Da Commando a John Wick: l’evoluzione dell’eroe action in sette mosse

Che cosa collega Commando con Arnold Schwarzenegger a John Wick con Keanu Reeves? Ecco com’è cambiato l’eroe action negli anni

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Uno dei vantaggi di avere a disposizione una vasta gamma di servizi di streaming e relativi cataloghi è la possibilità di costruirsi dei percorsi personalizzati all’interno della storia del cinema, piccole maratone che in poche mosse raccontano l’evoluzione di un genere, o la carriera di un’attrice, magari la cinematografia di questo o quel Paese che non siano gli Stati Uniti. L’arrivo di Commando su Star, per esempio, e il conseguente ingresso ufficiale di Jenny Matrix nel novero delle principesse Disney, non è solo una bella notizia per chi ama le esplosioni e le montagne di cadaveri, ma è anche un’ottima scusa per costruire un, chiamiamolo così, percorso culturale nell’evoluzione dell’eroe action (inteso come maschio: per le femmine serve un altro pezzo a parte) da Schwarzenegger a oggi. Qui sotto proviamo a spiegarvi perché proprio Commando e non Conan o Terminator, e perché questo percorso si conclude (per ora) dritto tra le braccia del Keanu Reeves di John Wick.

Affinità e divergenze tra Commando e Rambo 2

Prima di cominciare un’avvertenza forse superflua: ovviamente il sentiero che stiamo per imboccare non è l’unico possibile, non ha pretese di esaustività e ci obbligherà a escludere molti più film di quelli che possiamo segnalare. È un discorso che vale in realtà per qualsiasi espressione artistica: ci piace immaginare che si possa tracciare una linea retta che parte da A e arriva a B senza mai sgarrare, ma la realtà è sempre più complessa di così, generi e sottogeneri si intrecciano, i tempi si confondono, e ogni volta che vedete scritta una cosa come “X è il primo film della storia che...” sapete già che ci sono ottime probabilità che si tratti di una semplificazione e che esista almeno un film Y che è arrivato prima ma non è riuscito a farsi notare altrettanto.

Articolo in collaborazione con SkyCiò detto, è innegabile che, parlando di cinema action, esista un mondo pre-Schwarzenegger e un mondo post-Schwarzenegger, proprio come esiste un mondo pre-Stallone e uno post-Stallone. Ma se Sly è sempre stato sì un grande atleta con un corpo scolpito, ma anche una persona tutto sommato normale che è diventata così grazie all’applicazione e al duro lavoro (una caratteristica che si riflette in tutti i suoi personaggi più noti, da John Rambo a Rocky), l’ex governatore della California ed ex Mr. Universo è sempre stato un esemplare eccezionale, una creatura immensa, imponente, per lunghi anni più grossa anche di lui stesso – rispetto a Stallone, Schwarzenegger ci ha messo molto di più a farsi accettare anche come attore e non solo come statua umana. E Commando è un punto di svolta perché è il primo film nel quale le sue dimensioni, il suo essere un supereroe in carne e ossa, arrivano a influenzare in maniera decisiva la trama e la messa in scena, e a trasformare la storia di un ex soldato che deve liberare la figlia rapita in un’orgia di violenza ed esplosioni, gigantesca come il suo protagonista e talmente esagerata da ballare sul sottile filo che separa un film dalla sua parodia.

Commando

Rambo II, uscito nello stesso anno, faceva in un certo senso la stessa cosa: prendeva un personaggio normale e ne alzava reaganianamente il volume a 11, trasformando l’ex veterano con il PTSD in una macchina da guerra. Ma lo faceva con la massima serietà, mantenendo intatti pregi e difetti del suo eroe. Commando no. Commando creava la macchina da guerra perfetta e ci appiccicava sopra i muscoli di Arnie. Non c’è un singolo momento di Commando nel quale dubitiamo che alla fine vincerà lui: John Matrix è un supereroe prima che i supereroi diventassero di moda al cinema, ed è, se non il primo, sicuramente il più importante di una lunga stirpe che caratterizzerà tutto il cinema action degli anni Ottanta, da Van Damme a Seagal.

