Chi è davvero Stefano Sollima, il messia italiano del racconto criminale
Uno come Sollima lo attendevamo da anni, uno così diverso da poter dare un impulso vitale all'industria di cinema e tv di genere con la sua visione
Nemmeno quando si parla del centro di Roma, uno dei posti più filmati in assoluto, sembra di aver già visto quel fondale, perchè tutto diventa “sollimesco”.
Con questo stile in tutta la sua carriera il figlio di Sergio Sollima ha raccontato delle diverse forme che può prendere il potere, di come ci siano tante maniere con le quali le persone si schiacciano e dominano a vicenda al pari di animali. Ma la differenza in lui la fa la maniera in cui ne è sinceramente spaventato. Ogni volta che gira una scena di dominio, di imposizione di una volontà violenta su un altro, si respira una tensione, una paura concreta che viene dai tempi e dai punti di vista, cioè dal sapere molto bene in quella dinamica cosa sia ad atterrire.
Del resto Stefano Sollima è “diverso” antropologicamente, a prescindere dal gradimento e dal posizionamento che ognuno può dargli nel pantheon dei cineasti italiani non somiglia a nessuno. Non è una sorpresa che noi uno come Sollima l’avessimo invocato, auspicato, bramato e cercato per almeno una buona ventina d’anni. È cioè dal tramonto del cinema di serie B italiano che abbiamo atteso qualcuno che potesse da solo (perché solo da soli si poteva fare un lavoro simile) creare un cinema di genere italiano moderno. Non si tratta unicamente di girare serie (o film) che piacciano, siano esportabili e in linea con quello che vediamo venire dagli altri paesi, si tratta proprio di lavorare attivamente per creare scampoli di industria, per fare in modo cioè che per tutti gli altri sia più facile andare in quella medesima direzione.
C’è un esempio che Sollima stesso fa spesso, cioè il fatto che grazie a Romanzo Criminale (la sua prima conquista), all’impegno che richiedevano tutte quelle puntate e al suo desiderio di raggiungere certi standard sconosciuti in Italia, la squadra che realizzava gli effetti pratici è stata costretta a modernizzarsi. Le piccole cariche esplosive da mettere sotto gli abiti degli attori, quelle che servono a simulare l’impatto di un proiettile, erano ancora controllate con comandi a filo, fu Sollima a chiedergli per favore di acquistare le versioni senza fili, cioè radiocomandate, loro non ne avevano mai avuto esigenza, nessuno in anni di morti sparati nelle fiction gliel’aveva mai chiesto o aveva mai avuto esigenza di girare scene così complesse da richiedere controlli a maggiore distanza. Ora li hanno e ne usufruiranno anche altri cineasti che lavoreranno con loro. È un esempio piccolissimo ma questa logica può essere allargata a tutto quel che è richiesto in una produzione. Il risultato è che se Romanzo Criminale aveva una Roma anni ‘70 e ‘80 da urlo, Gomorra è stato un salto in avanti incredibile, reso possibile proprio dall’esistere sulle spalle di quella serie precedente, dalla presenza di maestranze, tecnici e di un’industria intorno che già era diversa da quella di 5 anni prima.
Basta allargare quest’idea a tutto quel che accade in un set, per capire come si crei un’industria. È Sollima stesso del resto ad aver detto che non si può pensare di fare film come quelli di Batman se non lavori in un cinema pronto a farli, se intorno a te non hai le maestranze in grado.
E attrezzato lo sarà di certo lui quando inizieranno le riprese di Soldado, il sequel di Sicario, film che aveva impressionato anche e soprattutto per lo stile asciutto e rarefatto che gli aveva dato Denis Villeneuve (ma chi aveva visto Prisoners e prima ancora La donna che canta non è rimasto troppo stupito) e che ora va in mano ad un cineasta con uno stile ugualmente rarefatto ma molto più pragmatico, meno poetico di Villeneuve ma più appassionato della durezza umana.
Foto di copertina: Emanuela Scarpa