Dalle stalle alle stelle

Quasi tutti gli artisti più importanti vivono dei momenti di crisi. Ma c’è chi li supera brillantemente e riesce a tornare in vetta, magari più forte di prima. Ecco una classifica delle ‘resurrezioni’ più impressionanti degli ultimi quarant’anni…

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Come sempre, facciamo un po’ di chiarezza. Per rinascere, ovviamente, bisogna essere stati in crisi. Ergo, i registi e gli attori presi in esame devono per forza essere stati apprezzati, aver avuto un crollo e solo successivamente essere tornati in forma. Non si considera invece il caso di chi emerge prepotentemente dal nulla, perché ovviamente non si tratta di una rinascita.
Inoltre, non verranno presi in considerazione attori che magari sono tornati prepotentemente alla ribalta, ma solo per godersi un effimero momento di gloria. E’ il caso di interpreti come Martin Landau e Kim Basinger, che grazie a titoli come Ed Wood e L.A. Confidential hanno anche vinto l’Oscar, per poi ripiombare in pellicole insignificanti e ruoli mediocri.

Ecco quindi, senza ulteriori indugi, la nostra classifica…

6 - Christian Bale
Forse è eccessivo inserirlo in questa lista. Più che di crisi, in effetti, sarebbe meglio parlare di un momento di oblio che ha fatto seguito alla sua esplosione (da giovanissimo, appena tredici anni!) ne L’impero del sole. Come è abbastanza naturale, l’improvvisa popolarità e l’adolescenza, combinate assieme, possono creare qualche problema e infatti per qualche anno Bale lavorerà quasi esclusivamente in televisione. Ma dal 1993 inizia la lenta risalita. In quell’anno, infatti, partecipa ad una pellicola interessante come Swing Kids, per poi, l’anno successivo, essere impegnato nel nuovo adattamento (molto fortunato) di Piccole donne. Seguono quindi una serie di pellicole d’autore, magari non tutte eccezionali, ma che fanno capire che Bale non ha intenzione di svendersi in prodotti dozzinali. Nel 1996, partecipa all’ultimo buon film di Jane Campion, Ritratto di signora, mentre nel 1998 è uno dei protagonisti dello sfolgorante (anche se un po’ traballante a livello di sceneggiatura) Velvet Goldmine di Todd Haynes. Ma il film che lo riporta (meritatamente) sotto i riflettori è American Psycho. Nel ruolo (che avrebbe dovuto essere di DiCaprio) di un serial killer yuppie, Bale è agghiacciante proprio come il Jason Bateman descritto da Bret Easton Ellis. Nonostante questo exploit, forse per la prima volta nella sua carriera, Bale commette dei passi falsi, come Shaft, Il mandolino del capitano Corelli e Il regno del fuoco.
Ma ormai Bale è tornato ai vertici e ci vuole restare. La doppietta L’uomo senza sonno-Batman Begins è impressionante e non solo per la incredibile differenza fisica tra i due personaggi (nel primo infatti è dovuto scendere a circa 54 chili di peso). E le sue recenti prove in The Prestige (fantastica, vi assicuro) e in Rescue Dawn (di cui si parla un gran bene) non fanno che confermare il suo status, che è quello di uno dei migliori attori della sua generazione…

5 - Robert Altman
All’inizio degli anni settanta, Robert Altman infila una serie di film di altissimo livello, come MASH, I compari, Il lungo addio, Gang e Nashville, anche se in realtà l’unico grande successo commerciale è il primo titolo di questa lista. Altman viene annoverato nel filone della nuova Hollywood, anche se è di una generazione più vecchio degli altri registi di questo periodo. Forse, è proprio questa distanza dal gruppo dei vari Scorsese-Spielberg-Lucas-Coppola-De Palma-Milius a spiegare perché non è mai veramente andato di moda.
Nel 1980 affronta il peggior momento della sua carriera, quando Popeye viene massacrato dalla critica e considerato un fallimento. In realtà, a fronte di un budget di 20 milioni di dollari (cifra importante all’epoca), ne porta a casa 49 nei soli Stati Uniti. Ma come spesso succede, la leggenda ha la meglio sulla realtà, e negli anni ottanta Altman viene praticamente dimenticato.
Nel 1992, la svolta. Un piccolo film su Hollywood e le sue discutibili regole morali, I protagonisti, viene salutato come un capolavoro e riporta al centro dell’attenzione questo regista. Che, non contento, l’anno dopo prende una serie di racconti di Raymond Carver, crea una storia corale come quelle che lo avevano reso famoso negli anni settanta e ci regala America oggi, film non solo notevolissimo di per sé, ma anche una grande influenza per molti registi moderni (senza di esso, Boogie Nights e Magnolia di Paul Thomas Anderson non esisterebbero). E anche se, successivamente, non tutto è andato il per verso giusto (Prêt-à-Porter è meglio dimenticarlo), Gosford Park ci ha ricordato che di registi che gestiscono così bene dei cast stellari non ce ne sono molti in giro.
Quest’anno, ha ricevuto l’Oscar alla carriera. E se la morte non lo avesse colpito, avrebbe potuto dimostrare ancora il suo talento…

