Denis Villeneuve: la classifica di tutti i suoi film dal peggiore al migliore

Rivediamo l'intera filmografia di Denis Villeneuve e la ordiniamo in una classifica dal peggiore film al migliore

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Riguardare tutta insieme la filmografia di Denis Villeneuve significa affrontare un viaggio insieme a un regista in continuo movimento. Uno che cambia spesso la sua forma personale e che si adatta a ciò che deve raccontare. Dalle surreali sperimentazioni degli inizi al film di genere fino ai più commerciali blockbuster si è formato un autore riconoscibile in primis per la serietà con cui si assume l’incarico narrativo, qualunque esso sia. Un regista confidente nei suoi mezzi che li mette a servizio della macchina cinematografica. La sua ricerca mira al massimo delle idee, della costruzione, della cura estetica. La sua voce si adegua alla storia, non il contrario. I suoi temi sono però quelli della materia che ci compone, delle strutture visibili o invisibili che regolano l’esistenza delle persone, dei traumi e delle follie che ci rendono umani.

Abbiamo visto e raccolto qui tutti gli 11 film da lui diretti fino ad ora. Li abbiamo messi in classifica dal peggiore al migliore. La trovate qui di seguito.

Maelström

Il secondo film di Denis Villeneuve è il tipico prodotto di un giovane pieno di talento, ma troppo consapevole delle sue capacità. Maelström è tronfio delle sue idee, ma non fa che chiudersi in se stesso in un discorso ombelicale. Un pesce al macello narra questa storia. Una donna investe e uccide una persona. Il senso di colpa la porta a conoscere il figlio della vittima, di cui si innamora. Tra goffi tentativi di nascondere le prove e una forte tensione ad ammettere il delitto, Villeneuve si ritrova una trama interessante che non riesce a sviluppare con la necessaria lucidità. Tante idee poco amalgamate

Polytechnique

L’Elephant di Denis Villeneuve. Una riflessione sulla brutalità che entra nell'ordinarietà delle giornate e sul trauma a partire dal massacro del 1989 all'École Polytechnique di Montréal. Il regista dimostra di sapere lavorare con le geometrie delle immagini (notevole una breve scena con gli specchi in bagno), di costruire la tensione e di rappresentare la violenza con rigore e realismo. L'intera operazione risulta però molto superficiale, un compito ben fatto che poco aggiunge al modo in cui il cinema può indagare le cause di queste atrocità. Si accenna un legame tra l'accettazione di una società patriarcale e la misoginia con l'innesco di psicosi di morte. Il film si prende troppi pochi minuti per svilupparlo in maniera soddisfacente.

Un 32 août sur terre

Commedia surreale, ironica ed esistenzialista. Un’incidente automobilistico cambia il corso del tempo e della vita di Simone. Parte così un'estate infinita con i giorni proseguono oltre il 31 agosto mentre in parallelo cresce il desiderio generativo della donna. Troverà un amico, innamorato di lei, e i due correranno nel deserto per concepire (con fretta per rispettare i tempi di ovulazione). Con questa prima opera Villeneuve dimostra uno sguardo già maturo, una capacità di tirare un confine tra la realtà e la pura astrazione cinematografica veramente notevole. 

Blade Runner 2049

L’impresa impossibile. Il sequel di Blade Runner è la follia di un regista che sembrava voler terminare la sua carriera così, nel 2017, con un film che, se sbagliato, nessuno avrebbe perdonato. Solo Denis Villeneuve poteva uscirne indenne. Già questo racconta la caratura dell’autore che è riuscito a salvarsi e a fare un'opera ben fatta, pensata e realizzata. Colpo mortale scampato a parte, Blade Runner 2049 è però il peggiore tra i blockbuster da lui diretti. È un film pieno zeppo di idee e di immagini mozzafiato, ma ne viene un po’ soffocato. Più preciso e controllato dell’originale, fatica a trovare la carica sovversiva del capolavoro di Ridley Scott. L’immaginario perfetto della versione di Villeneuve è, purtroppo, rimasto solo nel film senza riuscire a influenzare ciò che è venuto dopo come fatto dal capolavoro del 1982.

Enemy

Enemy è il film più criptico di Denis Villeneuve. È anche quello che l’ha fatto amare a chi sente che i film vadano spiegati, analizzati come se fossero un testo cifrato per arrivare poi a un significato segreto. Per fortuna Enemy è molto altro. È innanzitutto l’esperienza di perdersi nei grovigli della mente (e delle nostre città). Ha un jump scare clamoroso, pur non essendo un film horror, e se si riesce a entrare nella sua logica tiene avvinghiati fino alla fine. La sua ambizione psicologica è così alta da sbilanciare però un po’ il film che risulta freddo ed eccessivamente teorico. 

