Come 30 anni fa Coppola creò il suo Dracula di Bram Stoker tutto al montaggio
Una scommessa per uscire dalla bancarotta come al solito, la prima versione disastrosa e poi il miracolo che salvò il Dracula di Coppola
Sono quasi due anni che Francis Ford Coppola lavora attivamente al suo Dracula di Bram Stoker, le riprese sono finite da tempo, il montaggio è finito. E fa schifo. Fa schifo in primis a Coppola che per questa ragione odia tutto e tutti, chiama a mezzanotte James V. Hart, lo sceneggiatore, e gli vomita addosso livore e rancore, imponendogli di prendere un aereo da New York e andare a Los Angeles, alla American Zoetrope per vedere quanto fa schifo questo film e cercare un rimedio con lui. Ventiquattro ore dopo James V. Hart che del progetto era stato il vero iniziatore, che ci aveva messo tutto in quella sceneggiatura e per anni aveva cercato qualcuno che la girasse, è nella sala Godfather (in cui ci sono divani in pelle, sigari e brandy oltre allo schermo e al proiettore). Coppola lo lascia solo a vedere il film, dopo due ore e dieci minuti Hart lo richiama. Il film è finito e sì, fa schifo.
Quello che succede a quel punto è che bisogna capire come sia possibile che quello sia il risultato di tutto il lavoro. La sceneggiatura funzionava, era stata approvata e nonostante bene o male sia lì, sullo schermo, lo stesso fa schifo. Va tutto rimesso in piedi, va tutto sistemato e nelle settimane seguenti Coppola e Hart guardano ogni pezzo non utilizzato di girato, riguardano lo storyboard e cominciano a pensare come sistemare cercando nelle pieghe quello che si è perso. Mettono insieme così una nuova versione in cui le scene sono spostate, scambiate e hanno nuovi inizi o nuove conclusioni, qualcosa che sia più aderente alla sceneggiatura. Alla Columbia, che intanto preme e vuole capire come mai il film non viene consegnato né proiettato, Coppola dice che gli servono giorni di riprese aggiuntivi per cambiare il finale. È l’unica cosa che un produttore americano è disposto a sentire quando si parla di reshoots: trovare un finale migliore. Del resto i test screenings, pessimi, avevano dato lo stesso responso.
Dracula è costato alla Columbia 40 milioni di dollari del 1992, non poco (circa 80 milioni di oggi), ed è un progetto che fin dall’inizio nasce strano. Coppola ha approvato la sceneggiatura molto fantasiosa e piena di magia di James V. Hart ma tutti gli dicono che non si può fare come vorrebbe lui, ovvero senza computer grafica o VFX moderni. Coppola sostiene che quella è una storia che nasce quando nasce il cinema e va fatta come nel cinema delle origini, usando solo trucchi antichi. “Impossibile” gli viene detto, quindi ancora una volta la risposta è la famiglia: Coppola licenza tutto il team degli effetti speciali e visivi in tronco (“Come sempre volevano per forza spingermi a fare le cose come le fanno tutti gli altri”) e assume suo figlio Roman, allora poco più che ventenne, appassionato di magia e trucchi cinematografici. Insieme i due progettano una quantità e varietà di trucchi vecchio stampo impressionante per fare a mano quel che già si faceva con il digitale o comunque l’elettronica.
Anche per questo, per dimostrare che quell’idea funziona, il film non può andare male, bisogna girare di nuovo diverse scene e soprattutto il finale. Ma come? Cos’è che non va? La risposta la fornisce George Lucas. Coppola è così disperato che fa vedere il suo fallimento a tutti gli amici per un aiuto e specialmente a Lucas, co-fondatore con lui della American Zoetrope (casa di produzione associata del film), che per l’ennesima volta nella sua storia è in bancarotta e ha assolutamente bisogno di un successo (spoiler: alla fine Dracula finirà per vincere tre Oscar e incassare 215 milioni di dollari a fronte dei 40 di budget salvando ancora una volta la compagnia).
Lucas centra il punto riguardo il finale: non è coerente con le regole impostate. Prima nel film si dice che un vampiro va ucciso staccandogli la testa e bruciandolo, poi nel finale originale, Mina uccide Dracula conficcando un paletto nel cuore e basta. Va rifatto. La produzione è d’accordo. E con l’occasione si rifaranno un altro po’ di scene che sistemano il resto. Unico problema: Winona Ryder non vuole sentir parlare mai più di Gary Oldman. Per lei è stata una lavorazione infernale, non sì è mai trovata con Oldman e ha avuto solo parole di rabbia, ira e scontro. Non ha nemmeno partecipato alla foto promozionali di rito! Figuriamoci se lo vuole incontrare un’altra volta.
Francis Ford Coppola alza il telefono per la telefonata più difficile di tutte, anche più difficile di quella ai produttori e dice solo: “Ciao Winona, ci sarebbero delle scene da girare di nuovo, ci stai a tornare sul set per tagliare la testa a Gary?”. L’unica domanda alla quale avrebbe risposto di sì. Si gira così il finale che tutti conoscono e che, nonostante sia impeccabile, è in realtà composto sia dalle nuove scene che da controcampi, dettagli, primi piani e campi lunghi che vengono dalla prima versione girata quasi un anno prima. Tutto perfetto. Tutto assurdo. Questo era infatti un film tutto realizzato con l’obiettivo di fare qualcosa di diverso. Lo storyboard era così dettagliato da essere stato animato e includeva scene di La bella e la bestia di Cocteau del ‘46 e quadri di Klimt, era un pasticcio con il quale Coppola spiegava ai designer di volere qualcosa di strano (e qualcosa di strano l’ha ottenuto).
Il risultato è un film dal look visivo unico, la cui versione iniziale di Dracula vecchio con dei capelli da nonna è diventata iconica e il cui modo di unire erotismo e morte non ha precedenti. Se Murnau aveva iniziato la storia di Dracula al cinema con qualcosa di autenticamente poetico (un mostro brutto e respingente, simboleggiato da topi portatori di morte, in una storia immacolata), quella figura si era evoluta verso il dandismo. Nell’immaginario collettivo Dracula aveva i capelli tirati indietro dalla lacca, fumava sigarette occasionalmente e era caratterizzato da movimenti nobili e alteri. Dracula di Bram Stoker invece ha diverse incarnazioni, i capelli scompigliati di Gary Oldman, occhialetti da sole tondi piccoli e parla di sessualità fluida, di orge, di donne concupite e plagiate ma anche poi di amori che superano gli oceani del tempo e una ricerca instancabile del piacere.