Dopo aver visto La donna alla finestra è arrivato il momento di rivalutare Disturbia

La donna alla finestra omaggia La finestra sul cortile. Volete vedere altro?Guardate Disturbia: un piccolo film sottovalutato, da rivalutare!

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Il concetto è quello de La finestra sul cortile. Una persona è chiusa in casa e per vari motivi non può uscire. Ha una gamba rotta, è agorafobia, è agli arresti domiciliari. Poco importa la ragione, quello che conta è che di fronte a lui\lei c’è una finestra, come unico sbocco sul mondo, che dà sulla casa dei vicini. Il gioco è puramente cinematografico: la finestra è ovviamente simbolo dello schermo dove lo spettatore osserva i film. Nella finzione però accade una cosa: chi è sulla soglia guarda (indiscreto), vede un qualcosa che non dovrebbe (un’omicidio) e viene a sua volta visto dagli “attori” di questa scena. L’assassino coglie il voyeurista, il cinema guarda lo spettatore. Ma a differenza di quest’ultimo, che è al sicuro nel buio della sala, il personaggio viene braccato dall’oggetto inquadrato dal suo occhio.

È da poco arrivato su Netflix La donna alla finestra, l’atteso e controverso film di Joe Wright che fa di tutto per omaggiare il capolavoro di Alfred Hitchcock, soprattutto nella prima parte (e si perde per strada nella seconda metà). Aiutato da un comparto visivo straordinario (fotografia e scenografia), il film riflette sull’atto di visione inattendibile. Un concetto molto moderno e che funziona, al netto degli inciampi che lasciamo descrivere alla nostra recensione. La post-verità passa anche dalle immagini inventate. Le riprese possono essere modificate, le moderne tecnologie permettono di scambiare volti, di creare fatti che tali non sono. 

Joe Wright fa allora un passo ancora più in avanti: le immagini sono inattendibili perché l’occhio di chi guarda non è affidabile. La lente distorta della psiche fa vedere ciò che vogliamo? Forse. Il film perde però di coraggio sul finale, rinnegando se stesso e tornando sulla più classica idea che ciò che è visto può essere indecifrabile per chi non possiede i dati per leggere l’evento.

Prima di La donna alla finestra c’è stato il caso di un piccolo film che non è difficile inserire nelle produzioni estive di serie B, ma che è riuscito ad attualizzare lo spirito de La finestra sul cortile nella società digitale. Si tratta di Disturbia, di D.J. Caruso. Shia LaBeouf è confinato a casa per via degli arresti domiciliari a cui è sottoposto. Preso dalla noia si diverte a spiare la bella vicina con la sua videocamera. Siamo nel 2007 e il confinamento tra le quattro mura domestiche era molto diverso dall’oggi post lockdown. 

L’incipit di La finestra sul cortile mostrava tante storie che si svolgevano nelle case del quartiere. Poi ne sceglieva una. Il protagonista di Disturbia non è indeciso, segue le nuotate della ragazza in piscina. Non gli interessa altro. È solo per caso che scopre che il suo altro vicino è probabilmente un terribile assassino di donne e viene coinvolto dal “thriller”che gli si svolge accanto. Il suo è un occhio indiscreto e giovanile, erotico per certi versi, molto più simile a quello di Hitchcock. Assai diverso da La donna alla finestra dove invece il guardare è paranoico. 

la donna alla finestra

Disturbia è un film per ragazzi, e non ha grande ambizione di essere altro, ma quello che fa lo fa benissimo. La sua forza sta tutta in come gli adolescenti ritratti vivono lo spazio e gli oggetti. Il tempo scorre lento nel quartiere, ma c’è un modo di modificare la noia: aumentare la realtà, distorcerla con dei mezzi artificiali. Lo zoom, ad esempio, è uno strumento che colma la distanza, e che fa accedere a un qualcosa di non visibile ad occhio nudo. Più o meno quello che fa oggi anche Alice Rohrwacher nel cortometraggio Quattro strade dove l’autrice incontra i propri vicini diminuendo la distanza che li separa guardando in un obiettivo. La cinepresa è quindi un ponte immaginario. Una lente di ingrandimento che avvicina. Proprio come ne La finestra sul cortile

In Disturbia però le riprese digitali fanno i conti anche con la bassa risoluzione. Si scontrano con il limite. Nell’ombra dei pixel si cela un mistero? La ripresa è mossa e rende illeggibile l’indizio decisivo pur mettendolo in bella vista. Neanche questo è un meccanismo originale (Blow-up di Antonioni fu il primo a teorizzarlo), ma viene inserito con tale delicatezza nel film da risultare appassionante. 

È nel passaggio della soglia tra lo schermo e la realtà che Disturbia costruisce la sua tensione. Ancora meglio e ancora di più de La donna alla finestra, dove invece non c’è confine: tutti entrano in casa, addirittura i ricordi della macchina ribaltata nella neve sostituiscono l’arredamento di una stanza. La dimensione psicologica prevale qui su quella cinematografica.

C’è un piccolo momento in Disturbia che rende conto però della grandezza di un film per adolescenti in grado di capirli e di guardare come loro. Ed è un istante in cui però anche il film di Hitchcock viene omaggiato correttamente.

Ashley, la “cotta” del protagonista, fa ginnastica in camera sua. Il vicino la guarda con un binocolo. La mangia con lo sguardo, la vuole far sua. Entra in connessione emotiva con quello che ha negli occhi. E proprio in quel momento la ragazza esita, un brivido le corre lungo la schiena. Sente il peso immateriale della linea di uno sguardo. Rabbrividisce e se ne va.

Come dice La finestra sul cortile: quando siamo avvolti nel buio guardiamo un film e ci sentiamo al sicuro, ma il riflesso sullo schermo a sua volta sta guardando noi.

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