Dune - Parte due

Vado contro corrente. Dune: Parte due è meno riuscito del primo film, perché deve fare cose più semplici (la storia entra nel vivo dell’azione) e le fa con troppa forma e poca spontaneità. I temi sono merito della penna di Herbert, mentre Villeneuve merita il plauso per avere azzeccato la divisione in due parti. La prima parla del potere politico, la seconda del potere religioso. Insieme funzionano moltissimo, ma Dune - Parte due deve ringraziare il lavoro fatto dal primo capitolo che l’ha messo nella posizione migliore per coniugare l'innegabilità spettacolarità con la profondità di una visione d’autore. 

Dune 

Era difficilissimo partire così bene, invece Dune - Parte uno fa un paio di miracoli: riesce ad essere un primo capitolo vedibile, nonostante abbia il suo cuore drammatico al centro e un finale sospeso che interrompe sul più bello sia storia. Riesce a rendere comprensibile un mondo intricatissimo e a evitare le risate quando interi dialoghi vengono pronunciati elencando parole che esistono solo in quel mondo. Il fatto che nel due noi le capiamo e ci emozioniamo in relazione agli intrecci politici è merito del primo film. È meno favorevole allo spettatore, meno spettacolare della parte due, ma sono fondamenta solide che né Jodorowsky né Lynch erano riusciti a dare. Non è poco!

Prisoners

Un thriller come tanti altri all’apparenza. Sin dalla prima inquadratura invece questa storia di rapimenti e padri disperati diventa un esercizio di tensione assoluta. Villeneuve dimostra di saper essere duro e crudele con i suoi personaggi moralmente ambigui come gran parte dei film di questo calibro non osa fare. Ne esce un'esperienza viscerale che si attacca addosso e non lascia più. Hugh Jackman, Jake Gyllenhaal e Paul Dano fanno grandi numeri e il finale sembra scritto da Christopher Nolan. Prisoners, per come arriva e per quando arriva, è la dimostrazione della capacità di Denis Villeneuve di sapersi muovere tra film sperimentali (quelli delle origini ed Enemy) e le opere di genere. Due tipi di libertà diversi di cui il regista si sa giovare in entrambi i casi.

Sicario 

La grandezza di Sicario viene più che dal suo insieme da alcune sequenze degne di un’antologia. Sicario riflette prima di tutto sugli spazi. Dalla grande battaglia nei tunnel alla guerriglia ai confini, questo thriller cambia continuamente casacca: si veste di western, di cinema bellico, per arrivare però in fondo diventando un dramma di uomini (e donne), di famiglie, di potere e di morte. Un esempio straordinario di cinema che filmando una storia ben precisa sembra riuscire a contenere l’intero spettro delle grandi narrazioni di ogni genere.

La donna che canta (Incendies)

La sceneggiatura matematica. Quella strutturata alla perfezione senza che ce ne si accorga, fino ad un passo dalla fine. La donna che canta è il film più viscerale di Denis Villeneuve a tal punto da togliere il fiato con uno dei migliori colpi di scena di sempre. Riesce a unire la freddezza di un procedere scientifico con la graduale scoperta di un dramma umano. È la ricerca di due gemelli del padre che non hanno mai conosciuto e del fratello che non hanno mai avuto. L’ultima volontà della madre innesca nei due una ricostruzione storica che ricompone gradualmente i pezzi della loro identità. Villeneuve riesce a far ruotare momenti agghiaccianti ad altri in cui nella violenza traspare la tenerezza e l’abbandono alla giustizia dei sentimenti. Un film da studiare per chiunque voglia fare cinema.

Arrival

Arrival è il punto più alto della carriera di Denis Villeneuve ed è anche uno dei film più importanti degli anni ’10 del 2000. È un film che ha riportato la fantascienza nel suo posto più alto, quello del cinema filosofico che riflette sugli schemi eterni e cosmici che regolano il nostro esistere. Le immagini si fanno concetto, senza diventare ermetiche. Anzi, le idee più difficili, le ipotesi più difficili da immaginare al centro dell’intreccio, si sentono sulla pelle. Con Arrival si fa esperienza di una lingua aliena, veramente distante dalla nostra, eppure plausibile. Si crede che, ad avere il tempo di studiarla, si possa impararla.

Quei segni, posti dagli alieni su uno schermo bianco (altro non è che la raffigurazione del nostro rapporto con il cinema stesso) racchiudono nelle loro forme un modo di percepire le forze dell’universo. Il tempo è circolare, le idee vengono consegnate attraverso questa forma. L’impianto stesso del film si piega, come se fosse scritto e diretto da un alieno, per provare a cambiare il nostro sguardo. È la massima potenza del cinema.

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