Chi è davvero Stefano Sollima, il messia italiano del racconto criminale

Uno come Sollima lo attendevamo da anni, uno così diverso da poter dare un impulso vitale all'industria di cinema e tv di genere con la sua visione

Critico e giornalista cinematografico


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Ci sono molti metri per misurare la “diversità” di Stefano Sollima. Uno è la quantità di facce che ha messo a frutto come nessun altro (Marco Giallini, prima che esplodesse, Francesco Montanari, Vinicio Marchioni, Salvatore Esposito, Marco D’Amore, Alessandro Roja, Alessandro Borghi), quella nuova generazione d’attori che ha creato lavorando su volti sconosciuti per trovare la plausibilità delle sue storie in un paese in cui sembrava che qualsiasi tentativo di genere risultasse non credibile. Un altro, diametralmente opposto, potrebbero essere i luoghi. La cantina di Romanzo criminale, gli interni di Gomorra, oppure i corridoi di ACAB, le sale vaticane di Suburra, non c’è uno degli ambienti in cui sono girate le scene delle sue serie o dei suoi film che sembri un posto già filmato da qualcun altro, quando li guarda Sollima gli ambienti diventano nuovi.

Nemmeno quando si parla del centro di Roma, uno dei posti più filmati in assoluto, sembra di aver già visto quel fondale, perchè tutto diventa “sollimesco”.

La sua è una diversità parte prima di tutto dalle immagini, dal look che imprime ai suoi fotogrammi, e poi piano piano scende giù fino alla recitazione. Il suo stile inizia con i colori, e procede con l’uso della profondità e dei costumi per arrivare alle scelte di montaggio. Fin dalle prime immagini Sollima crea sempre un impatto unico, uno da cui il pubblico si sente rassicurato. Il celerino che nel silenzio della notte guida la sua moto cantando “Celerino figlio di puttana”, è la prima immagine di ACAB, quei toni, quei colori, quel modo di gestire la fotografia, prima ancora che accada qualcosa dice nell’orecchio al pubblico: “Non stai guardando una produzione provinciale ma un vero film poliziesco, un noir internazionale” senza che ancora sia iniziato il racconto. E questo si ripete in ogni film e in ogni puntata di una sua serie.

Il figlio di Sergio Sollima ha raccontato delle diverse forme che può prendere il potere

Con questo stile in tutta la sua carriera il figlio di Sergio Sollima ha raccontato delle diverse forme che può prendere il potere, di come ci siano tante maniere con le quali le persone si schiacciano e dominano a vicenda al pari di animali. Ma la differenza in lui la fa la maniera in cui ne è sinceramente spaventato. Ogni volta che gira una scena di dominio, di imposizione di una volontà violenta su un altro, si respira una tensione, una paura concreta che viene dai tempi e dai punti di vista, cioè dal sapere molto bene in quella dinamica cosa sia ad atterrire.

Il mondo criminale è quello del potere puro, gerarchico e imposto con intelligenza e violenza ma poi c’è anche quello della polizia che abusa della propria posizione, la violenza usata per i propri fini, e c’è ovviamente il potere politico dei suggerimenti, i dialoghi ai tavoli o tavolini che decidono i destini delle persone. Ogni cosa è potere nel mondo di Sollima e ogni scelta di potere diventa violenza.

Del resto Stefano Sollima è “diverso” antropologicamente, a prescindere dal gradimento e dal posizionamento che ognuno può dargli nel pantheon dei cineasti italiani non somiglia a nessuno. Non è una sorpresa che noi uno come Sollima l’avessimo invocato, auspicato, bramato e cercato per almeno una buona ventina d’anni. È cioè dal tramonto del cinema di serie B italiano che abbiamo atteso qualcuno che potesse da solo (perché solo da soli si poteva fare un lavoro simile) creare un cinema di genere italiano moderno. Non si tratta unicamente di girare serie (o film) che piacciano, siano esportabili e in linea con quello che vediamo venire dagli altri paesi, si tratta proprio di lavorare attivamente per creare scampoli di industria, per fare in modo cioè che per tutti gli altri sia più facile andare in quella medesima direzione.

C’è un esempio che Sollima stesso fa spesso, cioè il fatto che grazie a Romanzo Criminale (la sua prima conquista), all’impegno che richiedevano tutte quelle puntate e al suo desiderio di raggiungere certi standard sconosciuti in Italia, la squadra che realizzava gli effetti pratici è stata costretta a modernizzarsi. Le piccole cariche esplosive da mettere sotto gli abiti degli attori, quelle che servono a simulare l’impatto di un proiettile, erano ancora controllate con comandi a filo, fu Sollima a chiedergli per favore di acquistare le versioni senza fili, cioè radiocomandate, loro non ne avevano mai avuto esigenza, nessuno in anni di morti sparati nelle fiction gliel’aveva mai chiesto o aveva mai avuto esigenza di girare scene così complesse da richiedere controlli a maggiore distanza. Ora li hanno e ne usufruiranno anche altri cineasti che lavoreranno con loro. È un esempio piccolissimo ma questa logica può essere allargata a tutto quel che è richiesto in una produzione. Il risultato è che se Romanzo Criminale aveva una Roma anni ‘70 e ‘80 da urlo, Gomorra è stato un salto in avanti incredibile, reso possibile proprio dall’esistere sulle spalle di quella serie precedente, dalla presenza di maestranze, tecnici e di un’industria intorno che già era diversa da quella di 5 anni prima.

Basta allargare quest’idea a tutto quel che accade in un set, per capire come si crei un’industria. È Sollima stesso del resto ad aver detto che non si può pensare di fare film come quelli di Batman se non lavori in un cinema pronto a farli, se intorno a te non hai le maestranze in grado.

E attrezzato lo sarà di certo lui quando inizieranno le riprese di Soldado, il sequel di Sicario, film che aveva impressionato anche e soprattutto per lo stile asciutto e rarefatto che gli aveva dato Denis Villeneuve (ma chi aveva visto Prisoners e prima ancora La donna che canta non è rimasto troppo stupito) e che ora va in mano ad un cineasta con uno stile ugualmente rarefatto ma molto più pragmatico, meno poetico di Villeneuve ma più appassionato della durezza umana.

Foto di copertina: Emanuela Scarpa

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