Trappola di cristallo, Arma letale e gli eroi sfigati

Dall’altra parte della barricata, sempre nello stesso decennio ma qualche anno dopo, succede una cosa che oggi ci sembra normale, ma che al tempo era una scommessa improbabile che pochissimi avrebbero accettato. Un giovane attore brillante e noto per il suo ruolo nella divertentissima serie TV Moonlighting viene scritturato per un ruolo che in origine era stato pensato per Frank Sinatra, e poi sarebbe dovuto andare a uno tra Sylvester Stallone, Clint Eastwood, Harrison Ford, Mel Gibson e Arnold Schwarzenegger. Il ruolo è quello da protagonista in un film che si intitolerà Trappola di cristallo (in originale Die Hard), e il giovane attore è Bruce Willis; non ha il fisico di Stallone o di Schwarzenegger, ma ha il carisma e la capacità di abbandonarsi completamente a un ruolo non suo (non ancora, almeno), e in questo modo ridefinisce il concetto di “eroe action” proponendo un’alternativa al superuomo di Commando: l’uomo qualunque, che messo alle strette scopre risorse inaspettate e riesce a sconfiggere i cattivi di turno. Una visione dell’eroe action che filtra anche nel thriller e nel poliziesco: pensate al mel Gibson di Arma letale, per esempio, o a Bruce Willis (ancora lui) in L’ultimo boy scout.

Action Die Hard

Batman e i supereroi

Mentre il mondo dell’action continua a ripetere quasi sempre gli stessi schemi, e gli unici a provare a romperli sono quelli che hanno contribuito a crearli (pensate a True Lies o Last Action Hero), silenziosamente c’è un tizio con i capelli strani che lavora per fare quello che i Superman di Richard Donner non erano riusciti del tutto a fare: farci dimenticare i supereroi Arnold-iani e farci innamorare dei supereroi veri. Il primo Batman di Tim Burton non è necessariamente un film d’azione, non del tutto almeno (il secondo non lo è e basta), e Michael Keaton è eroe action ancora più improbabile di quanto lo fosse Bruce Willis ai tempi di Trappola di cristallo, ma il successo del film, che ha contribuito in maniera decisiva ad aprire la strada a tutto quello che è accaduto e continua ad accadere in ambito “supereroi al cinema” lo rende un passaggio fondamentale anche per il resto del cinema d’azione.

Che fin lì ci aveva abituato ad atleti veri e veri stunt, e che invece grazie a Batman si apre sempre di più a interventi esterni ed effettistica varia (prima pratica, poi digitale): il modo migliore per coinvolgere finalmente nel genere anche attori che non sono in grado di fare quello che gli viene richiesto dal copione in termini atletici, ma che compensano con il carisma e una lunga serie di aiutini di ogni tipo. Pensate a Liam Neeson in Darkman, o anche, uscendo dal recinto dei supereroi, alla coppia Patrick Swayze-Keanu Reeves in Point Break, all’onnipresenza di Harrison Ford o al travolgente successo di Will Smith da Bad Boys in avanti. Per riassumere, quindi, gli anni novanta dell’action hanno una doppia anima: da un lato i vecchi eroi ottantiani resistono e spesso rilanciano, dall’altro i nuovi eroi smettono di essere atleti per puntare sul carisma e sul talento attoriale, e riescono a fare quello che fanno (sparatorie, inseguimenti, acrobazie, risse) grazie alla mai troppo lodata Magia del Cinema.

Matrix

Matrix e le influenze orientali

Tutto questo cambia, ma in realtà non cambia per nulla, grazie a un altro film con Keanu Reeves, che ora della fine del percorso scopriremo essere uno degli insospettabili eroi dell’action americana. Per parlare di Matrix, però, occorre prima ribadire una cosa che abbiamo già accennato sopra: il percorso che stiamo facendo non è esaustivo, e per esempio sta escludendo completamente il cinema orientale per concentrarsi su quello americano. Questo perché parlare di action che viene da Hong Kong, dal Giappone, dall’Indonesia, servirebbe un’enciclopedia: mentre da noi decidevamo se fosse meglio Bruce Willis o Patrick Swayze, dall’altra parte del mondo avevano Jet Li, Jackie Chan, Donnie Yen, John Woo che si reinventava il genera a ogni film... e questo solo per citare i primi nomi che vengono in mente pensando a Cina e Hong Kong.

