Chi era Douglas Trumbull e quali sono state le sue innovazioni più importanti negli effetti speciali?

Ricordiamo Douglas Trumbull, pioniere degli effetti speciali che ha squarciato lo schermo per trovare una sempre maggiore immersività

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Secondo Roger Ebert Douglas Trumbull era “un uomo con un’idea. E l’idea è che i film possano sembrare più realistici e più coinvolgenti di quanto non siano”. Il supervisore degli effetti speciali, nonché regista e creativo a tutto tondo, scomparso il 7 febbraio di quest’anno, era un George Méliès contemporaneo. Un cineasta tecnico, la cui vena sperimentale e avanguardista è servita a realizzare alcuni degli effetti visivi più straordinari della storia del cinema. Al confine con la video arte ha giocato con la fisicità dell’immagine per rompere quella barriera che separa la proiezione dall’oggetto proiettato.

Sin dalla giovinezza Douglas Trumbull era affascinato dall’idea del cinerama: schermi curvi a coprire quasi tutto il campo visivo, con una lunghezza di quasi 30 metri. Vide in questo formato La conquista del West, uno degli esempi più brillanti di una regia e degli effetti visivi studiati per esaltare la tecnica di proiezione. I Large Format diventarono il suo primo ambito di lavoro. Nel 1962 illustra To The Moon and Beyond, una proiezione in Cinerama 360° a cupola che mostra il viaggio tra le stelle del cosmo. Come in un planetario lo spettatore si immerge in un film che cancella il soffitto e portava altrove.

Venne notato così da Stanley Kubrick, che mirava a creare il primo film di fantascienza filosofica con 2001: Odissea nello Spazio. A soli 23 anni si trovò quindi nell’enorme produzione con il compito di portare lo spettatore all’interno dello Stargate.

Dalla scuola di Kubrick Douglas Trumbull trae tutte le ossessioni che lo guideranno negli anni successivi. Il regista gli aveva confidato la sua frustrazione verso i 24 fotogrammi al secondo. Il foglio bianco del cinema a cui da sempre siamo abituati, ma non l’unica soluzione di ripresa e proiezione possibile. Kubrick, e successivamente anche Trumbull, pensavano che il cinema, da sempre medium in terza persona in cui la cinepresa guida lo sguardo, dovesse tendere alla prima. Cioè essere sempre più immersivo, totalizzante, e buttare la soggettività del fruitore nella storia.

Per ottenere il risultato sperato serviva un formato in alta definizione proiettato in schermi enormi: la pellicola in 70mm era perfetta per questo, ma aveva ancora il limite degli pochi stop al secondo che impedivano di catturare parte dell’azione e sottoponevano l’immagine a difetti come il motion blur. Combattere questa abitudine di visione è il proposito che ha guidato tutto il suo lavoro da inventore. 

Douglas Trumbull non è stato solo un supervisore degli effetti visivi. Proprio come Méliès era prima di tutto un inventore, che usava le storie come pretesto per sperimentare nuove tecniche e macchinari. La sua prima regia, 2002: la seconda odissea (Silent Running) è ambientato in enormi cupole geodetiche che ricordano proprio lo schermo avvolgente del Cinerama a 360°. Il film non fu per lui soddisfacente. Lo dovette girare in 35mm, limitando così le possibili sperimentazioni immersive. 

Iniziarono però anni di eccezionale creatività. Collaborò nel 1977 con Steven Spielberg per dare origine all’astronave di Incontri ravvicinati del terzo tipo. Nel 1979 diede vita all’Enterprise nel film di Star Trek. L’apice venne raggiunto nel 1982 con Blade Runner, in cui curò, tra le molte cose, le miniature iper realistiche della scena di apertura. 

Ormai un nome noto a Hollywood era sempre a servizio di un’industria che non andava nella sua stessa direzione. Decise così di aprire una sua società, la Future General Comporation, per esplorare nuovi formati e soluzioni per migliorare la visione. In particolare si convinse che l’HFR (l’alto numero di fotogrammi al secondo) sia la chiave per migliorare la stimolazione visiva per un maggiore realismo. Questo accadeva all’inizio degli anni '80. Ancora oggi, soprattutto dopo il tentativo di Peter Jackson con Lo Hobbit, Ang Lee con Gemini Man e i numerosi endorsement di James Cameron il tema è ancora di stretta attualità, seppur irrisolto.

Progetta così lo Showscan: un processo di sviluppo cinematografico che permette di filmare con pellicola in 70mm e proiettare a 60 fotogrammi al secondo, più del doppio del frame rate tradizionale. Tutti coloro che videro i filmati test si dissero estasiati dalla tridimensionalità raggiunta dall’immagine, pur senza la stereoscopia. C’era però il problema di sempre: i produttori si rifiutarono di adottare i nuovi macchinari in attesa che gli esercenti  rinnovassero il proprio sistema di proiezione per poter mostrare i film in showscan. Le sale invece aspettavano di essere convinte dai film… che non arrivavano. 

