David Lynch odia il suo Dune ma dovrebbe ricordarsi le ragioni per essergli grato
Il trauma del flop di Dune di David Lynch ha liberato il regista dall'Hollywood dei blockbuster per tornare su un cinema personale
Quando Alejandro Jodorowsky vide il disastro del Dune di David Lynch, un sonoro flop al boxoffice del giovane e promettente regista di Eraserhead e The Elephant Man, ne fu contentissimo. Non per cattiveria, ma perché aveva trovato la prova che adattare il libro di Frank Herbert era un compito impossibile. Lui, che per primo ha pensato di dirigere Dune, ambendo pure a creare il film più importante di sempre, non aveva colpa per non essere riuscito nemmeno ad andare sul set. Era il cosmo che gli parlava: Dune era infilmabile.
Il fastidio di Lynch
Questi avvisi mistici deve averli ricevuti anche David Lynch, ma troppo tardi. Durante le riprese accadde di tutto e di più (ne avevamo parlato per esteso qui). I De Laurentiis volevano un nuovo Star Wars. Hanno messo mano adeguatamente al portafoglio. Lynch doveva gestire 53 ruoli con battute, 20.000 comparse e 900 persone impiegate regolarmente nella troupe. Per contenere i costi girarono in Messico, dove la produzione occupava 8 teatri di posa dei Churubusco Studios. Gli imprevisti avevano cadenza settimanale. Lunghe ore senza corrente bloccavano la produzione, la dogana fermava le provviste per la troupe che, affamata, girava le scene del deserto su un antico vulcano che, si è scoperto, era una discarica per carcasse di cani morti. “Realizzare il film più avanzato di sempre in un paese senza tecnologia”, disse Raffaella De Laurentiis parlando dell'impresa.
C’è qualcosa che non va con quel film. Veramente non so cosa sia e non sono sicuro che si possa sistemare. È così enorme, e ci sono così tante cose. Molte mi piacciono, ma molte altre non mi piacciono. Ci sono dei problemi.
Ha poi glissato iniziando a parlare di Velluto blu, il suo successivo film.
Perché David Lynch odia Dune?
Lynch all’inizio degli anni ’80 era sulla cresta dell’onda. Una promessa di un cinema personale a tinte surreali che mai si era visto prima. Era ben inserito a Hollywood, aveva appena lavorato con Mel Brooks per The Elephant Man, da lui prodotto. George Lucas l’aveva approcciato con un’offerta allettante: dirigere Il ritorno dello Jedi, dato che lui non amava molto stare in cabina di regia e Irvin Kershner non voleva ritornare sul set. Lucas aveva chiesto anche a Paul Verhoeven e David Cronenberg, evidentemente non aveva problemi a affidare la sua creatura a registi dallo stile personale. Lynch però aveva visto Star Wars e non l’aveva amato a sufficienza da dirigerne il terzo capitolo. Pensava fosse una space opera che aveva tutto in superficie, mentre preferiva la profondità dei mondi di Herbert. Declinò la proposta. Dato che Lucas aveva quasi completato tutta la sceneggiatura pensava di non avere molti margini di manovra.
Accettò però di dirigere Dune e si trovò all’interno del tritacarne degli studio che voleva evitare. Fu affiancato dagli sceneggiatori Eric Bergren e Christopher De Vore. Dopo numerose versioni, il regista finì da solo la versione definitiva. La Universal sperava in Dune come un nuovo franchise. Lynch invece era entusiasta di poter creare quattro mondi diversi, surreali, in cui la logica è solo quella dettata dal personale occhio del regista.
Presentò allo studio un montaggio di tre ore. Accadde con Dune quello che temeva potesse succedere con Star Wars. Lo studio prese in mano la lavorazione togliendo gli elementi più surreali e girando nuove scene. Il final cut non era quello del regista, ma una versione ibrida tra le due volontà. Un disastro. Troppo verboso eppure troppo superficiale. Con effetti speciali interessanti, ma troppo breve per sviluppare tutta la complessità del romanzo. I critici e il pubblico che non avevano letto il libro ci capirono poco. Il film divenne uno dei disastri più forti di sempre al botteghino per un film di fantascienza.
C’è vita oltre le Dune!
Il Dune di Lynch non è stato il primo e nemmeno l’ultimo dei grandi misteri del cinema. Oggi, visto nella sua filmografia, il film è una deviazione assurda da un percorso autoriale chiarissimo e coerente. Sebbene il tempo non l’abbia aiutato a migliorare, Dune è oggi fondamentale per capire quelli che sono stati gli anni successivi del regista.
Andare sul set di Dune offrì a Lynch una serie di legami importanti. Senza Dino De Laurentiis non ci sarebbe stato Velluto Blu. In questo film recitano Kyle MacLachlan, Dean Stockwell, Brad Dourif conosciuti grazie alla Space Opera. MacLachlan in particolare ha avuto modo, nel successivo film (e più in là con Twin Peaks) di ripagare il regista per una recitazione non proprio al massimo della forma… Come vi abbiamo raccontato qui l’attore era così frustrato per la lavorazione da non riuscire a entrare nel personaggio e piangere in scena.
A volte bisogna sbagliare per capire ciò che si vuole e non si vuole. Dune fu un semaforo rosso sulla strada dei blockbuster degli studio. Grazie al flop ha smesso di essere corteggiato per dirigere opere dal budget stratosferico. Lynch tornò nel territorio a lui più vicino, dove poter sperimentare con la forma. Al contempo però l’esperienza di scrittura e riscrittura di una sceneggiatura tradizionale gli aveva dato i mezzi per lavorare anche su narrative lineari (Una storia vera).
Se uno dei suoi capolavori, Mulholland Drive, è un viaggio onirico nelle strade di Hollywood in cui gli spiriti delle persone si perdono, espresso da Lynch con una rabbia netta e dalla più accesa spinta surreale, forse è anche merito della traumatica esperienza tra le dune di Arrakis se il regista è stato ispirato per questo suo film.
Fonti: The Ringer, Collider