Death Stranding, buchi neri, mostri lovecraftiani e domande senza risposta

Il secondo trailer di Death Stranding ha confuso le acque e generato nuove domande. La nostra analisi di quanto mostrato da Hideo Kojima ai The Game Awards 2017

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Ci può essere qualcosa di peggio, di più spaventoso e indesiderabile s’intende, della morte? La domanda sorge immediata, spontanea al termine della visione, della difficoltosa, controversa e complessa visione del trailer che Hideo Kojima e il suo team hanno confezionato in occasione dei The Game Awards 2017.

Lo shock è inevitabile, non solo per il feto-ospite-neonato, che quasi sorride in camera, finito in qualche modo nell’esofago, nello stomaco, nel ventre del personaggio che ha le fattezze di Norman Reedus e che, con ogni probabilità, sarà il protagonista della visione, dell’oscuro progetto, dell’incubo che sta partorendo, termine non casuale, il game designer nipponico.

[caption id="attachment_180151" align="aligncenter" width="1000"]Death Stranding screenshot In questo trailer non si è visto Mads Mikkelsen, ma non si può certo dire che siano mancate le figure minacciose e inquietanti.[/caption]

Lo sconvolgimento emotivo è causato dal fetore che emette ogni secondo del filmato, una sensazione spiacevole, sinestetica sino alle estreme conseguenze, che emerge, si insinua sin nelle ossa dello spettatore non appena posa i suoi occhi sulle lande incolori e prive di vita che compongono l’ambientazione in cui ha luogo l’azione; sulle orme, simili a mani, dei mostri che ne alberano gli anfratti; sullo sfortunato argonauta braccato da invisibili tentacoli che, per l’appunto, preferisce infliggersi dolorosi e mortali pugnalate, piuttosto che finire chissà dove, chissà perché.

Hideo Kojima si conferma regista di tutto rispetto, espertissimo nel creare storie che, pur non raccontandosi, tratteggiano confini narrativi ben al di là della nostra vista. Di carne sul fuoco, dopo qualche filmato di presentazione di Death Stranding, in effetti, ce n’è moltissima, pure troppa. Confutata completamente la teoria che avevamo avanzato qualche mese addietro in questo articolo, teoria che vedeva nella distruzione della Luna l’origine di ogni guaio, il trailer parla comunque di un’esplosione, due per l’esattezza: una che ha dato origine a tutto, forse il Bing Bang, l’altra che segnerà la fine di ogni cosa, così come la conosciamo oggi, quanto meno.

Non è da escludere che questa seconda deflagrazione sia il tanto ipotizzato Big Crunch, evento che avverrebbe quando, finito di espandersi, l’Universo, restringendosi, finirebbe per collassare su sé stesso. Death Stranding, da un punto di vista strettamente concettuale, sembra proprio questo: una trafila di elementi eterogenei, costretti ad esprimersi e mostrarsi l’uno di fianco all’altro, in un minestrone che, al momento, ha un odore delizioso, ma che non garantisce nulla sul suo effettivo sapore.

[caption id="attachment_180153" align="aligncenter" width="1000"]Death Stranding screenshot Ecco il chiacchieratissimo bambino che alberga le interiora del protagonista del gioco. Ma sarà davvero così? O si tratta solo di una visione pre (o post?) morte?[/caption]

Tra buchi neri, la stessa targhetta di riconoscimento del protagonista rimanda all’equazione del raggio di Schwarzschild, mostri invisibili, colossi che si materializzano dal nulla, feti contenuti in placente artificiali, il problema sembra proprio la coesistenza di tutti questi elementi, al di là dell’ovvia e totale mancanza di video che, oltre a stuzzicare gli appetiti dei fan e comprovare la bontà del motore grafico, mostrino sezioni di gameplay vero e proprio.

Kojima, insomma, ha già vinto la battaglia prima che cominci, forte della sua fama, del retaggio costruitosi durante la sua lunga convivenza con Konami, della stima dei colleghi, della sua abilità con la narrativa ambientale, mai forte, evidente, palpabile in questi primi vagiti e apparizioni di Death Stranding.

Difficile che questo progetto si riveli un maestoso bluff. Altrettando lo è la sua pubblicazione in tempi brevi. Il materiale da gestire e amalgamare attorno ad un plot (speriamo) comprensibile è moltissimo ed è assolutamente lecito nutrire un certo scetticismo. L’eccessiva imperscrutabilità di questi trailer, se fanno ben sperare sulla coerenza narrativa, se testimoniano la volontà di Kojima di mostrarci e raccontarci un mondo ben oltre l’Apocalisse, dall’altra, memori di alcuni passaggi della saga di Metal Gear Solid, vale la pena chiedersi se questa volta il game designer non si stia semplicemente spingendo troppo in là.

[caption id="attachment_180152" align="aligncenter" width="1000"]Death Stranding screenshot Secoli nel futuro? L’interno di un buco nero? Un mondo parallelo? Dove e quando è ambientato Death Stranding?[/caption]

La fiducia non è solo dovuta, è necessaria per un medium che ancora viene guardato dall’alto in basso. Soprattutto in termini narrativi, la strada da fare è ancora tantissima e ben pochi team, Naughty Dog per esempio, hanno saputo dimostrare al mondo che sia veramente possibile raccontare belle storie con i videogiochi. Lo sperimentalismo, il coraggio di Kojima è fondamentale, ma ci auguriamo che sia misurato, ben indirizzato e convogliato verso uno scopo raggiungibile, magari comprensibile a più persone possibile.

Al momento non possiamo che fantasticare e ipotizzare quale sarà il mondo immaginifico che farà da sfondo alla triste e difficoltosa epopea della controparte virtuale di Norman Reedus. Perché se le domande su Death Stranding sono ancora tantissime (esiste davvero qualcosa più spaventoso e indesiderabile della morte?) una risposta l’abbiamo già ottenuta: ci sarà sicuramente da soffrire. Soffrire tantissimo.

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