Con Denti da Squalo il cinema italiano torna ad appassionarsi ai luoghi

Denti da squalo è un film che trova la sua energia dai luoghi in cui si svolge, ripresi con realismo diventano spazi dell'anima

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Dopo aver visto Denti da Squalo, in uscita nelle sale l’8 giugno, riflettiamo (senza spoiler) sulla sua immagine più potente.

Quando gli americani cercano la magia vengono in Italia. Il nostro territorio è come quello di un videogioco: bastano poche ore di viaggio per osservare paesaggi completamente differenti. Ci sono grandi città scintillanti di bellezza e arte. Le contraddizioni si trovano fuori, nelle periferie spesso trascurate, lasciate ad uno sviluppo caotico e dipendente dal centro. Appena si scava si trovano tesori (quanto è difficile fare una metropolitana), in superficie invece lo spirito del posto è rappresentato con orgoglio dai più bizzarri abitanti. Figure uniche che camminano nelle strade e che incarnano come ambasciatori l’anima delle città, sia di quelle più piccole che delle grandi. 

Denti da squalo, di Davide Gentile, prende un’immagine potentissima e la fa diventare il centro di questo romanzo di formazione all’italiana. Uno squalo all’interno di una piscina abbandonata. Come nel cinema di Matteo Garrone (qui alcuni ambienti assomigliano a quelli di Gomorra), Gentile riprende la periferia romana come una carcassa. Si vede l’ossatura di un qualcosa che è stato e non è più. Muri spaccati, edifici lasciati alla natura, grandi spazi vuoti. In questo paesaggio che è un po’ dell’anima e al contempo estremamente concreto, si muove Walter. 

Scoprirsi all'interno dei luoghi

È un bambino alle soglie dell’adolescenza. Gli è morto il padre e vive con la madre (una Virginia Raffaele in un’insolita parte drammatica) che fatica ad accettare il lutto. Lei è paralizzata, lui pieno di un’energia che lo spinge ad esplorare con la sua bicicletta i luoghi frequentati da suo papà. Passa una recinzione ed entra in una villa abbandonata. Lì, a pochi passi dall’edificio, c’è una piscina. Dentro vi nuota uno squalo. 

In Stand by me il processo di crescita, il coming of age, veniva innescato dalla scoperta di un cadavere. In Denti di squalo è quest'altra figura, che il cinema ha spesso associato al pericolo e alla morte, a fare da catalizzatore. Walter si tuffa e scappa dall’acqua giusto in tempo, riporta una ferita superficiale al piede. Un dettaglio importantissimo: da lì in poi quel taglio ci ricorda che in questa storia piena di fantasmi e di realismo magico, lo squalo è autentico. 

Il primo atto del film è pura esplorazione, perciò è retto in piedi dai luoghi. Denti di squalo non ha fretta, e nemmeno ne ha Walter che apre scrigni, trova sigari e armi, si siede sulle poltrone. La protagonista di questo prologo è la villa stessa. Simbolicamente il luogo contiene i limiti e i desideri di Walter. Ad ogni porta che si apre si accede a un livello della sua interiorità. Gli oggetti raccontano il padre, gli spazi i lati oscuri del figlio.

Denti da squalo è una fiaba realistica

È il topos della soglia, parte fondamentale di ogni fiaba, genere da sempre dedito all’apprendimento e alla crescita. Nel giardino vicino alla piscina incontra Carlo: un po’ Lucignolo, un po’ alter-ego, un po’ fratello. Siccome non si cambia mai da soli, è quest’ultimo, un ragazzo già grande, che porta Walter in posti nuovi. Mentre la madre è imprigionata nei vecchi ricordi, nei lasciti del marito e negli scatoloni di casa, il bambino attraversa diversi spazi. Ci sono quelli del mondo criminale, ma anche quelli dell’infanzia. Prati dove giocare a pallone, terrazze dove ballare, guardare il tramonto, allenarsi con lo skate o fare pugilato. In quei confini, e solo lì, Walter è autentico. 

Al di fuori di questo è costruito: deve fare il bravo bambino, salvo poi esplodere. Con la malavita deve fare il duro, pur avendo ancora “denti da latte”. Davide Gentile cerca di fare molte cose con il film, prima di tutto va a prendere tante suggestioni dai classici di formazione per tradurle in un romanzo tutto italiano. Impossibile fare un remake di Denti da squalo lontano da Roma senza tradirne completamente lo spirito. 

L'immagine più potente di Denti da squalo

Non tutti i momenti che mette in scena sono sempre riusciti. Trova però un’immagine potentissima, che sembra venire da Persona di Bergman. Nella villa c’è una stanza interrata, con un’ampia vetrata che dà sull’interno della piscina. Il bambino tocca questo schermo trasparente, come se fosse quello cinematografico. In quel momento si palesa il simbolo di questi giorni d’estate e di dolore che sta vivendo: lo squalo. Una proiezione del senso di prigionia che dà il lutto e della rabbia che rende forti nella fragilità. Esplorando la villa, Walter capisce alcune cose di sé e di quello che sta vivendo. 

Denti da squalo è così un film originale più nei contorni che nella sostanza. La sua storia, l’arco dei personaggi, è già visto in altre opere. Cambia invece il come questo avviene, grazie alla riscoperta di luoghi che solo in Italia abbiamo. Spazi abbandonati o dimenticati che contengono all’interno una sovrapposizione di stili e di epoche che racconta la Storia. Qui una piscina unisce due generazioni, quella passata del padre e quella presente del figlio.

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