lo spettacolo al futuro incontro tra i due grandi protagonisti. Ciò che fa da sfondo è un contesto cavalleresco molto classico, con uomini quasi sempre a cavallo e un diretto riferimento al ciclo arturiano, che rivive nell’importanza dell’antico Codice dei cavalieri di Camelot. A livello visivo, è molto evidente come ogni singola sequenza di Dragonheart sia stata studiata a tavolino tramite storyboard: il drago è ricreato in CGI, ma senza ricorrere all’uso del green screen, che spesso non aiuta il cast a garantire un livello raffinato di integrazione con gli elementi aggiunti in postproduzione.

Inevitabilmente, gran parte del clamore che Dragonheart ha suscitato nel ’96 si dovette proprio all’uso massiccio di CGI

Inevitabilmente, gran parte del clamore che Dragonheart ha suscitato nel ’96 si dovette proprio all’uso massiccio di CGI e ai risultati, allora molto convincenti, nel dare vita alla bestia con l'accento scozzese di Sean Connery (e la voce italiana di Gigi Proietti, in uno dei suoi lavori di doppiaggio più apprezzati). Cohen coinvolse nel progetto gran parte della troupe con la quale aveva lavorato a Dragon: La storia di Bruce Lee. La lavorazione durò quasi due anni e mezzo e parte della lunghissima postproduzione venne seguita dal regista da Roma, in collegamento con San Francisco dagli studi di Cinecittà, dove stava girando parte di Daylight - Trappola nel tunnel con Sylvester Stallone. Un gustosissimo gioco del destino vede nel cast la presenza di Jason Isaacs, alias Lucius Malfoy, nel ruolo di un personaggio di nome Felton, come l’attore (Tom Felton) che sarà Malfoy Jr. nella saga di Harry Potter. Se mettete in conto che il drago si chiama Draco, il gioco di coincidenze è più che servito. Serendipity a parte, ancora una volta bravo Cohen, che sceglie un cast di comprimari eccellenti in un film nel quale l'attenzione del pubblico dovrebbe convergere inevitabilmente su un'enorme bestia digitale. David Thewlis, ancora lontano dal professor Lupin, è il malvagio re Einon: un Pete Postlethwaite sopra le righe è Fratello Gilbert di Glockenspur, goffo poeta che si imbatte in Bowen maturando l'idea di celebrarne le gesta in una ballata; un'imbacuccata Julie Christie è la malinconica Aislinn, madre di Re Einon, perennemente corrucciata e visibilmente pentita di aver salvato il proprio tirannico pargolo anni or sono. Tutti insieme, finiscono quasi per adombrare il Bowen di Dennis Quaid. Senza essere accreditato, il grande John Gielgud prestò la voce a Re Artù nella scena ambientata nel colonnato di Avalon. Due anni dopo presterà invece la voce a Merlino ne La Spada Magica - Alla Ricerca di Camelot. Oltre al cast, come appare a oggi la resa di Draco?

L'ARTICOLO CONTINUA A PAGINA 2 - >

How to train your dragon

Ci sono pochi dubbi sul fatto che nel '96 Draco apparisse come una meraviglia: un monstrum, nel significato originario di "prodigio", e un vero e proprio catalizzatore della sospensione dell'incredulità del pubblico. Inevitabilmente, l’evolversi della tecnologia porta con sé anche un cambio nella percezione dello spettatore a determinati dettagli. Come è invecchiato Draco negli anni? Dignitosamente in notturna, peggio in diurna. La luce del giorno e la pigmentazione digitale della pelle mettono inevitabilmente in evidenza la sua natura di grosso cartone digitale aggiunto ai fondali in live-action, ma nelle scene ambientate di notte l'integrazione con gli ambienti tiene ancora discretamente. A distanza di vent'anni, la CGI di Dragonheart è tra le migliori ottenute a metà degli anni 90. Per quanto inferiore ai risultati di Jurassic Park, che rimane il film dall'impatto visivo a tenuta maggiore del suo decennio, l'animazione del film di Cohen si poneva un obiettivo differente. Il Drago ha un’espressività e delle movenze umanizzate e calde, lontane da quelle di una bestia che agisce d’istinto. Inizialmente, prima di dargli un character design autonomo, i concept e i rendering di Draco vennero testati proprio su una versione con un muso più allungato e una pelle modificata del T-Rex del film di Spielberg. La sfida della ILM era sia qualitativa che quantitativa: la creatura digitale appare per ben 23 minuti contro i 7 dei dinosauri (digitali) del parco di John Hammond. Draco chiacchiera, scherza, finge, si arrabbia, si atteggia e sospira malinconico sotto le stelle. Non ha la parlantina e l’ottimismo di un cagnolone volante come Falcor, ma neanche l’impulsività ossessivo-compulsiva di Smaug: è un essere disincantato ma non cinico, pronto a dare al genere umano una seconda possibilità e di entrarvi in combutta alla prima occasione. Si proclama l’ultimo della sua specie e, in fondo, si merita un po’ di divertimento prima che tutto finisca. Oggi, specialmente nelle scene nelle quali è a terra e interagisce di giorno con Bowen, incontra l’occhio di un pubblico molto più allenato e assuefatto alle immagini digitali rispetto a vent’anni fa. Dopo il motion capture, che ha aggiunto livelli di espressività ulteriori alle creature più disparate, la soglia di coinvolgimento visivo del pubblico si è elevata al fotorealismo.