4 - Marlon Brando
Uomini
, Un tram che si chiama desiderio, Viva Zapata! , Giulio Cesare, Il selvaggio, Fronte del porto e Bulli e pupe. Questi sono i titoli a cui Marlon Brando ha partecipato dal 1950 al 1955. Anche se si fosse ritirato subito dopo, sarebbe tranquillamente rimasto nella storia del cinema come uno dei migliori attori di sempre. Ma Brando invece continuerà, anche se con alterno successo, a fare film, alcuni importanti (I giovani leoni, La caccia, Riflessi in un occhi d’oro), altri decisamente deludenti (tra cui La contessa di Hong Kong, l’ultima pellicola diretta da Charlie Chaplin). Ma all’inizio degli anni settanta, Brando è ormai considerato veleno al botteghino. I produttori non vogliono averci nulla a che fare, anche a causa dei suoi comportamenti bizzarri e scontrosi sul set. Così, quando Francis Ford Coppola lo proporrà come Don Corleone nel suo adattamento de Il padrino, la risposta della Paramount sarà un secco no. Servirà quindi un leggendario provino (una sorta di umiliazione per un attore che solo pochi anni prima era il re del mondo) per convincere gli scettici.
Il resto, molto banalmente, è storia, compresa l’assenza di Brando alla notte degli Oscar e una falsa indiana che ritira il premio a suo nome, denunciando le condizioni di vita della sua ‘gente’ (si fa per dire). Nel corso degli anni settanta, Brando parteciperà a pochissime pellicole, ma quasi tutte importanti, come Ultimo tango a Parigi, Missouri, Superman e il leggendario ruolo di Kurtz in Apocalypse Now.
Vengono i brividi a pensare che tutto questo (o quasi) non ci sarebbe stato senza quel provino in cui l’attore si riempì la bocca di kleenex…
 

3 - Steven Soderbergh
Il suo esordio, Sesso, bugie e videotape, sconvolse l’industria e il mondo del cinema indipendente nel 1989. Wim Wenders, quell’anno presidente di giuria al Festival di Cannes, rimase talmente conquistato dalla pellicola, che in primo tempo spinse per assegnarle tutti i premi disponibili (poi, tornato in sé, si ‘accontentò’ di miglior film e miglior attore). Come tanti film d’esordio molto acclamati, anche Sesso, bugie e videotape venne sopravvalutato, ma è impossibile disconoscerne il valore artistico e l’importanza all’interno dell’industria cinematografica.
Come spesso capita a registi giovani, l’eccessivo entusiasmo può far male. Il successivo Delitti e segreti (Kafka in originale) è un pasticcio poco convincente, mentre Piccolo, grande Aaron e Torbide ossessioni passano praticamente inosservati. Il momento di confusione del regista viene spiegato (o forse meglio, analizzato) in Schizopolis, pellicola da lui scritta e interpretata.
Sembrerebbe che Soderbergh sia un caso senza speranze, ma nel 1998 arriva Out of Sight. Curiosamente, anche se ora è considerato un piccolo classico (e non solo per le scene di George Clooney e Jennifer Lopez insieme), all’epoca fu un mezzo flop. Ma, grazie anche al successivo L’inglese, dimostrava che Soderbergh non si era bevuto il cervello e che era ancora in grado di fare film interessanti.
Il 2000, in effetti, è da incorniciare. Traffic ed Erin Brockovich sono due grandi successi. E se il primo è forse più coraggioso e visivamente innovativo, il secondo è tutto quello che dovrebbe essere Hollywood: trama solida, attori perfettamente in parte e regia intelligente con lampi visionari. Così, arriva anche il successo agli Oscar, con il premio a Julia Roberts ma soprattutto le due candidature come regista grazie ad entrambi i film (a memoria, credo che soltanto Coppola sia riuscito nell’impresa, grazie a La conversazione e Il padrino parte seconda) e la vittoria per Traffic.
Non soddisfatto, Soderbergh decide che è il momento di riunire un cast sconvolgente di all-stars (cosa che non si faceva più, per ragioni di budget), facendo lavorare tutti a percentuale e dando vita a Ocean’s eleven. Risultato? Un trionfo al botteghino.
In questi ultimi anni, Soderbergh ha fatto film belli e brutti (talvolta, semplicemente, inutili, come Full Frontal o l’episodio di Eros). Ma la sua grande prolificità gli ha permesso di provare, rischiare e soprattutto migliorare come regista. Andatelo a spiegare a Quentin Tarantino, che ci mette secoli per fare un film, e che è in devoluzione costante…