Stanco di questa situazione Douglas Trumbull girò nel 1983 Brainstorm - Generazione elettronica come viatico per lo showscan a 60 fotogrammi al secondo. La MGM cambiò però idea e si rifiutò di distribuire il film nel nuovo formato più costoso, costringendo il regista a girare le sequenze della realtà virtuale in Super Panavision 70 e il resto in 35mm.

Sconfitto e deluso, si ritirò momentaneamente dal cinema. Trovò il giusto spazio di libertà nei parchi a tema. Sua fu l’attrazione di Ritorno al Futuro degli Universal Studios. Una giostra immersiva che simula un viaggio nel tempo a bordo della DeLorean. Douglas Trumbull la considera uno dei maggiori progressi tecnologici da lui guidati, anche se l’industria non ha mai esplicitamente riconosciuto l’importanza di quanto fatto fuori dal cinema convenzionale. 

Sebbene tradizionalista, non disdegnò mai la computer grafica. Accolse l’avvento del digitale con grande entusiasmo, soprattutto per la possibilità di giocare con il frame rate. Ritornò al cinema con MAGI, un’evoluzione dello Showscan, ma in digitale. Una tecnica che combina riprese a 120 fotogrammi al secondo con la classica proiezione a 24. Limita le aberrazioni visive pur mantenendo la convenzionale alternanza di fotogrammi, evitando l’effetto straniante che l’HFR porta con se. Addirittura con un apposito software permette di renderizzare solamente l’azione in alta frequenza, aumentandone così la precisione e chiarezza, lasciando il resto intatto. MAGI può lavorare anche sulla cadenza delle immagini 3D, sincronizzando gli stop dei fotogrammi con quelli del proiettore offrendo maggiore chiarezza e meno mal di testa. Con il tramonto della tecnica tridimensionale, anche questa applicazione è rimasta poco sfruttata.

Negli ultimi anni Douglas Trumbull ha lavorato a stretto contatto con IMAX, con cui ha unito la sua società sempre nell’ottica di rompere quella barriera nota come schermo.

Ecco alcune delle sue più importanti innovazioni in questo senso

2001: Odissea nello Spazio

La sequenza dello stargate non è fatta con computer grafica, ma con un metodo artigianale. Kubrick resta sul punto di vista dell’astronauta che diventa quello dello spettatore, lavora sull’immersività cercando di limitare la percezione dell’esistenza di una cinepresa. Quando arriviamo nello stargate lo schermo scompare, nel nero i colori e le luci si avvicinano travolgendo l’occhio. A soli 23 anni ha realizzato questo effetto tramite un lento processo di slit-scan fotografico.

Incontri ravvicinati del terzo tipo

Douglas Trumbull Incontri ravvicinati del terzo tipo

Douglas Trumbull lavorò sull’astronave madre. Usò un modellino sovrapposto poi all’immagine del film. L’intuizione geniale fu quella di farla assomigliare a una città capovolta, piena di luci e di appendici. La forma è quella di una cupola a rovescio (tornerà spesso nei suoi disegni, quasi a ricordare i suoi inizi), come un seno gigante che scende dall’alto sulla terra a nutrire una nuova vita.

Star Trek il film

Douglas Trumbull Star Trek

Il regista Robert Wise gli diede grande libertà nel realizzare la scena dell’arrivo all’Enterprise. Un esempio di uso fortemente emotivo degli effetti visivi. Il modello viene rivelato gradualmente, prima nascosto, poi illuminato parzialmente, e infine mostrato nella sua magnificenza. Douglas Trumbull diresse la sequenza data la complessità della composizione delle immagini in cui si sommano effetti visivi su effetti visivi tenendo conto della prospettiva e del movimento. 

Blade Runner

L’incipit del film è ancora oggi una meraviglia. Douglas Trumbull intuì la forza della prospettiva forzata sui modellini della città.  Organizza le miniature in primo piano in scala con altre in secondo e sulla linea dell’orizzonte. Si erano preparati fotografando un vero impianto di estrazione in bianco e nero per coglierne le forme. Hanno illuminato il piano facendo passare sotto il tavolo centinaia di fili in fibra ottica. L’iconica piramide era stata costruita solo per due lati  e poi raddoppiata con una doppia esposizione a cui furono aggiunte fiamme ed esplosioni .

The Tree of Life

Uno dei suoi lavori meno noti, nonostante la popolarità dell’opera. Terrence Malick non si fidava della computer grafica per la sequenza della nascita del cosmo. Certo, nel film ci sono dinosauri in CGI sovrapposti agli ambienti reali, ma fu la sequenza del big bang a richiedere le soluzioni più creative. Usarono infatti sostanze chimiche, vernici, colori fluorescenti, fumo, liquidi, CO2, piattaforme rotanti, dinamiche dei fluidi, luci e fotografie per ottenere l’effetto di stelle, galassie e nebulose appena nate.

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