Dal libro al film: i cambiamenti di Eragon

Molti appassionati sono rimasti delusi dalle modifiche della pellicola, ma in realtà c’erano delle valide ragioni per non attenersi fedelmente al libro, anche se non sempre i risultati sono buoni. Scopriamo il lavoro che è stato fatto… SPOILER

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E’ divertente vedere come certe situazioni si ripetano sempre. Solo qualche anno fa (in altri siti) si dibatteva sui cambiamenti effettuati dagli sceneggiatori de Il Signore degli Anelli nel passaggio dal romanzo al grande schermo. Ora, il caso si ripete con Eragon ed è quindi meglio fare chiarezza sul perché di certe (vituperate) scelte.
Iniziamo subito dal dire che le due situazioni sono simili soltanto nel punto di partenza (due romanzi fantasy molto popolari portati sullo schermo), ma decisamente diversi nei risultati finali (un capolavoro, anche di sceneggiatura, contro un film mediocre in quasi tutti i suoi aspetti). Il fatto è che, comunque, i problemi della trasposizione di Eragon non hanno molto a che vedere con l’adattamento (che in generale è accettabile), quanto con tanti altri aspetti del film (di cui abbiamo parlato nella recensione).

Da qui, partono gli Spoiler (non proseguite la lettura se non volete conoscere maggiori dettagli sulla trama). In generale, la sorpresa maggiore è il fatto che un prodotto del genere duri un’ora e quarantacinque scarse. Ma come, protestano gli appassionati, sarebbe bastato aggiungere una mezz’oretta, si sarebbe potuto tagliare molto meno e magari approfondire alcune situazioni. In realtà, non è così semplice.
Il grosso problema (almeno, non di per sé, ma nella trasposizione cinematografica sicuramente) del romanzo, è che per tre quarti si tratta di un viaggio erratico con uno scopo preciso (trovare i responsabili della morte dello zio di Eragon), che però viene abbandonato ad un certo punto e ‘sostituito’ con il tentativo di trovare i Varden. Tutto questo, non perché si è scelto definitivamente di unirsi alla ribellione, ma per salvare Arya. E senza dimenticare che la battaglia conclusiva, anche se monumentale, non è certo la fine della guerra, ma soltanto l’inizio e che quindi, per forza di cose, questo film (come dimostra anche la scena finale) è soltanto una sorta di introduzione.

Insomma, le difficoltà non sono poche in questo senso ed è perciò comprensibile che sia stato del tutto accantonato il viaggio in cerca di vendetta (che peraltro significherebbe gettarsi nelle grinfie dei propri nemici) e sostituito, fin da subito, con il tentativo di aggregarsi ai Varden.
Un cambiamento sintomatico del clima nel mondo di Alagaësia (e che mi è piaciuto molto) riguarda il fratello acquisito di Eragon, Roran. Invece di abbandonare la famiglia per trovare lavoro (e così potersi sposare), come avviene nel romanzo, il giovane decide di partire per impedire l’arruolamento forzato. E’ una scelta molto interessante, perché in questo modo ci viene mostrato un effetto tangibile della tirannia sui protagonisti e rimane nello spettatore una nota molto più amara di quella rappresentata nel libro (in cui la partenza rappresentava la speranza di trovare una vita migliore).

Per quanto riguarda Galbatorix, si era discusso della sua presenza nel film, considerando che nel primo libro viene soltanto nominato. In realtà, le scene con John Malkovich sono 3 o 4, piuttosto brevi, e non fanno che descrivere visivamente i suoi piani verso Eragon e in generale verso la terra di Alagaësia, oltre ad introdurre un personaggio fondamentale. Qualsiasi cosa si pensi dell’interpretazione di Malkovich (io sono piuttosto critico), la sua presenza non è certo un cambiamento epocale e importante.

Ha anche lasciato perplessi la crescita improvvisa di Saphira, che nel giro di un volo diventa enorme. Ora, forse la scena non è venuta benissimo (come tante altre, purtroppo), ma l’idea non è così folle. Intanto, perché le esigenze della storia non permettono certo di passare troppo tempo a vedere la sua crescita, senza che nel frattempo avvenga nulla di importante. Inoltre, è sempre il caso di ricordare che i draghi sono delle creature magiche, non certo degli animali comuni: nulla vieta di decidere di farli crescere in un amen (cosa che ovviamente sarebbe ridicola per un cane o un gatto).

Un’altra cosa che, a mio avviso, funziona meglio è la rivelazione del passato di Brom. Nel libro, è chiaro a tutti fin da subito che Brom è stato un Cavaliere dei draghi, così l’ingenuità di Eragon risulta francamente poco credibile. Nel film la situazione viene gestita meglio, così quando si arriva alla scoperta del suo passato, la rivelazione (anche se magari non è sorprendente) non è neanche così scontata.

