Da Venezia agli Indipendent Spirit Awards?
Venezia 67: si inizia con Happy Poet, che potrebbe ottenere grandi consensi anche nei prossimi mesi. Decisamente sbagliato invece Le Bruit des Glaçons; presentato il corto di Jafar Panahi e Aurelio De Laurentis punta al 3d... con Totò!
Rubrica a cura di ColinMckenzie
Ammetto che fino a oggi pomeriggio Il Più Comico Spettacolo del Mondo non mi era familiare come titolo. Lo è diventato quando Aurelio De Laurentiis, in una conferenza legata a un premio ricevuto da Variety, ha spiegato di aver intenzione di restaurare e distribuire questo vecchio film di Totò, il primo esempio di 3D in Italia. Idea che sicuramente susciterà molto interesse da parte dei mass media, anche se qualche dubbio sui risultati effettivi sorge naturale. Per il resto, il boss della Filmauro ha rivelato che si sta ancora ultimando la sceneggiatura di Manuale d'Amore 3 e per questo la notizia di Robert De Niro nel cast non ha ancora avuto riflessi sulle vendite estere.Tuttavia, De Laurentiis ha intenzione presto di tornare a Los Angeles, ma anche di lavorare con registi cinesi, indiani e brasiliani, evidentemente territori che interessano molto al Presidente del Napoli (e chiamalo scemo...). In effetti, oltre a qualche aneddoto divertente, l'impressione è di trovarsi di fronte a uno dei pochi produttori italiani in grado di guardare oltre il Grande Raccordo Anulare.
GIORNATE DEGLI AUTORI
Intanto, il Festival inizia con alcuni film delle Giornate degli Autori, decisamente di livello altalenante.
L'evento del giorno è ovviamente la presentazione del cortometraggio di Jafar Panahi, anche semplicemente per le ovvie implicazioni politiche, considerando che all'epoca del Festival di Cannes il realizzatore si trovava in cella. Diciamo che la storia di The Accordion, con una fisarmonica protagonista di una vicenda che parla di religione in maniera sottile, è apprezzabile più per il fatto di essere stato realizzato e adesso proiettato da noi, che per il risultato effettivo, una piccola parabola sulla tolleranza e la non violenza senza infamia e senza lode.
Ma il film che rischia di utilizzare Venezia come trampolino di lancio è Happy Poet. Cinema Indipendente con la I maiuscola, che sembra uscito dagli anni novanta, una sorta di Hal Hartley vent'anni dopo (soprattutto all'inizio per il tono stralunato e le musiche ultraminimaliste). Protagonista un idealista che vuole lanciare un punto di vendita di panini biologici, mentre tutti i possibili finanziatori (in colloqui esilaranti) gli spiegano che sarebbe molto meglio puntare sui commercialissimi hot dog.
Eppure, il protagonista crede veramente alla strada intrapresa, nonostante le tante difficoltà a vendere tofu e verdure piuttosto che gli amatissimi salsicciotti. Il risultato è che sembra di vedere un documentario come Food, Inc trasformato in pellicola di fiction, ma che senza lezioncine pedanti ci spiega i problemi commerciali di un'attività del genere (come, molto semplicemente, l'alto costo delle materie prime rispetto ai cibi tradizionali). Merito anche di un protagonista (ossia lo stesso regista Paul Gordon) che sembra veramente possedere dentro di sé tutte le insicurezze e le difficoltà di comunicare del suo personaggio.
In tutto questo, non manca una bella congrega di schizzati che attorniano il protagonista nel suo sogno, ma senza risultare troppo ruffianamente simpatici (anzi). E il finale, anche se un po' forzato, è il frutto di situazioni che non eccedono in trionfalismi. Forse, a trovargli un difetto potremmo pensare che gioca su territori abbastanza noti a chi il cinema indipendente non lo ha scoperto con la Fox Searchlight. Ma avercene di prodotti del genere...
Sicuramente la delusione maggiore è Le Bruit de Glaçons di Bertrand Blier, che sembra un classico film francese pieno di stereotipi. La storia è chiaramente di impostazione teatrale (e forse funzionerebbe meglio sul palcoscenico), con un concept intrigante: un uomo viene visitato dal suo cancro, che ha sembianze umane, ma che può essere visto solo dal protagonista.
Basta poco tempo per capire che l'idea non è sufficiente per reggere un lungometraggio, anche perché il modo di allungare il brodo risulta chiaramente inefficace. Intanto, la scelta di confondere (poco abilmente) realtà e finzione non è certo originale, con la banale metafora di un protagonista scrittore che si interroga se questo tipo di racconto funzioni o meno.
Ovviamente, non mancano diverse relazioni sentimental-sessuali tra i protagonisti, che sembrano più un tentativo di mandare avanti in qualche modo la storia, che un vero modo di approfondire i personaggi. In generale, dovrebbe emergere un enorme senso di solitudine, che però diventa irritante quando ci dobbiamo sorbire il monologo della giovane bonazza russa che si lamenta della sua situazione (???).
E come spesso succede, il finale butta tutto in caciara, prima con diversi momenti di puro ridicolo involontario e poi con una trovata a effetto particolarmente scema. Decisamente difficile capire l'entusiasmo di certa critica francese verso questo prodotto...
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