David di Donatello: cosa è successo e perché C'è ancora domani non ha vinto fino in fondo

Nel nostro commento ai David di Donatello cerchiamo di capire cosa significhi la vittoria parziale di C'è ancora domani

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

Il commento ai David di Donatello, alla mancata vittoria di C'è ancora domani e a quella di Io capitano

Anche oggi la rivoluzione la facciamo domani. Sembrava quasi scontata una grande vittoria di C’è ancora domani, sembrava cioè che quel film unendo impegno e incassi, commedia  tradizionale e istanze femministe moderne, potesse essere incoronato come il vincitore della stagione anche sotto il profilo industriale, cioè quello dell’approvazione di chi i film li fa (che poi sono i votanti dell’Accademia del cinema italiano). Invece no, ci eravamo sbagliati. C’è ancora domani ha vinto ma non fino in fondo, non è riuscito a vincere nelle categorie in cui non era rappresentato da Paola Cortellesi. Gli è stato preferito Io capitano nelle categorie principali ed è molto difficile davvero prendere una posizione su questa vittoria: è difficile cioè capire come mai non si sia premiato fino in fondo un film che, è evidente dagli altri premi ricevuti, è piaciuto ed è stato amato dai votanti, ma è anche complicato criticare chi gli ha preferito il film di Garrone.

Io capitano è un film eccezionale e non sembra di certo fuori dal mondo che delle persone possano preferirlo al pur molto bello C’è ancora domani. Il problema con i premi è che vengono assegnati per una ragione di gradimento ma poi hanno significati che vanno oltre al gradimento. Per tutto quello che ha fatto, per gli incassi, per quello che ha rappresentato per il ritorno al cinema, per quello che rappresenta per le possibilità delle donne di fare cinema a livelli alti anche in Italia e per quello che rappresenta come ritorno a un linguaggio ibrido tra cinema d’autore e popolare, C’è ancora domani avrebbe meritato di vincere. Sarebbe stato l’esito che in molti desideravano e auspicavano, la legittimazione di un terremoto che, per fortuna, non ne ha bisogno, gli basta il suo risultato economico.

Tuttavia nessun votante percepisce se stesso come una massa o come esempio di quello che voteranno anche gli altri. Nessuno insomma pensa di essere espressione del cinema italiano. E non è assurdo immaginare che quindi, a fronte dell’apprezzamento e dal desiderio di riconoscimenti per Paola Cortellesi, in molti al dunque abbiano deciso che, per quanto l’industria abbia più bisogno di C’è ancora domani, loro personalmente preferissero Io capitano. Sarebbe esagerato pensare di sapere cosa ogni votante pensi, ma se una lettura deve essere fatta di questi risultati, questa ci sembra la più ragionevole. Più ragionevole di immaginare che i votanti abbiano voluto “mettere a posto le donne”, che abbiano avuto “timore di Rai Cinema” o che siano succubi dell’autorialismo, cioè più ragionevole di immaginare i votanti come un’entità collettiva che prende decisioni di concerto per orientare il mondo. Ognuno vota in forma anonima e non ci sono condizionamenti se non il proprio gusto o la propria idea di cinema. E, vale la pena ripeterlo, per quanto sarebbe stata auspicabile una vittoria totale di C’è ancora domani, Io capitano è un film eccezionale che è stato molto amato.

E la stessa idea di cinema che porta Io capitano a vincere i principali premi tecnici è quella, molto antiquata e molto pigra, che porta Rapito a vincere tutti i premi del decor (miglior trucco, miglior acconciatura, miglior scenografia e migliori costumi), secondo quella antica vulgata che vuole il film in costume come quello in cui venga fatto il lavoro migliore in quei comparti. Non è vero in generale e non è stato così quest’anno. Più accurati e complicati da centrare erano i costumi di Io capitano, più cruciale per l’esito del film l’acconciatura e la scenografia di C’è ancora domani o il trucco e le scenografie di Comandante (un sottomarino ricostruito interamente!) o ancora le scenografie di La chimera, uniche e mai viste, per non dire del trucco e delle acconciature di Adagio, forse le più sofisticate di tutte. Premiare a tappeto Rapito solo in quelle categorie non è una scelta tecnica, da specialisti, è una scelta pigra e fatta in fretta. È la stessa idea vetusta che ha fatto vincere tre premi a Palazzina LAF (Miglior attore protagonista, miglior attore non protagonista e miglior canzone), un film vecchissimo nell’impianto e caricaturale nelle interpretazione, esattamente ciò che è stato premiato. La stessa che fa vincere migliori effetti visivi a Io capitano, un film che non ne ha di complessi, contro il lavoro fantastico fatto in Comandante

Veri sconfitti invece sono stati Il sol dell’avvenire (Nanni Moretti non è mai veramente stato amato dai David) e La chimera. È la seconda volta dopo Lazzaro felice che un film di Alice Rohrwacher viene nominato in molte categorie senza poi vincere niente. Lei è l’anti-Garrone. Se lui ha un tasso di vittorie altissimo e con quasi ogni film raccoglie premi, lei mai, nonostante i successi di vendite internazionali e gli attestati di stima (veramente sentito e commovente quello espresso da Justine Triet sul palco!). Nella fase di votazione dei candidati si possono scegliere tre film per ogni categoria. Poi ovviamente nella fase di voto dei vincitori si può esprimere solo una preferenza. Sembra quindi che Alice Rohrwacher sia la seconda o terza scelta di tutti e come tale arrivi alle nomination ma poi non sia scelta per la vittoria. Nemmeno per la fotografia di Hélène Louvart, il comparto in cui di gran lunga era il miglior candidato. Ma per essere votati bisogna essere stati visti, come sempre, e l’impressione è che non tutti tutti abbiano visto La chimera. Per fortuna se c'è un film e una regista che davvero non hanno bisogno della legittimazione dei David sono La chimera e Alice Rohrwacher, hanno una vita e un successo molto superiori al circolo italiano e va benissimo che si sia preferito altro.

Continua a leggere su BadTaste