Il punto è che fuori da Hollywood si faceva del gran cinema action da anni, ma ci volle lo sbarco di John Woo perché se ne accorgessero anche in America. Se ne accorsero in particolare Lana e Lilly Wachowski, che con Matrix presero un po’ di sana fantascienza americana di radice gibsoniana e la immersero in un bel bagno di wire fu e film di arti marziali orientali. Da un lato fu un bene, perché improvvisamente anche a Hollywood si resero conto di quanto avessero ancora da imparare in termini di coreografie e messa in scena. Dall’altro, l’insistenza sull’aiuto tecnologico invece che sull’atletismo dei protagonisti ha creato un po’ un mostro: se anche Keanu Reeves può saltellare come Donnie Yen grazie a dei cavi (o ai doppi digitali), allora significa definitivamente che chiunque può girare un film action – che è poi il motivo per cui negli anni hanno provato a rifilarci di tutto, da Matt Damon ad Antonio Banderas.

Tom Cruise

Tom Cruise and the Rise of the Old Action Man

È incidentalmente anche il motivo per cui a un certo punto una serie di, passateci il termine, potenziali eroi un po’ attempati hanno cominciato a prendersi la loro rivincita sul tempo che passa e sono arrivati quasi a monopolizzare l’action per anni. Liam Neeson da Io vi troverò in avanti. Samuel L. Jackson e Denzel Washington. Bruce Willis, che non ha mai smesso di sparare. Ron Perlman. Di recente persino Bob Odenkirk ha dichiarato di essersi allenato per due anni per farsi da solo tutti gli stunt di Nobody. E soprattutto c’è lui, l’indistruttibile, l’inossidabile, l’uomo che saltava sui divani, quello che si lancia dagli elicotteri e che ora vuole girare un film nello spazio: Thomas “Tom” Cruise Mapother IV, che a ogni nuovo film ridefinisce il concetto stesso di “eroe action” facendo cose che su altri set sarebbero vietate per contratto anche agli stuntmen. Volendo, questo ramo del percorso potrebbe essere visto come un vicolo cieco: dopo Tom Cruise non c’è nulla, nessuna evoluzione, nessuna eredità. Solo altro Tom Cruise, all’infinito.

Il caso Fast and Furious

Uscito nel 2001, Fast and Furious non sarebbe dovuto diventare quello che poi è diventato. Innanzitutto era un film di macchine e inseguimenti, un genere che in quegli anni era considerato ormai fuori moda (non a caso sempre nel 2001 esce l’ottimo Driven con Stallone e viene ricevuto malissimo). Poi perché, più grazie a Vin Diesel che a Paul Walker, sembrava un ritorno a una certa muscolarità estrema e un po’ forzata che nel 2001 poteva risultare fuori tempo massimo. Infine perché una cosa è il successo e quindi l’inevitabile sequel, un’altra è arrivare a nove film + spin-off e alla top ten dei franchise di maggior successo di sempre. Merito di Vin Diesel, rivisitazione ironica ma non troppo del modello stalloniano, e merito della famiglia, di quest’idea corale del film action che non ha più al centro l’eroe solitario ma un gruppo di persone che si vogliono bene al di là dei legami di sangue – idea che aiuterà anche il cinema di supereroi a diventare il colosso che è oggi, peraltro.

Per favore non toccate il cane di John Wick

Visto? Ve l’avevamo detto che Keanu Reeves sarebbe tornato una terza volta. John Wick è un miracolo inaspettato, ed è tutto merito di Chad Stahelski e David Leitch. I quali sono cresciuti nel mondo degli stunt (Stahelski è quello che vedete in Il corvo in tutte le scene girate post-morte di Brandon Lee, per dire) e con la passione per il cinema di Hong Kong, ma invece di portarselo in America sotto forma di cavi e altri trucchetti l’hanno fatto a suon di pugni e calci volanti. John Wick è un action semplice e drittissimo che punta tutto su coreografie spettacolari ma credibili e su una regia che mette finalmente in soffitta la confusione (modello Bourne, per intenderci) per concentrarsi sulla leggibilità dell’immagine – qualcosa che aveva già fatto tre anni prima il gallese Gareth Evans con The Raid, peraltro, ottenendo però un decimo del successo di John Wick.

E questo approccio semplice e insieme rivoluzionario ha fatto la fortuna, sia di Stahelski e Leitch sia di tutto il genere, al cinema e anche in TV: è grazie a John Wick se abbiamo, per esempio, la scena del corridoio di Daredevil, o se qualcuno si è preso la briga di ingaggiare Charlize Theron per Atomica bionda. Ed è grazie a John Wick se l’action è tornata ad assomigliare a quella genuina e fieramente esagerata degli anni Ottanta. Quella di Commando, appunto.

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