I problemi di sceneggiatura (e soprattutto di utilizzo del materiale, fatto dal regista), in realtà, sono visibili soprattutto nella seconda parte.

Quello che rende molto diverso il film è sicuramente il viaggio che compiono Eragon e Brom per scappare dalle forze di Galbatorix e raggiungere i Varden. In effetti, c’è ben poco (anzi, quasi nulla) degli eventi narrati nel libro. Il fatto è, come già detto, che la ricerca nel romanzo aveva uno scopo (scoprire gli assassini dello zio di Eragon), mentre qui l’unico obiettivo era quello di raggiungere una meta ben precisa. Non aveva quindi senso farsi vedere in città e posti abitati e per questa ragione non c’è traccia di Yazuac, Daret, Teirm, di personaggi come Jeod e di situazioni come le lezioni di lettura (che non avrebbero senso in questa vicenda). Invece, vediamo molto brevemente l’indovina Angela, in una scena francamente inutile, considerando che non la ritroveremo dai Varden. Spiegate le ragioni di questa scelta generale, non si può evitare di far notare la poco efficacia di alcune situazioni, soprattutto perché non si ha nessuna idea del mondo che fa da sfondo alla storia (e che per questo diventa meno credibile), così come (soprattutto) non si riesce proprio a credere che Eragon si evolva da contadino ad eroe (tanto che l’unico sistema per convincere il pubblico è farlo ripetere dai vari personaggi, come Angela o Arya).

A proposito di Arya, come era prevedibile, ci sono delle modifiche al suo personaggio, che non rimane in stato ‘comatoso’ fino all’arrivo dai Varden come nel libro. L’idea ha una sua efficacia, perché permette ai protagonisti di avere qualche scena insieme dopo la fuga e non ridurre Arya ad un fardello da portare in giro, cosa che ovviamente al cinema funziona decisamente poco. Peraltro, abbiamo già Eragon e Saphira che comunicano telepaticamente, un altro rapporto con dialoghi ‘alternativi’ sarebbe decisamente pesante per lo spettatore comune.
Sempre collegata ad Arya, c’è la decisione di mostrare Durza che attira in una trappola Eragon utilizzando proprio l’elfa. Tutto deriva dalla scelta iniziale: se Eragon e Brom non si fanno vedere in giro, è evidente che il giovane cavaliere non può essere catturato e finire per caso in una prigione insieme ad Arya (peraltro, non certo uno dei punti di forza del libro, considerando che due personaggi così importanti non vengono sorvegliati adeguatamente). Ecco quindi che questa scelta permette di ritrovare tutti i protagonisti nello stesso posto. Il vero problema non è tanto che Eragon disobbedisce a Brom in maniera troppo irruenta, anzi il fatto che nel film vengano aumentati i contrasti tra i personaggi è una buona scelta (nonché una necessità cinematografica), quanto nel mostrarlo così ingenuo da credere di poter fare tutto da solo. Peraltro, l’arrivo improvviso di Brom, che salva il giovane ma viene ferito a morte, risulta francamente poco credibile (come ha fatto ad arrivare così presto?) e si trasforma in un deus ex machina di basso livello.

Ci sono poi tante piccole scelte che evitano di dover ripetere due volte la stessa informazione. Per esempio, Murtagh non rivela ad Eragon chi è veramente perché dovrà ovviamente farlo dai Varden e sarebbe quindi superfluo (nonché cinematograficamente sbagliato).
Invece, la parte dai Varden non funziona, anche se è difficile individuare precisamente i responsabili (o meglio, considerando il suo status, alla fine è sempre il regista). Il problema non è tanto l’assenza di personaggi come i Gemelli (che magari avrebbero reso la trama più complicata, senza avere un peso importante nella vicenda), quanto l’assoluta mancanza di caratterizzazione di questo popolo. Non si ha minimamente l’idea della sua struttura sociale e gli abitanti sembrano soltanto delle figure sullo sfondo, tanto che quando infuria la battaglia non c’è nessun interesse a mostrare i poveri civili (come invece aveva fatto magnificamente Peter Jackson ne Le due torri). In realtà, non è chiaro neanche che buona parte degli abitanti siano nani, ma questo forse non è una cattiva idea. D’altronde, si tratta di nani bravissimi a costruire delle città sotterranee: dove l’ho già sentita questa storia?

Insomma, mi sembra abbastanza evidente che la maggior parte delle modifiche siano giustificate da semplici esigenze cinematografiche, anche che se ovviamente non tutto funziona bene. Ma francamente, se proprio è necessario, non sparerei sul pianista-sceneggiatore Peter Buchman, ma direttamente al direttore d’orchestra-regista Stefen Fangmeier

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