David Bowie al cinema, interprete sempre e comunque di se stesso

Artista del trasformismo e quindi attore nato, David Bowie al cinema non ha mai interpretato altro se non se stesso in diversi costumi

Critico e giornalista cinematografico


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David Bowie è sempre stato David Bowie, qualunque identità assumesse. Lo era nella musica, nonostante le tante immagini e i tanti look e nomi diversi, e lo è stato al cinema nonostante i molti ruoli diversi. Era proprio questa la sua caratteristica centrale come attore: essere sempre Bowie a prescindere dalla parte.

David Bowie al cinema è stato molto più di una presenza passeggera, è stata una costante a partire dal 1976, un elemento strano ed esterno alla vera e propria macchina filmica che veniva utilizzato non solo per la sua apparenza ma per quello che era fuori dal cinema. David Bowie in quanto David Bowie, corpo che viene da fuori e porta con sè ciò che rappresenta.

Dal primissimo lavoro di rilievo (L’uomo che cadde sulla Terra), fino all’ultima interpretazione in un film di grande incasso (The prestige), i suoi ruoli attingevano direttamente all’immaginario collettivo legato a sè. Alieno che arriva sulla Terra come Ziggy o Nikola Tesla, innovatore della scienza e audace sperimentatore del suo genere, David Bowie utilizzava un’immagine più potente di qualsiasi ruolo e la trasferiva nei film. Una presenza così forte proprio perché continuamente in transito. Era la personificazione della regola per la quale il mutamento palesa ciò che gli sfugge. Più Bowie cambiava, più era e si confermava Bowie, più appariva diverso più metteva in evidenza ciò che non cambiava. E se la recitazione è l’arte del mutamento, cambiare pelle, costume, trucco e identità, allora era il mondo che più si confaceva ad un’artista che maltollerava la fissità.

Con i suoi lineamenti spigolosi eppure armonici e lo sguardo penetrante Bowie era nato per lo schermo. Interpretare un alieno dev’essere sembrata la scelta più semplice per carriera, physique du role e immaginario. Come anche il successivo vampiro di Miriam si sveglia a mezzanotte, stiloso e androgino, ambiguo e malato pur apparendo più sano di tutti.

Il grande colpo però è forse quello che arriva con Nagisa Oshima, il vero ruolo di una vita. Furyo è un gioiello di uso di Bowie (tra i molti motivi per i quali è un gioiello). Immaginato come l’elemento perturbante, l’anomalia che arriva in un campo di prigionia e sconvolge gli equilibri per la sua presenza fisica, per la sua attrattiva ambigua, il personaggio di Bowie risveglia nel capitano del campo giapponese desideri omosessuali che non può ammettere finendone punito. Contrapposto a Ryuchi Sakamoto (allora star già famosissima della musica nipponica) è una rockstar contrapposta ad un’altra rockstar, è il simbolo della ribellione attraverso l’immagine e la presenza fisica. Biondo oro e quasi sempre silenzioso è pura presenza, parla con l’immagine. È di nuovo David Bowie, come tutti lo conosciamo che irrompe e cambia tutto.

In Labyrinth sarà il re dei Goblin, il solo altro umano in un film che in realtà è fatto di pupazzi. Nel mondo fantasy Bowie è truccato da rockstar, di nuovo è coerente con il film essendone diverso. Capelli anni ‘80, abiti di pelle, sembra pronto ad andare sul palco e cantare (nel film chiaramente canterà), è una presenza musicale in una storia che racconta d’altro e lo fa senza essere marginale! Con un look mai usato prima (e mai usato dopo) sembra comunque a suo agio, non è fuori luogo e ci dà l’impressione di averlo sempre visto così. Il motivo è perché comunque, un’altra volta, non stiamo guardando il re dei Goblin ma David Bowie che fa il re dei Goblin. Per non dire di quando in Basquiat interpreta Andy Warhol, la sola idea di Bowie che fa Warhol è l'unica in grado di rivaleggiare con quella di Bowie che fa Tesla. Associazioni che al solo dirle creano la scintilla perchè ci sono due personaggi ad unirsi, il personaggio interpretato e il personaggio-Bowie.

Forse solo Scorsese con L’ultima tentazione di Cristo, in cui lo vuole come Pilato, riesce a strapparlo a se stesso. In quel film per la prima volta si ha l’impressione di non avere davanti David Bowie ma il personaggio che interpreta. Nel suo Ponzio Pilato non c’è niente della star, della musica, del trasformismo, del rock o anche solo del ribellismo. Antitetico ad ogni caratteristica di Bowie è forse il suo unico vero ruolo recitato.
Per tutte queste ragioni la sua inspiegabile presenza in Il mio west di Veronesi, in un ruolo anche di un certo rilievo, sembra una trollata, uno scherzo. Come se anche lui sapesse chi è Veronesi, chi è Pieraccioni, chi è Alessia Marcuzzi e non vedesse l’ora di stare lì a ridere. Alla stessa maniera in cui si metteva a ridere accanto a Celentano in scenette televisive surreali o in cui trasportava in tv uno dei primissimi meme della rete che poi ispirerà Borat (dimostrando una capacità di essere già dove tutti andranno prima di chiunque altro).

https://www.youtube.com/watch?v=wmffq-t71zk

Dagli anni 2000, oltre alla già citata e bellissima parte di Nikola Tesla in The prestige e qualche comparsata o il doppiaggio del villain di Arthur e i minimei, Bowie scavalla totalmente e interpreta moltissime volte se stesso. Finalmente getta ogni maschera e fa davvero David Bowie in Zoolander, nella serie tv Extras e in Bandslam (un film che ne celebra il mito ponendolo sul podio più alto della musica). Ma anche senza comparire lo troviamo in Velvet Goldmine, Noi siamo infinito e nella canzone dei titoli di coda di Sopravvissuto - the Martian. Presenza senza presenza.

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