Daylight – Trappola nel tunnel, quando Stallone si limitava a fare film

Daylight – Trappola nel tunnel è un classico rappresentante del periodo nel quale Sly si limitava a eseguire il compitino

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Questo speciale su Daylighht – Trappola nel tunnel fa parte della rubrica Tutto quello che so sulla vita l’ho imparato da Sylvester Stallone.

Ci rendiamo conto che il titolo di questo pezzo possa risultare criptico, ma ci spieghiamo subito. Per buona parte degli anni Novanta, Sylvester Stallone fece film. “Li ha sempre fatti!” obietterete. Non esattamente: quando diventava Rocky Balboa, o John Rambo, o anche Nick Provolone, Stallone portava sempre una parte di sé (o tutto sé stesso) nel personaggio, e spesso contribuiva in maniera attiva a plasmare tutto il film, dirigendolo, o riscrivendone la sceneggiatura, o aggiungendo i suoi tocchi personali.

Non era solo “fare film”: era anche aiutare a crearli, e a inserirli in un discorso più ampio sul meta-Stallone, sulle caratteristiche e peculiarità comuni a tutti i suoi personaggi.

Negli anni Novanta, invece, Sly si limitò per anni a fare film. Ormai il personaggio stalloniano era codificato, e c’era sempre qualcuno che aveva un’idea per un film e la sviluppava con in testa Stallone come protagonista. Poi gli veniva proposto lo script, lui si presentava sul set, eseguiva, incassava e tornava a casa. Assassins, del quale abbiamo parlato la scorsa settimana, è un esempio. Daylight – Trappola nel tunnel è un altro, forse ancora più clamoroso. Un disaster movie con l’approccio anni Settanta al genere ma i soldi e mezzi degli anni Novanta, diretto da un lanciatissimo Rob Cohen post-Dragon e Dragonheart ma pre-primo Fast & Furious, scritto su un post-it e con una sola indicazione molto precisa: portatemi Stallone.

La trama è talmente archetipica che sembra un template che è stato riempito con le prime cose che capitavano. C’è un luogo pericoloso e deputato alla catastrofe: in questo caso un tunnel autostradale che passa sotto lo Hudson, a New York. C’è l’innesco della catastrofe: un treno di camion pieno di scorie tossiche trasportate illegalmente nel tunnel per venire poi smaltite in New Jersey; uno dei camion si ribalta ed esplode, generando fuoco, fiamme e tregenda. C’è della gente da salvare: il primo impatto dell’esplosione fa una strage, e in tutto il tunnel sopravvivono una dozzina di persone che bisogna portare fuori dalle macerie prima che collassi tutto.

E c’è l’uomo comune che si trasforma in eroe, e che ovviamente ha un passato più complesso di quanto la sua apparente normalità possa far pensare. L’eroe ovviamente è il nostro Sylvester Stallone, per il quale lo sceneggiatore Leslie Bohem scrive un personaggio semplicissimo e cucito su misura per lui. Kit Latura è un tassista, ma in passato lavorava nella (per comodità) Protezione Civile. Le sue azioni causarono dei morti, lui fu licenziato in tronco, ma fu davvero colpa sua?, insomma la storia la conoscete già anche se non lo sapete. Quello che conta è che l’incidente nel tunnel dà a Kit la possibilità di redimersi, e di fare un sacco di acrobazie nel frattempo.

Daylight – Trappola nel tunnel è un disaster movie: forse l’abbiamo già detto, ma è davvero il modo migliore per descriverlo, perché non fa assolutamente nulla per scostarsi dal template. Tutto dipende quindi da quanta voglia abbiate di passare due ore in compagnia di un gruppetto selezionato di persone a un passo dalla morte, e che sono caratterizzate anche loro con semplici tocchi che assegnano loro un ruolo noto senza approfondirlo troppo. C’è quello che vuole chiedere alla fidanzata di sposarlo, e vuole quindi uscire dal tunnel a tutti i costi; immaginate che fine fa. C’è la famiglia ricca e antipatica, utile a fare da contrasto alla genuinità e anche ingenuità del protagonista.

C’è Viggo Mortensen che interpreta quello che dice ma non sa fare: è un praticante di sport estremi e una celebrità grazie alla sua linea di prodotti sportivi, ma è anche un fanfarone che di fronte alla prima difficoltà vera… be’, diciamo che anche lui serve a fare da contrasto con il nostro protagonista. C’è un gruppo di adolescenti problematici che stavano venendo trasportati in galera, e avranno quindi più o meno tutti l’occasione per redimersi. C’è anche quanto di più vicino a un love interest il film possa permettersi, cioè Amy Brenneman nei panni di quella che vorrebbe farsi una carriera nel mondo del teatro ma che di fronte al disastro si dimostra capace di gesta eroiche e quindi all’altezza del nostro protagonista.

Tutto questo è punteggiato da esplosioni, inondazioni, cavi elettrici scoperti che penzolano sopra pozze di acqua e benzina e in generale la sensazione che ogni set possa collassare da un momento all’altro. Il film costò 80 milioni di dollari nel 1996 e si nota: provate solo a contare quante volte, sullo sfondo, senza alcun effetto diretto sulla narrazione, si vede una lingua di fuoco che erutta o un pezzo di soffitto che crolla. Cohen sa come gestire tutto questo caos, e il risultato è che le scene di distruzione, che corrispondono a circa il 60% del girato, sono sempre piacevoli seppure un po’ prevedibili.

Fanno eccezione un paio di set piece che sono pezzi di bravura sia di Cohen, sia di Stallone, sia soprattutto dei set designer: in particolare la, chiamiamola così, sequenza dei ventilatori è da manuale. Quello che manca a Daylight – Trappola nel tunnel, in mezzo a tutto questo caos, è un pizzico di personalità. Un’oncia, un pugno, qualcosa: non c’è mai nulla che non vada nel film di Cohen, ma neanche qualcosa che spicchi o si faccia ricordare al di là dei due o tre momenti sopracitati. Stallone, per esempio, fa tutto quello che deve fare con il piglio giusto; ma lascia che sia la sceneggiatura a guidarlo, non aggiunge nulla di suo, esegue e porta a casa.

Tanto è vero che Daylight è uno di quei film di cui non parla praticamente mai: abbiamo trovato qualcosa qui, dove il suo unico commento a riguardo è “ho fatto questo film. La premessa era buona ma non ha funzionato”. La chiave della frase, secondo noi, sono le prime quattro parole: “ho fatto questo film”. Come dicevamo all’inizio, in questo periodo Stallone faceva film e basta, e ci aveva abituato a ben altro.

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