2 - John Travolta
Leggenda vuole che Quentin Tarantino abbia deciso di non vedere la serie di Senti chi parla per non assistere al crollo del suo idolo. Probabilmente la storia è falsa (Tarantino si vede qualsiasi schifezza, perché non questa commediola innocua?), ma è decisamente ben raccontata, perché in effetti, anche se quei film hanno ottenuto risultati notevoli, si parlava del periodo peggiore nella carriera di John Travolta.
Dopo essersi fatto notare nel 1976 in Carrie, lo sguardo di Satana, infila due pellicole di enorme successo come La febbre del sabato sera e Grease. Difficile trovare in quel momento un interprete più popolare di Travolta, che ovviamente, come tanti casi simili, si ritrovò a gestire un successo imprevisto.
In realtà, nonostante tutti facciano finta di dimenticarlo, alcune pellicole successive di Travolta sono decisamente interessanti, come Urban Cowboy e Blow Out. Il problema è che in questo periodo Travolta rifiuta numerosi progetti importanti (come American Gigolo e Ufficiale e gentiluomo, che faranno la fortuna di Richard Gere). Ma gli insuccessi e il calo di popolarità lo spingono ad andare sul sicuro, tornando alle pellicole danzerecce. Scelta pessima, soprattutto considerando che Staying Alive, il sequel de La febbre del sabato sera, diretto da Sylvester Stallone (!), viene massacrato da tutti e non arriva ad incassare la metà del suo predecessore. Non va meglio con i vari Due come noi (in cui ritrova la partner di Grease, Olivia Newton-John) e Perfect, mentre il già citato Senti chi parla si fa notare per i buoni incassi, più che le prove degli attori.
Insomma all’inizio degli anni novanta Travolta sembrava buono per ruoli poco impegnativi e in film decisamente mediocri. Ma non avevamo considerato l’ossessione di Quentin Tarantino, che lo vuole per il suo Pulp Fiction e lo riporta sulla cresta dell’onda. Poco importa che Travolta perderà l’Oscar con Tom Hanks, perché gli anni successivi saranno pieni di film di grande successo, come Get Shorty, Broken Arrow, Phenomenon, Michael e Face/Off. Ottima anche la scelta di mettersi al servizio di Terrence Malick per il suo La sottile linea rossa (il fatto che poi il suo ruolo venga quasi completamente cancellato al montaggio è un altro discorso).
Insomma, Travolta è riuscito a tornare il golden boy americano, amato da pubblico e critica. Poi, le porcate fatte dal 2000 in poi (tra cui Battaglia per la terra e Codice: Swordfish) facciamo finta di dimenticarle. Sperando che non serva un’altra pellicola di Tarantino per farlo tornare (nuovamente) in forma…

1 - Clint Eastwood
Tutti i nomi citati in precedenza, sono riusciti nell’impresa di rinascere dopo UN periodo di oblio. Eastwood ha fatto lo stesso, ma per ben DUE volte ed ecco perché è impossibile assegnare ad altri il primo posto della classifica. La prima impresa degna di Lazzaro avviene all’inizio degli anni novanta. Dopo l’ottimo Bird (1988), nel 1990 escono due pellicole di Eastwood: se la prima, Cacciatore bianco, cuore nero, è apprezzata ma non ottiene grande successo, tutta la critica è unanime nello stroncare La recluta. Qualcuno pensa che Eastwood non sia più in grado di fare un buon film, ma in realtà sta preparando il periodo migliore della sua carriera. Infatti, nel 1992, Gli spietati reinventa il genere western e fa incetta di Oscar. Se possibile, le pellicole immediatamente successive sono anche migliori. Un mondo perfetto è forse l’ultima grande interpretazione da protagonista di Kevin Costner, mentre I ponti di Madison County è uno dei migliori melodrammi degli ultimi vent’anni, con un’accoppiata (Meryl Streep e lo stesso Eastwood) da brividi.
Poi, qualcosa si inceppa. Il livello qualitativo scema decisamente, fino ad arrivare un punto di incredibile bruttezza, quel Debito di sangue che è uno dei film più idioti mai realizzati. Lì, a 72 anni, si pensava che la carriera di Eastwood fosse effettivamente finita. Invece, il nostro decide di tirar fuori due pellicole come Mystic River e Million Dollar Baby, tra le più acclamate e premiate agli Oscar degli ultimi tempi (a mio avviso, magari un po’ troppo, ma tant’è…). E se anche il recente Flags of Our Fathers è decisamente deludente, l’idea di realizzarlo assieme alla versione ‘giapponese’ della storia, Letters from Iwo Jima, è molto intrigante. Insomma, se non avete capito, non è proprio il caso di darlo per finito, magari ‘solo’ perché ha 76 anni…

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