Dellamorte Dellamore, trent’anni di culto
Dellamorte Dellamore compie trent’anni, e noi lo celebriamo nell’unico modo possibile: esclamando tutti in coro GNA!
Dellamorte Dellamore uscì al cinema il 25 marzo 1994
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Dellamorte Dellamorte e dellascemenza
Pensateci un attimo: Dylan Dog sta per compiere quarant’anni (succederà nel 2026), ed è uno dei prodotti culturali italiani più famosi al mondo oltre che ovviamente più apprezzati in patria. Pur essendo ambientato a Londra lo sentiamo nostro, e ci sentiamo di affermare che faccia ormai parte della cultura del nostro Paese. Questo rende senza alcun dubbio Dellamorte Dellamore un folk horror, e se non siete convinti vedetela così: l’ambientazione avatiana – il film si svolge in un immaginario paesino della Lombardia – dovrebbe togliervi ogni dubbio.
Ecco perché vederlo (per quanto con gli occhi di un dodicenne) come “un film su Dylan Dog” è sbagliato in partenza e rischia di rovinare l’esperienza, che è più affine a una versione non amatoriale di Il bosco 1 che a quella roba con Brandon Routh uscita qualche anno fa (potremmo controllare quando di preciso ma è talmente brutto che non ne abbiamo voglia). Dellamorte Dellamore è un film legato a doppio filo al personaggio di Dylan Dog, a partire dalla scelta di far interpretare il protagonista a colui che era stato il modello scelto da Sclavi per cioè Rupert Everett, ma non ha alcun legame con il suo canone e vuole raccontare una storia tutta sua, piena di (per citare la locandina internazionale) “zombi, pistole e sesso”.
Zombi, pistole e sesso
I primi si chiamano in realtà “ritornanti”, ma insomma, sono zombi: cioè morti che risorgono sette giorni dopo la loro scomparsa, affamati di cervelli, possono essere fermati solo con un colpo alla testa e hanno un morso infettivo. Le pistole sono quelle che Dylan Francesco usa per eliminarli: il film di Soavi non è una commedia ma è ricco di elementi farseschi e ridicoli, e le scene in cui il protagonista conversa amabilmente al telefono mentre gli zombi gli entrano in casa e lui li elimina con fare annoiato sono chicche incredibili. E il sesso, be’: c’è Anna Falchi, il cui unico scopo nel film è farci vedere quanto sia bella e formosa, e il suo rapporto con Francesco ci regala un paio di scene da borsa del ghiaccio.
C’è, insomma, tutto quello che ci si aspetta da un bell’horror non elevato: sangue morte violenza alè alè, per citare un famoso coro da stadio. Ogni singola scena contiene almeno uno di questi tre elementi, e il risultato è che (se apprezzate il genere, ovviamente) si fa fatica a staccare gli occhi dallo schermo, perché a ogni cambio di scena si freme dalla curiosità di vedere in che direzione andrà il film. Dellamorte Dellamore è un film da cinema e da popcorn, ed è un peccato che non gli sia stata costruita intorno la stessa mitologia e lo stesso tipo di culto riservati ad altri classici del genere: immaginate proiezioni annuali in un cimitero, con il pubblico in costume e litrate di sangue finto lanciate in faccia ai malcapitati delle prime file “per aumentare l’immersione”.
Dellamorte Dellamore merita di più
E invece il film di Soavi è diventato solo un mezzo culto. Certo, è stato rivalutato ed è molto apprezzato tra gli amanti dell’horror italiano. Certo, i nudi di Anna Falchi hanno fatto storia. Ma c’è molto di più da adorare, e non parliamo solo dell’assurdo (e politicamente scorretto) personaggio di Gnaghi. C’è una regia che guarda ai classici zombie movie all’italiana, quelli di Fulci, Lenzi e Bruno Mattei. Ci sono effetti speciali pratici che a tratti mostrano la loro età (i fuochi fatui…), ma che mettono costantemente in primo piano la creatività e la voglia di mostrare la violenza nel modo più grafico possibile.
C’è un mix di umorismo e orrore che è tipicamente anni Ottanta (pur essendo il film degli anni Novanta), e rimanda a grandi classici tipo Il ritorno dei morti viventi. E c’è un Rupert Everett in formissima, che sembra divertirsi un sacco a interpretare quest’uomo pacato e sottilmente ironico, circondato da italiani sovraeccitati e che gesticolano in continuazione. Poi certo, il ritmo non è sempre ottimale, diciamo così, e ogni tanto Dellamorte Dellamore procede un po’ a caso. Ma Buffalora, con il suo cimitero maledetto, è un posto piacevole dove passare un centinaio di minuti, è un luogo vivo e che il film ci fa sentire e abitare. E visto che siamo alla fine, cosa dire del finale? Segnaliamo solo una cosa: Il seme della follia di Carpenter è dello stesso anno, ma non è tratto da un romanzo scritto dieci anni prima…