Dossier Rovio - Da Angry Birds al NASDAQ

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Perché i ragazzi finlandesi possono essere un esempio ma non un modello per i piccoli sviluppatori

Con l’arrivo sul mercato di Angry Birds Space, primo sequel diretto dell’acclamatissimo rompicapo made in Finland, abbiammo deciso di pubblicare un piccolo dossier sullo studio di Espoo, analizzando come uno sparuto gruppo di studentelli scandinavi sia riuscito a creare quasi dal nulla uno dei brand più redditizzi della recente storia videoludica.

Il nucleo originale di quella che oggi è Rovio Entl. si incontra al politecnico di Helsinki, facoltà di ingegneria. Probabilmente annoiati dalle lezioni di fisica dei fluidi ed elettrotecnica, Nicklas Hed, Jarno Väkeväinen e Kim Dikert, nel 2003 decidono di partecipare a un contest organizzato da Nokia (all’epoca ancora dominatrice assoluta del mondo delle telefonia mobile), proponendo un progetto dal titolo King of the Cabbage world, una sorta di tower defence multiplayer che, oltre a vincere il primo premio al concorso, sarà venduto a un publisher esterno con il nome di Mole World, diventando il primo prodotto multigiocatore in real time ad essere disponibile sul mercato mobile.
Da quel giorno del 2003, l’azienda ha cominciato a crescere e strutturarsi, prima sotto l’ala protettrice di Nokia, poi grazie all’intervento di alcuni investitori che hanno permesso a Rovio di avere una certa solidità economica. Fin dal principio la formula della softco finnica si è mostrata vincente, creare prodotti d’appeal, con uno stile grafico particolare e, soprattutto, una straordinaria capacità di renderli modulabili. Dai primissimi titoli, fino ad Angry Birds, Rovio più che immaginare storie e gameplay coerenti solo all’interno del gioco in sé, ha preferito un approccio a blocchi: una volta definita la struttura di base del prodotto, questo può essere continuamente espanso quasi all’infinito, proponendo solo modificazioni minime dell’apparato iniziale.
Angry Birds in questo senso rappresenta l’apoteosi dell’approccio Rovio, tuttavia, con gli uccellini arrabbiati, l’azienda finlandese ha fatto un passaggio ulteriore, trasformando quello che rischiava di restare un (ottimo) rompicapo, in un vero e proprio fenomeno di costume spostando il proprio core business dallo sviluppo software al merchandising. L’uccellino rosso e i maiali verdi oggi sono molto più riconoscibili di Marcus Fenix e Master Chief, e, stando alle dichiarazioni di Rovio, puntano a insidiare addirittura la popolarità di Topolino in persona. In aggiunta a questa riconoscibilità pressoché assoluta, i ragazzi di Helsinki hanno saputo attuare una politica di prezzo che definire aggressiva è dir poco, scommettendo sull’onestà dei consumatori, anziché sul mondo pirata. Mettendo in pratica il mantra applicato da Steve Jobs per il mercato musicale, secondo cui la gente è disposta a pagare il giusto per prodotti di qualità (il buon Steve in realtà faceva un discorso più complesso tirando in ballo il karma e l’equilibrio del mondo, ma non divaghiamo), Rovio non ha mai prezzato un suo prodotto più di cinque euro, proponendo DLC gratuiti a scadenza regolare e, addirittura, permettendo di giocare ad Angry Birds in maniera totalmente gratuita su alcune piattaforme.

Tuttavia l’approccio scandinavo - ad oggi - non è un modello semplice da seguire: prima di tutto va segnalato come il fenomeno Angry Birds abbia mostrato una debolezza strutturale del mercato mobile, su circa 500 milioni di download stimati, solo il 25% arrivano da fonti legali, mentre tutto il resto appartiene al mondo del jailbreak e affini. Il mercato retail, nonostante le dichiarazioni delle major, né per quanto riguarda i giochi né per i film soffre della stessa penetrazione piratesca, dato che la quota di illegalità sui titoli di maggior successo si aggira di norma intorno all’8 - 10% del totale rispetto ai million seller. Questo è un problema non tanto per i big player, ma lo è per tutti i Rovio wannabe che, a fronte di costi di sviluppo non proprio contenutissimi (il mito che sviluppare su mobile sia poco costoso è totalmente falso, un gioco come Angry Birds e similari prende circa 200.000 euro, escluse le spese di marketing), si trovano a dover combattere con una pirateria capace di erodere oltre il 50% dell’intero fatturato possibile.
Secondariamente, sono le condizioni del mercato ad essere cambiate, quando Rovio lanciò il suo franchise, il mondo delle app e del gaming “evoluto” su mobile era appena agli albori, con un pubblico curioso e pronto a spendere per provare la novità. Oggi, con milioni di applicazioni, l’effetto sorpresa è di molto diminuito, mentre diventa difficilissimo uscire dall’anonimato ormai imposto dalle ferre regole dell’appStore (che, lo ricordiamo, prevede paletti ben precisi per determinare quali app devono andare in homepage e per gli altri sistemi di promozione).
La succes story di Rovio, dunque, insegna per l’ennesima volta quello che tutti i grandi trionfi industriali confermano, per emergere sono necessarie due caratteristiche fondamentali, essere fra i first movers e saper creare un’identità propria e ben riconoscibile. A chi oggi vuole lanciarsi in progetti simili consigliamo di valutare bene le piattaforme su cui muoversi, probabilmente cellulari e console sono saturi, tuttavia il mondo dei tablet è ancora ben lungi dall’essere sfruttato appieno, mentre nuove categorie di device (come le favoleggiate TV intelligenti) non sono lontanissime.
Come gli uccellini arrabbiati, dunque, è necessario essere sempre ben focalizzati sul proprio obiettivo, che sia distruggere dei maiali verdi o sfondare al Nasdaq poco importa.

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