Cruel Intentions faceva Saltburn già 25 anni fa
#CruelIntentions, la versione teen di Le relazioni pericolose, compie un quarto di secolo: auguri a un culto generazionale
Cruel Intentions uscì nei cinema il 5 marzo 1999
Cruel Intentions e Saltburn
L’abbiamo piazzato nel titolo per cui ci sembra giusto partire da qui. Parlando del suo Saltburn, che (vi sia piaciuto o meno) ha fatto parecchio parlare di sé nei mesi scorsi, Fennell ha citato una lista di fonti di ispirazione più o meno evidenti, e quasi tutte letterarie, ma ha anche aggiunto il titolo di un film di culto per una come lei nata nel 1985: Cruel Intentions, appunto, debutto alla regia dell’allora sceneggiatore Roger Kumble.
“Era esagerato, malizioso, autoconsapevole. Era un film che sapeva di essere incredibilmente sexy. Al tempo siamo impazziti. E non solo perché Ryan Philippe era il più bell’uomo mai visto con addosso un maglione a collo alto, ma anche perché potevamo vedere Buffy l’ammazzavampiri nei panni di un bomba sexy bruna e cattiva”. In questo momento di fangirlismo è contenuta una grande verità su Cruel Intentions: avrebbe anche potuto scriverlo una banda di gibboni e sarebbe risultato comunque efficace, perché è quasi un film sullo starpower, o quantomeno un film perfettamente consapevole di avere per le mani attori giovani, famosi e soprattutto belli, che la gente guarderebbe anche se stessero immobili come manichini e che quindi al tempo era particolarmente felice di vedere in ruoli inusuali e soprattutto piccanti.
Sarah Michelle Gellar e il resto del cast
Ora, è possibile che questo paragrafo sia in parte dettato da inevitabili preferenze personali, ma vi assicuriamo che abbiamo fatto il possibile per muoverci esclusivamente su un piano critico. Il punto è: il cast di Cruel Intentions è composto da un efebico bellone che poi con gli anni dimostrerà di non avere abbastanza talento da reggere il salto di qualità (Ryan Philippe, che ora è finito a fare thriller britannici a basso budget), e da una serie di belle che coprono più o meno tutto lo spettro estetico della donna bianca universitaria sexy di fine anni Novanta. Selma Blair è quella bella che non sa di essere sexy, ingenua e quasi virginale ma non per questo sessualmente bloccata. Reese Witherspoon è l’oggetto del desiderio irraggiungibile in quanto manifestamente virginale, e dunque è bionda e va portata sulla retta/storta via con un po’di convincimento.
Sarah Michelle Gellar, invece, è la villain del film, quella che muove tutti i fili (nella costante gara con il fratellastro a chi domina chi, lei esce quasi sempre vincitrice), e soprattutto quella che incarna la scelta di essere consapevolmente sexy; il personaggio che trasforma il suo fascino in un’arma, con in più quel tocco libertino dato dal suo genuino amore per il sesso in quanto tale. Sarà perché è quella che ha le scene più estreme e pruriginose, sarà perché vederla così clamorosamente fuori parte (in confronto a Buffy ma non solo) al tempo fu il più grosso degli shock culturali provocati da Cruel Intentions, fatto sta che Blair e Witherspoon un po’ scompaiono di fronte alla fu ex cheerleader bionda ammazzavampiri, e alla sua Kathryn Merteuil. Del confronto con Ryan Philippe invece abbiamo già detto, e non intendiamo dilungarci oltre.
E il resto del film?
Come detto, Cruel Intentions è un oggetto che si identifica talmente tanto con la sua estetica che il resto passa in secondo piano – ivi compreso, per esempio, il fatto che l’adattamento del romanzo di Choderlos de Laclos non è, diciamo così, l’operazione più delicata che sia mai stata fatta in questo ambito. Tutta la sceneggiatura risente del peso degli anni, in particolare nel modo in cui è spesso e smaccatamente omofoba, e ci sono parecchi snodi di trama ai quali si arriverebbe faticosamente e con un po’ di noia, se non fosse che a portarci è quel cast.
Quello che vogliamo dire è che Cruel Intentions è un lampo in una bottiglia: le facce giuste, per la storia giusta, nel momento giusto, con le luci giuste e la regia un po’ autoriale un po’ videoclippara da fine anni Novanta giusta. Fosse uscito due anni prima o due anni dopo probabilmente non sarebbe riuscito con la stessa efficacia a catturare quel particolare tipo di magia, e a rendere plausibile una storia di gente orribile che fa cose altrettanto orribili e spesso caricaturali. Questo lo rende anche un film fragilissimo, nel quale anche i pezzi venuti peggio devono stare al loro posto pena il crollo dell’intero edificio. Che è poi il tema di tutto il film: la fragilità di una facciata apparentemente perfetta, e quello che ci vuole per farla crollare.
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