Regge invece discretamente la fisicità del drago e la spontaneità di alcuni suoi movimenti, come quando accende un fuoco tappandosi una narice e soffiando fiamme dall’altra, o quando finge di cadere morto in un lago mezzo prosciugato e sussurra con imbarazzo a Bowen di non riuscire a andare più a fondo. Cohen voleva un drago con "l'eleganza e la fierezza di un leone", con un forte riferimento all'iconografia del leone guardiano cinese. Phil Tippet e la Industrial Light & Magic lavorarono a stretto contatto con lo scultore Pete Koning, che creò svariati modellini di Draco in diverse scale dai quali furono plasmati i modelli digitali digitali. Sul set, gli attori recitano con piccoli riferimenti che indicano dove si trova la fascia oculare del drago, per incrociarne lo sguardo con facilità. Sia Tippet che Cohen avrebbero voluto dettagli ulteriori, come la dilatazione delle pupille di Draco a seconda del tono della conversazione, ma tempo e budget non consentirono di andare oltre la sfida di modellare il labiale del drago sulle battute dello script. Candidato all'Oscar per gli effetti visivi, Dragonheart si vide soffiare il premio da Independence Day. Dopo l'uscita nelle sale, la Acclaim Entertainment sviluppò un hack and slash per Playstation, Saturn e PC, accolto con recensioni tendenzialmente negative. Nel 2000, Raffaella de Laurentiis produsse Dragonheart 2 - Una nuova avventura, destinato direttamente al mercato home video. Ambientato vent'anni dopo le vicende del film di Cohen, il sequel vedeva Bowen trovare un uovo nella grotta di Draco e affidarlo alle cure di Fratello Gilbert, gettando le basi per una nuova avventura con protagonista una nuova generazione di eroi. Nel febbraio del 2015 è uscito, sempre in home video, Dragonheart 3 - La maledizione dello stregone, prequel del film del '96 e girato interamente in Romania. Negli anni, Cohen ha lanciato con successo i franchise di Fast & Furious e di xXx, entrambi con Vin Diesel, ha diretto La Mummia - La tomba dell'Imperatore Dragone, ed è incappato in alcuni pesanti flop come Stealth - Arma suprema. Nel corso di due decenni, il suo Dragonheart si è conquistato un nutrito e appassionato seguito di fan, divenendo un piccolo cult e una sorta di unicum nella filmografia del regista, fortemente sbilanciata sull'action movie. C'è chi lo considera una gustosa incursione nel cinema fantastico degli anni 80 nel pieno dei 90, apprezzando in particolar modo la colonna sonora di Randy Edelman, i cui temi di The World of the Heart e To The Stars vennero usati in un gran numero di trailer negli anni a venire: da Due Fratelli a Mulan, passando per Sette Anni in Tibet. In molti lo hanno scoperto con piacere nei passaggi televisivi, unendosi alla schiera di appassionati che lo rivede periodicamente e con affetto fino al toccante finale, che consegna l'epopea del dragone a una leggenda pronta a essere cantata da chiunque guardi le stelle.

Continua a leggere su BadTaste