Deadpool 2 è una simpatica avventura per tutta la famiglia
Deadpool 2 è un film che parla dell’importanza della famiglia, perfetto da vedere in compagnia della prole per una serata all’insegna dei buoni sentimenti
Evviva, questa sera c’è Deadpool 2 in tv!
OK, a ripensarci meglio forse non è il caso di organizzare una serata in famiglia per guardare Deadpool 2.
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Ma soprattutto Deadpool era, sempre nelle parole del protagonista e produttore Ryan Reynolds, “una storia d’amore mascherata da cinecomic”: la storia di un tizio che perdeva la donna della sua vita in seguito a un incidente, e che nonostante il suo neo-acquisito aspetto ripugnante riusciva a riconquistarla e a renderla di nuovo la donna della sua vita. Deadpool era una commedia romantica con un supereroe, un po’ la stessa idea che c’era dietro il più recente Venom, con la differenza che in Deadpool il mix tra generi era studiato e non un effetto collaterale di una sceneggiatura scritta in funzione dell’overacting del protagonista.
Deadpool 2, ancora una volta stando alle dichiarazioni pre-film (e anche intra-film, a dirla tutta) di Reynolds, è invece “un film per famiglie”, o “un film sulla famiglia”. L’affermazione è formalmente corretta ma ingannevole; storicamente, quando si pensa al termine “famiglia” in questo contesto, si tende ad associarlo a quelle forme familiari che in giro vengono definite “tradizionali” nonostante non abbiano nulla a che vedere con nessuna tradizione: padre, madre, figli, insomma legami di sangue, quel genere di legami che ti obbligano a farti andar bene una persona solo perché è tua parente quando se non lo fosse non ti ci avvicineresti mai a meno di dieci metri. La “famiglia” che intende Reynolds, invece, è quella parallela che è onnipresente in certe narrazioni fin dai tempi dei primi film bellici o western: è l’altra famiglia, quella che ti scegli, la fratellanza, il gruppo, la cumpa, quell’accozzaglia di amici, frenemies, persone che un po’ ti irritano ma a cui in fondo vuoi un bene dell’anima che in questi ultimi anni è stata popolarizzata e quasi appropriata da Vin Diesel e Fast&Furious e che lo stesso Deadpool aveva incrociato, respingendola, nel primo film.
Deadpool 2 si apre con un sincero tentativo di parlare di famiglia nell’accezione più classica del termine. OK, a dirla tutta si apre con una lunga serie di omicidi in giro per il mondo, che servono a noi per farci entrare nel mood e al subentrante David Leitch (“uno di quelli che hanno ucciso il cane di John Wick” stando ai titoli di testa) di sfoggiare da subito le sue armi registiche migliori: Leitch è un ex stuntman e coordinatore degli stunt, passato alla regia nel 2014 insieme all’amico Chad Stahelski con quel film dove Keanu Reeves ammazza tutti in una serie di sequenze stilosissime e che dimostrano che non c’è persona migliore per girare una scena action di una che fino al giorno prima ci sguazzava dentro, saltando, rotolando, gettandosi a terra e sferrando cartoni e calci volanti; e quindi Deadpool 2 inizia con la sua impronta ben stampata in faccia, con una serie di gioiose scene di combattimento che ahinoi si faranno un po’ rimpiangere nel resto del film (le uniche altre sequenze paragonabili sono piazzate scolasticamente a metà film e sul finale), ma che mettono subito in chiaro che questo sequel non vuole essere da meno del capitolo precedente.
Dopo tutto questo, però, Deadpool 2 si apre, come dicevamo, con un sincero tentativo: Wade Wilson e Vanessa (povera, sottosfruttatissima Morena Baccarin, una che peraltro adora il suo personaggio) decidono che è arrivato il momento di sfornare un infante, e di chiamarlo non si sa ancora bene come ma sicuramente non Todd. Purtroppo l’idillio viene interrotto entro i primi dieci minuti: Vanessa viene uccisa e Deadpool piomba in una depressione e una spirale autodistruttiva che fa impallidire Tony Stark e l’intero primo atto di Iron Man 3. Da qui, Deadpool 2 diventa una parabola di ricostruzione del personaggio e dei suoi legami: Wade inizia il film che è solo come un cane abbandonato in autostrada, e lo finisce a capo di una squadra di supereroi che si chiama X-Force, e che è la sua nuova famiglia.
Non vi abbiamo rovinato nulla, davvero: il concetto di X-Force viene introdotto quasi subito ed è chiaro fin dall’inizio dove il film voglia andare a parare. Per una volta, Deadpool 2 è un film di supereroi nel quale non è in gioco il destino del mondo o direttamente dell’intera galassia, ma solo quello del suo protagonista; è un sequel che resiste alla tentazione di fare “come il primo ma più grosso”, e che non rinuncia mai alla sua vera natura, quella di film comico costruito su battute taglienti e spesso molto meta- e su gag al confine tra la slapstick e il sadismo puro (in questo senso Deadpool è un po’ gli Happy Tree Friends della Marvel). Lo stesso Wade Wilson passa più di metà del film senza maschera e senza costume, e il suo UPC (Umorismo Politicamente Scorretto) lascia più volte spazio a una genuina dose di CG (Cuore Grande). Non lo si guarda per la trama, che coinvolge un killer che viaggia nel tempo e ha la faccia di Josh Brolin senza il trucco di Thanos e un giovane mutante ostracizzato e chiaramente avviato lungo la strada della perdizione, ma per continuare a passare del tempo in compagnia di un demente vestito di rosso che dice sempre la cosa sbagliata al momento sbagliato e dei suoi vecchi e nuovi amici.
È un bene quindi che, al netto di una sceneggiatura un po’ farraginosa e di un finale meno esplosivo di quanto succede fin lì, Deadpool 2 sia popolato di personaggi magnifici, vecchi (Negasonic Teenage Warhead ha meno spazio di quanto vorremmo ma continua a dominare la scena ogni volta che appare) e soprattutto nuovi: spicca in particolare Domino, la supereroina di Zazie Beetz con il superpotere di essere fortunatissima nonché vera e propria calamita fatta di carisma, ma anche il Firefist di Julian Dennison e soprattutto il Cable di Josh Brolin, adorabile perché completamente fuori tono rispetto al resto dei supereroi e supervillain che gli ruotano attorno, sempre serissimo e con la gravitas di un attore shakespeariano che si esprime solo a monologhi e one-liner mentre intorno a lui la locura regna incontrastata. Se Ryan Reynolds non fosse il padrone assoluto della scena (e dell’intero progetto) si potrebbe quasi parlare di “film corale”; non lo faremo (anche se a dirla tutta un coro c’è: è quello che canta “holy shitballs” durante il primo scontro tra Deadpool e Cable) perché non vorremmo che il signor Lively si arrabbiasse, ma resta il fatto che Deadpool 2 è la storia di un tizio molto solo che si trova una nuova famiglia composta di reietti e gente strana quanto lui. Roba da scaldare il cuore, insomma; magari non fatelo comunque vedere ai gemelli che hanno appena compiuto sei anni, ma roba da scaldare il cuore.